L’attività di intelligence bulgara teneva Christo sotto controllo. Ciò è emerso recentemente, nel corso della mostra dedicata all’artista da poco scomparso, allestita al Centro Pompidou, a Parigi, con la pubblicazione di un rapporto confidenziale riservato, inviato da una spia – il cui nome convenzionale era agente Elena – al Ministero dell’Interno di Sofia. Elena, durante un viaggio negli Stati Uniti, era uscita a cena con i coniugi Christo e altri bulgari e un gruppetto di americani e, in seguito, aveva visitato lo studio dell’artista, facendo una dettagliata relazione della serata e delle informazioni accessorie che aveva ricavato da altre fonti.
Christo aveva cancellato il proprio passato, abradendo la Bulgaria comunista, dove l’artista era nato nel 1935. Il taglio fu nettissimo. Il prima e il dopo non entrarono più in contatto. Christo non incontrò più nemmeno i fratelli e non rimise mai più piede in patria, ma non ne spiegò i motivi e non trasformò la propria attività in un’indiretta contestazione al regime.
Di lui, però, si interessarono – probabilmente a più riprese – i servizi segreti bulgari che intendevano capire se l’intellettuale svolgesse anche attività politica contraria al regime. E successivamente, quando la fama avvolse Christo, il proprio Paese d’origine aveva cercato di comprendere se potesse recuperarne la figura, nonostante le critiche violente di cui era stato fatto oggetto dai commentatori d’arte del regime.
L’agente segreto Elena incontrò Christo poco prima del 4 luglio del 1984, giorno in cui avrebbe firmato il rapporto segreto. Elena riuscì ad ottenere credito presso Christo probabilmente perchè era stata compagna di liceo di uno dei fratelli dell’artista stesso.
La relazione è ricca di particolari. Elena riuscì a creare un gruppetto di persone, tra le quali c’era un altro artista bulgaro, ammiratore di Christo – e insieme organizzarono una cena. Christo fece un po’ il padrone di casa, con una gentilezza estrema, chiedendo, con affabilità, informazioni ad ogni commensale, con una cortesia e un modo di fare francese. Le presentazioni e i discorsi avvennero con un giro di interventi ordinati, quasi che si fosse a una tavola rotonda. L’artista non si occupò mai, durante l’incontro, di argomenti politici. S’accendeva solo di fronte a questioni di tipo artistico. A quel punto diventava perentorio. Faticava a parlare la propria lingua d’origine, scrisse Elena, perchè cercava a lungo, nella memoria la parola giusta da dire, “ma del resto io credo che Christo non sappia parlare bene in genere le lingue”.
Emerge così l’immagine di un uomo affabile, molto gentile e corretto, che vestiva come un’operaio e che lavorava duramente ai propri progetti senza l’idea di produrre denaro per sé o la famiglia, ma per per finanziare la propria ricerca artistica. Una persona che viveva isolata nel proprio mondo, contando sul cuscinetto d’aria garantito dalla moglie Jeanne Claude – così scrive Elena – che non solo collaborava strettamente con lui all’ideazione del lavoro, ma filtrava il mondo esterno, evitando al marito ogni minimo disturbo e occupandosi di collezionisti, mercanti e anche di ogni cosa che – scrive letteralmente Elena – fosse terra-terra. Alla fine della cena, Elena insistette delicatamente affinchè i coniugi, lasciando il ristorante, aprissero la propria abitazione per una visita. Accedere alla casa atelier, considerata la riservatezza dei due, non era facile. Pur con una certa ritrosia, i padroni di casa, per gentilezza, accettarono.
Gli ospiti si trovarono in un edificio che era stata una fabbrica, alto quattro piano,a Soho, quartiere newyorkese. Elena descrisse l’utilizzo di ogni piano. Al piano terra abitava il figlio della copia. Il secondo era utilizzato come magazzino, il terzo era l’appartamento della coppia, mentre l’ultimo piano era occupato dallo studio. Non era un loft lussuoso. Elena sottolineò il fatto che non esisteva riscaldamento centralizzato e che la camera da letto, coperta da una cortina di cartone, sorgeva come un isolotto nel vuoto, come la cucina o il salotto con divano. La spia fece notare che buona parte dei mobili erano stati realizzati con materiali poveri ma con gusto dai due proprietari di casa, ma che certo quel luogo non era dotato di particolari comodità.
Elena raccolse anche testimonianze sulle abitudini della coppia. Si alzavano verso le 7,30, ogni mattina. Christo beveva un succo di frutta e si metteva al lavoro. Un altro succo di frutta era pronto per l’ora di pranzo – con l’integrazione di qualche multivitaminico – mentre spesso, per cena, la coppia usciva. Questo schema si ripeteva per tutto l’anno, senza che ci fossero particolari giorni di festa o di interruzione del lavoro, nemmeno nel giorno di Natale. La testimonianza di Elena esprime una simpatia comunista nei confronti di Christo, che sembra un operaio, che non accetta i miti della società capitalista, che non intende far finanziare da nessuno le sue gigantesche realizzazioni per non perdere in alcun modo la libertà. Ciò che possiamo leggere tra le righe è il fatto che Elena spiega ai propri interlocutori dei servizi segreti che il silenzio di Christo non è contro la Bulgaria, ma di fatto, è l’atteggiamento di un uomo che persegue, in modo stakanovista, l’obiettivo del proprio lavoro.