Bill Viola. Prendi un gruppo di persone. Prima e dopo. Scatena il finimondo con l'acqua. Sulla zattera

L'artista di fama internazionale a Mantova con una video-installazione che colloquia con le immagini del diluvio dipinte da Giulio Romano e aiuti nella ala dei Giganti. Nell'articolo le quotazioni delle fotografie e delle opere di Bill Viola


Bill Viola 1Bill viola 2Bill Viola 3Bill Viola (New York, 1951) è considerato il più grande video artista al mondo. Qui vediamo alcune immagini del video The Raft, della durata di circa 10 minuti che racconta, con un’inquadratura fissa e immagini rallentate, la caduta e la resistenza di un gruppo di 19 persone in abiti dei nostri giorni mentre vengono investite da un violento getto d’acqua.

Bill Viola, celebre per essere stato uno dei primi a fare uso del video inteso non solo come sperimentazione tecnologica ma contemplativa ed estetica, ha spesso e volentieri preso come fonte di ispirazione le iconografie della pittura rinascimentale italiana. Famose tavole e pale d’altari, come la Visitazione del Pontormo (The Greeting, 2002) o la Deposizione di Masolino (Emergence, 1995) sono diventate nelle sue mani veri e propri quadri in movimento. Tra queste opere spicca per dimensioni e drammaticità The Raft, realizzata nel 2004.
La parola raft, tradotta in italiano, significa variamente “zattera”, “gommone di salvataggio”, termini che suggeriscono una condizione di pericolo, di emergenza, che Viola interpreta attraverso immagini idealmente collegabili ad alcune scene dipinte da Giulio Romano nella sala dei Giganti, dove questi ultimi vengono trascinati a riva da violenti flussi di acqua, nel disperato tentativo di mettersi in salvo.
Il catalogo che fu presentato a Mantova (bilingue italiano e inglese), edito da Publi Paolini, contiene un testo critico scritto per l’occasione da Valentina Valentini (la più autorevole esperta italiana dell’opera di Bill Viola) e una descrizione dell’opera fatta dallo stesso artista, accompagnata dalle sue annotazioni, schizzi e disegni preparatori.
L’iniziativa fu ideata e promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e alla Promozione Turistica del Comune di Mantova.
 
Bill Viola, The Raft, maggio 2004
In quest’installazione video/sonora, un gruppo di diciannove personaggi, uomini e donne appartenenti a differenti etnie e ambienti sociali, viene improvvisamente colpito da forti getti d’acqua provenienti da entrambi i lati dell’inquadratura, talmente violenti che alcuni personaggi cadono per terra immediatamente, mentre altri riescono a stento a restare in piedi. Improvvisamente com’era arrivata, l’acqua si ferma, lasciando gli individui attoniti e increduli, alcuni sollevati, altri agonizzanti.
L’azione è stata registrata da vivo ad alta velocità, ma si svolge al rallentatore per una durata di circa 10 minuti. Lo scopo di questo escamotage tecnico è di evidenziare le sottili sfumature di luce e colore nell’impatto esplosivo dell’acqua nonché le espressioni e i gesti individuali dei personaggi.



Cenni biografici
Bill Viola (New York, 1951), artista multimediale di fama internazionale, è stato uno dei precursori del video inteso come forma vitale di arte contemporanea. Da quarant’anni crea installazioni video architettoniche, filmati video, ambientazioni sonore, performance di musica elettronica, rappresentazioni video su schermi piatti, video per trasmissioni televisive, per concerti musicali, per opere teatrali e spazi sacri. I suoi videotape a canale unico sono stati ampiamente diffusi su DVD e i suoi scritti sono stati largamente pubblicati e tradotti per il pubblico internazionale.
Le creazioni video di Bill Viola utilizzano in modo magistrale le sofisticate tecnologie multimediali per addentrarsi nell’esplorazione degli aspetti spirituali e percettivi dell’esperienza umana, ponendo l’attenzione sui temi universali del genere umano: la nascita, la morte, la scoperta della consapevolezza del sé pongono le radici sia nell’arte orientale che in quella occidentale, nonché nelle tradizioni spirituali del Buddismo Zen, del Sufismo Islamico e del misticismo cristiano.
Le sue opere sono esposte nei musei e nelle gallerie di tutto il mondo e fanno parte di numerose collezioni famose. Le sue esposizioni più importanti includono Bill Viola: Installations and Videotapes, al MOMA di New York, 1987; Unseen Images, esibizione organizzata dalla Kunsthalle di Düsseldorf, 1992; Buried Secrets al padiglione americano della 46° Biennale di Venezia, 1995; e Bill Viola: A 25-Year Survey, organizzata nel 1997 dal Whitney Museum of American Art. Nel 2003 il J. Paul Getty Museum di Los Angeles ha organizzato Bill Viola: The Passions; nel 2006 Bill Viola: Hatsu-Yume (primo sogno) ha attirato 340 mila visitatori al Mori Art Museum di Tokyo e nel 2008 il Palazzo delle Esposizioni di Roma ha presentato Bill Viola: Visioni Interiori. Nel 2010, due opere della serie “Tristan” sono state presentate nell’Aula Magna dell’Università di Bologna, e nella Tribuna del David della Galleria dell’Accademia di Firenze è stata presentata l’installazione video Emergence.

