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di Beatrice Avanzi
“Degas – scrive Guy Cogeval nel catalogo della mostra Dalla scena al dipinto. La magia del teatro nella pittura dell’Ottocento, che si tenne al Mart di Trento – è il fulcro (…). Regalmente ai margini dell’Impressionismo, asciuga la retorica della ‘grande maniera’ classica (che peraltro adora) assorbendo, nelle sue inquadrature, l’orchestra, gli spettatori, le visioni accidentali, mentre lo spettacolo sul palcoscenico si riduce a un semplice pretesto decorativo. Visto dalle quinte, l’illusionismo sul quale si fonda il teatro si svuota. O quanto meno si ridimensiona”.
Pittore “teatrale” per eccellenza, raffinato interprete del mondo della danza, Degas attua dunque una profonda rivoluzione nella maniera di raffigurare la scena, giungendo ad alterare il corso parallelo che pittura e teatro avevano mantenuto fino a metà dell’Ottocento, corso fondato sull’illusionismo della rappresentazione, su gestualità, modi e prospettive del tutto affini.
La sua visione si sposta dalla “messa in scena” di un dramma o di un evento narrato con cadenze teatrali a ciò che avviene dietro le quinte, in platea, nei palchi. A questa rivoluzione nei contenuti corrisponde un profondo rinnovamento del linguaggio pittorico: l’artista abbandona il punto di vista frontale (la mira principis mutuata dal teatro) per adottare prospettive oblique, punti di vista decentrati, per cui quanto si verifica sul palcoscenico è solamente un dato accessorio. Questo passaggio, in linea con le innovazioni della pittura realista a metà dell’Ottocento e con l’aspirazione dello stesso Degas a diventare “un pittore della vita moderna”, emerge con chiarezza dal confronto tra due quadri.
Ritratto di Mlle… É[ugenie] F[iocre]: a proposito del balletto “La Source” (circa 1867-1868, New York, Brooklyn Museum), realizzato per il Salon del 1868, è la prima opera in cui Degas si accosta a un soggetto teatrale, e, allo stesso tempo, l’ultima eseguita secondo i codici tradizionali della pittura di storia, così vicini, ai canoni del teatro. Ad essi l’artista si era attenuto nei capolavori della gioventù (Giovani spartane che si esercitano alla lotta, Semiramide costruisce Babilonia), dove l’episodio veniva dipinto come se fosse inquadrato su un immaginario proscenio.
La ballerina Éugenie Fiocre è effigiata durante il primo atto del balletto La source, messo in scena nel 1866 all’Opéra di rue Peletier, mentre si riposa sullo sfondo della ricchissima scenografia, che prevedeva la presenza di un laghetto artificiale e di un cavallo. Prova complessa, “dalle eleganze strane” (Zola), suggerisce diversi livelli di lettura. “Questo conturbante capolavoro – scrive Daniel Halévy – è a stento classificabile, né del tutto ritratto, né quadro orientalista, né vera scena di teatro o pittura di storia”.
Come dimostra L’orchestra dell’Opéra (circa 1870, Parigi, Musée d’Orsay), Degas si svincola in seguito dall’inquadratura centrale, corrispondente al frons scenae, giungendo a una visione del tutto innovativa. Intento a ritrarre l’amico fagottista Désiré Dihau, l’artista sposta lo sguardo nella fossa dell’orchestra, si concentra sui musicisti, si avvicina al punto di vista dello spettatore in platea, fino a svelare la finzione del teatro, di cui rimane un accenno nelle gambe delle ballerine sul palco.
Si rompe allora l’unità della rappresentazione che aveva accompagnato per l’intero Ottocento il cammino comune di teatro e pittura. Ciò che accade alla ribalta è ridotto a un fregio di tutù rosa e verdi, tagliato dall’inquadratura: impossibile identificare il balletto, così fedelmente descritto invece in Éugenie Fiocre.
Da questo momento, come dimostra la sequenza di opere al Mart, il radicale mutamento di prospettiva consente scorci inediti della visione: in Prove di balletto sulla scena (1874, Musée d’Orsay), presentato alla prima esposizione degli Impressionisti nel 1874, la prospettiva decentrata rivela la costruzione delle quinte, di norma celata all’occhio del pubblico. Analogamente, nel magnifico pastello L’Étoile (circa 1876-1877, Musée d’Orsay) il taglio obliquo, fotografico, palesa quanto avviene nel retropalco, popolato da ballerine colte in istanti di attesa o riposo, o da personaggi come gli abonnés, immortalati da Degas con abito e cappello scuro.
Figure emblematiche del mondo teatrale nella Parigi di fine Ottocento, questi giovani uomini, appartenenti all’alta società, erano soliti aggirarsi tra le quinte per intrattenersi con le danzatrici. La loro presenza torna anche nel pastello Ludovic Halévy e Albert Boulanger-Cavé dietro le quinte dell’Opéra (circa 1878-1879, Musée d’Orsay), dove sono effigiati due esponenti di tale élite maschile che frequentava l’Opéra.
Lo stesso Halévy, un librettista amico intimo del pittore, aveva narrato in un suo testo (La Famille Cardinal, 1876-77) gli amori tra gli abonnés e le ballerine, ragazze, invece, di estrazione proletaria. Su questo mondo, fatto anche di solitudine e tristezza, Degas si soffermerà, com’è noto, nell’ultima fase della carriera, dedicata – lo sottolinea Ann Dumas nel suo saggio in catalogo – alla ricerca di una dimensione introspettiva, per cui le danzatrici, ritratte in momenti di intimità o sulla scena vuota, in bellissimi studi a pastello, sembrano ripiegarsi in una personale, profonda malinconia, ormai ignare dello sguardo del pubblico.
Ne è testimonianza il dipinto Ballerina con mazzi di fiori (circa 1895-1900, Norfolk, Chrysler Museum of Art), splendido esempio di questa produzione tarda, dove il fondale, intessuto su sontuose variazioni nei toni del blu, del viola, del rosa, mette in risalto la figura solitaria della giovane, sospesa tra realtà e magia.