Dopo aver conseguito la laurea alla Syracuse University nel 1973, Viola ha studiato e lavorato con il compositore David Tudor, sperimentando la musica e la scultura sonica. I suoi progetti di musica includono: il video/film Déserts, creato nel 1994 per accompagnare la composizione musicale Déserts di Edgard Varèse; una suite di tre nuove rappresentazioni video per il tour mondiale “Fragilità” del gruppo rock Nine Inch Nails nel 2000; la creazione di un video di quattro ore per la produzione di Peter Sellars del Tristano e Isotta di Richard Wagner nel 2005. Dal 1974 al 1976, è stato direttore tecnico di produzione a Firenze dello studio di videoarte Art/Tapes/22, collaborando con artisti europei e americani (G. Paolini, M. Merz, J. Kounellis, V. Acconci). Con un lungo soggiorno in Giappone (1980-81, nell’ambito della Japan/US creative arts fellowship) ha approfondito lo studio delle tecnologie avanzate del video e i suoi interessi per le filosofie orientali studiando con Daien Tanaka, pittore monaco zen.
Viola ha ricevuto molti riconoscimenti e premi, incluso un John D. e Catherine T. MacArthur Foundation Fellowship e l’Eugene McDermott Award in the Arts, MIT. È stato nominato membro dell’American Academy of Arts and Sciences, riconosciuto Commendatore dell’Ordine delle Lettere e delle Arti dal Governo Francese e più recentemente gli è stato conferito il 21° Premio Internazionale di Catalogna dal Governo di Catalogna. Vive insieme alla moglie Kira Perov, sua collaboratrice storica, a Long Beach, Califor
QUANTO VALGONO LE FOTOGRAFIE DI BILL VIOLA. PER SAPERLO, CLICCA IL LINK QUI SOTTO. QUANTO  COSTANO LE OPERE DI BILL VIOLA
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Bill Viola 7IL SAGGIO CRITICO DI VALENTINA VALENTINI, “RACCONTARE L’ESISTENZA” DEDICATO ALLE ULTIME OPERE DI BILL VIOLA
A partire dal 1995, le immagini del mondo, della natura, della civiltà, si dileguano nelle opere di Bill Viola e il soggetto dominante diventa la figura umana, l’imago, che declina il racconto dell’esistenza: nascita, sofferenza, morte. A partire dalle opere inaugurate dalla serie The Passions è diventato tema dominante il venire alla luce e lo scomparire dell’uomo, raffigurato con complessi dispositivi narrativi, fra cui compare il racconto drammatico classico aristotelico che struttura il decorso dell’azione come inizio, culmine e fine: un emergere (dal buio, dal vuoto, dallo spazio senza confini, dall’acqua), un’acme e uno scioglimento.
Non che questo tema non fosse presente nelle opere precedenti agli anni Novanta, ciò che cambia è una assolutizzazione della figura umana in uno spazio senza tempo, non più immersa nelle variegate forme del vivente, sia nella sua dimensione quotidiana che eccezionale.
Inoltre, piuttosto che una circolarità si riconosce nelle opere dopo gli anni Novanta delle modalità narrative più articolate: qualcosa accade, seppure in tempi estremamente dilatati, trasportata dalle materie espressive del suono, del colore – luce e dello spazio che determinano i modi di fruizione dell’opera. Il fatto che la luce sia direzionata sul soggetto, implica un’azione deittica nei confronti dello spettatore, una sua inclusione nello spazio iniziatico dell’opera: “Le installazioni sono molto simili alla cappella degli Scrovegni di Giotto. La relazione immagine/architettura fa sì che tutti quelli che entrano nella stanza sono sia attori che osservatori, sospesi fra l’abitare il film che è intorno a loro e l’essere uno spettatore che guarda dall’esterno”.
In Five Angels for the Millenium (2001) la stanza in cui sono proiettate su tre pareti le immagini e il suono, fa tutt’uno con l’opera e lo spettatore diviene la soglia fra tangibile e intangibile, tracciata anche dalla deflagrazione sonora. La strategia narrativa prevede un prologo che predispone il tempo dell’attesa dell’evento, dell’apparizione della figura, uno spazio carico di suspense: accadrà qualcosa, la materia ribolle, è viva. Il movimento del corpo è come risucchiato per risalire come un razzo lanciato nello spazio, l’acqua si anima lentamente con bolle, striature, vortici. Quando emerge la figura umana, il movimento del corpo è verso l’alto, mentre l’acqua sembra spingerla in basso, poi si capovolge, la testa in giù e le gambe in su: scompare di nuovo. Siamo dentro il mistero della vita, la materia brulicante da cui ha origine il vivente e anche la sua decomposizione e la morte. L’opera raffigura uno spazio intermedio, né in cielo né in terra, “nel regno dei ‘messaggeri’, αγγελόί per usare il termine con cui i greci designavano quegli esseri particolari capaci di passare dal mondo materiale al mondo etereo e viceversa”, scrive Bill Viola nella nota di presentazione. L’oltrepassare il confine dell’invisibile permette di acquistare un volto e far parte del mondo tangibile, che viene rappresentato come una fase temporanea, perché l’azione continua con il riassorbimento nell’indistinto e il ricongiungersi con il tutto, in uno spazio infinito da cui ciascuno proviene e a cui ritorna.
Lo spettatore si installa nell’attesa in una mistica attitudine, in silenzio. Il tempo dell’attesa è una costante nelle opere di Bill Viola, prepara all’evento e, come il buio, è espressione di un motivo ascetico: bisogna pazientemente aspettare, deporre l’ansia di concludere, attendere che si formi l’immagine, che il puntino diventi figura, che la figura umana avanzi e si collochi di fronte all’osservatore.
Se questa è la dinamica narrativa delle opere che raccontano l’esistenza umana, come Going Forth by Day (2002), Ocean Without a Shore (2007)) e molte altre, diversa è la strategia di opere come Observance (2002) e The Raft (2004) in cui è isolato dal flusso dell’esistenza il momento della vita sulla terra, che è segnato essenzialmente dall’assumere una connotazione (le persone hanno un volto, una età, un sesso, una etnia, una fisiognomica, una postura del corpo), sono colorate con abbigliamento variopinto e dall’assumere un’attitudine addolorata. In Observance, scrive Bill Viola, ”un flusso continuo di persone avanza lentamente verso di noi. Uno dopo l’altro, si fermano in testa alla fila, sopraffatti dall’emozione. I loro sguardi sono fissi su un oggetto sconosciuto appena al di fuori del campo visivo, sotto il margine dell’inquadratura”. Cosa attira lo sguardo delle persone, verso quale evento, oggetto avanzano, spostandosi dal fondo in prima fila per avvicinarsi alla fonte, all’origine della loro comune attitudine? I volti e i gesti del gruppo in movimento, quasi una folla, sono improntati a dolore, sgomento, costernazione, apprensione, pianto, compunzione, come se la sciagura cui partecipano e che condividono fosse così assoluta da comprenderle tutte, non una vicenda particolare, una catastrofe naturale o opera dell’uomo, quanto il dolore universale, la condizione dell’esistenza umana.
The Raft (il titolo indica la zattera che mette in salvo dal naufragio), videoproiezione su parete, funziona da trait d’union fra The Passions e Ocean Without Shore.
La relazione fra The Observance e The Raft è data dall’istanza narrativa implicita che affida all’osservatore il compito di immaginare cosa c’è da raccontare, cosa turba e attira lo sguardo addolorato del gruppo di Observance e in The Raft, come si delinea la reazione alla disgrazia che si è abbattuta sulle persone in attesa, una folla in cui ciascun individuo ha una identità: “Un gruppo di diciannove uomini e donne di differenti etnie e situazioni economiche, viene improvvisamente colpito da un potente getto di acqua proveniente da un tubo ad alta pressione. Mentre alcuni sono subito travolti, altri oppongono resistenza all’immotivato diluvio”.
La sequenza in effetti svolge, pur nel rallentamento, come un racconto drammatico classico: il prologo in cui il gruppo fermo in diverse posture e attitudini (chi legge, chi è in attesa con le mani in tasca, chi si protende in atteggiamento interrogativo, tutti schierati frontalmente), l’evento che li colpisce improvvisamente e li travolge, rispetto al quale le reazioni sono diverse, chi soccombe, chi resiste, chi cerca riparo, tutti trasfigurati in fantasmi dalla cortina d’acqua e dalla luce; la catastrofe cessa, il gruppo come scampato a un naufragio, sbattuto su una terra sconosciuta, si rianima.
“L’azione è registrata su una pellicola ad alta velocità e si svolge a ralenti estremo, per evidenziare le sottili sfumature di luce e colore nell’impatto esplosivo dell’acqua e le espressioni e i gesti individuali dei personaggi”. Infatti, per evitare relazioni che potrebbero alludere a possibili contesti narrativi, l’artista mette in atto delle strategie costruttive tese a privilegiare l’espressione pura e semplice dell’emozione, per cui ciascun performer, pur trattandosi di un’azione collettiva, è ripreso individualmente.
Le opere di Bill Viola, sia passate che recenti, ci mettono di fronte a fenomeni e del fenomeno mettono in risalto la possibilità per lo spettatore di percepire il suo darsi nel tempo, in modo da affinare la percezione di quelle trasformazioni impercettibili al di fuori della lunga durata, dell’attesa, del contemplare.
Bill Viola rappresenta nelle sue opere una visione del mondo non lineare, uno spazio non euclideo, un tempo non sequenziale, coniugando nella sua pratica artistica e di pensiero, la fisica einsteiniana e quantistica con il pensiero zen. In questa prospettiva ha capovolto l’alto in basso, ha posposto il prima con il poi, invertito il grande con il piccolo, materializzato il suono e smaterializzato l’immagine. Il capovolgere la normale posizione eretta della figura umana per l’artista ha a che fare non solo con l’esplorazione di spazi altri, ma anche con un senso religioso, il concetto di eskaton teorizzato da Pavel Florenskij come la linea che separa e congiunge il cielo e la terra, il visibile e l’invisibile, quella soglia dove prende forma la bellezza, che simbolicamente unisce i due mondi, il celeste e il terrestre. L’arte è animata da un doppio movimento, verso l’alto e verso il basso (eskaton è appunto sia la discesa che la risalita), duplicità che non va scissa, perché se si ferma in basso non va oltre l’esistente, e se si ferma in alto perde la sfera sensoriale e materiale.
I modi con cui Bill Viola racconta l’esistenza, nelle opere del nuovo millennio, si richiamano sia a una struttura archetipica, che è quella classica, aristotelica, in cui qualcosa inizia e finisce e sia a una modalità di racconto sospeso: “Nella vita, l’unico momento in cui la narrazione può essere ritenuta veramente finita è il momento della morte. Le mie opere più recenti, soprattutto i singoli fotogrammi, sono come frammenti di vita lasciati fuori dalla tempesta della vita.[… ] In questi lavori, molte informazioni e contesti sono stati lasciati fuori. Il mio maestro Zen giapponese ha sempre insistito sull’importanza di lasciar qualcosa di incompleto in tutto ciò che facciamo.
L’incompletezza, il vuoto, è dare vita, sia in amore che in arte. È l’angolo buio, lo spazio tra le cuciture, il pensiero disperso, la conoscenza nascosta, il desiderio sconosciuto. Questo è il punto più profondo dal quale si è sviluppato il mio lavoro, e attraverso gli anni ho imparato a tenere la mia testa, e la sua logica razionale, fuori da questo[…].
Le storie terrene sono colte in un momento del loro procedere, senza l’antecedente e senza la conclusione: un processo aperto rispetto al quale lo spettatore si chiede: “C’è altro da raccontare?”
*Dal catalogo ed. Publi Paolini


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