Sappiamo bene che alcuni dipinti di Arcimboldo sono reversibili e cioè cambiano se noi li giriamo nello spazio, assumendo forme e significati diversi, per poi tornare ad essere ciò che appaiono, quando li appendiamo alla attaccaglia principale. Un vaso di fiori o di frutti appeso al contrario diventa un volto composito, cioè formato da più oggetti o frutti che, sono stati accostati, fino a formare una fisionomia. Oggi esaminiamo il quadro “Testa reversibile con cesto di frutta” un dipinto realizzato con olio su una tavola, nel 1590 circa. Il quadro è di dimensioni contenute, – 56 x42. L’opera è conservata presso French & Company di New York. Il gruppo di studio di Stile arte ha portato alla luce – nell’ambito degli studi sugli apparati subliminali nella pittura del Cinquecento e del primo Seicento – altre figure umane, all’apparenza celate nel dipinto.
Alle domande di Stile arte risponde il critico d’arte Maurizio Bernardelli Curuz
A suo giudizio, senza cercare, risposte più complesse, queste opere non erano solo soltanto sorprendenti colpi di scena per creare stupore e divertimento nello spettatore?
Lo erano, certamente, ma non solo. Oggi vediamo soprattutto la parte giocosa, che certamente esisteva ma la funzione del quadro non si esauriva in quella. Le opere di questo tipo poggiavano sulla cultura ermetica e alchemica dell’epoca, basata sul lege et rilege. Legge e rileggere, analizzare. Non basarsi su un’impressione principale e superficiale. Osservare l’oggetto da più punti di vista, guardarlo in controluce, al contrario, lungo ogni lato. Cambiare anche le distanze, rispetto all’oggetto stesso. Questi dipinti contengono anche piccole anamorfosi che consentono allo spettatore di cogliere figure compiute a una certa distanza, ma quando si avvicina alla tela esse si dissolvono. Ci siamo anche accorti che questi piccoli quadri, dipinti con colore piuttosto diluito e scarsamente materici,- quando poi vengono realizzati su tela – potevano essere anche osservati, come una carta con filigrana, in controluce. Ponendo di fronte a una finestra o a una lampada, rilevavano altre figure sottese, a livello dell’imprimitura. L’esperienza sensoriale e cognitiva doveva essere completa e attraversare persino il limite della materia. Per quanto riguarda le tavole, in molti casi esse presentavano disegni anche nel verso, cioè nella parte posteriore, che normalmente non viene guardata.
Potremmo dire che opere di questo tipo fossero divertenti e profonde palestre percettive che invitavano a guardare le regole del cosmo, al di là dei pregiudizi e dei preconcetti, individuando le capacità combinatorie che una regola divina impone al Caos. Questi dipinti, come avverrà nella parte profonda delle opere di Caravaggio, contengono anche grafemi, parole, scritte alfabetiche soprattutto in corsivo, che oggi risultano di difficile lettura. Arcimboldo e gli arcimboldisti inserivano nelle pieghe del quadro anche grafemi non solo con il fine di sommuovere la superficie del dipinto – avevano pure quella funzione – ma anche per ingaggiare il visitatore accorto. L’ingaggio – cioè il richiamo e la proposta di un quesito intellettuale e percettivo – avveniva a livello dei visitatori più colti. Arcimboldo viene ricordato da Lomazzo, suo contemporaneo, come un eccezionale criptatore di messaggi, attività svolta per l’imperatore. Quindi è molto probabile che il pittore utilizzi, in parte, anche un linguaggio criptato, destinato a pochi fruitori, che ne condividono il lessico. Probabilmente la parte criptata offre frasi o concetti dei grandi pensatori ermetici. L’opera ha insomma più strati e più potenziali fruitori, a livello di categorie. Può parlare ai bambini come al filosofo. In qualche modo essa è un percorso iniziatico.
Qual è il significato dell’azione che compiamo quando giriamo il quadro?
Io ritengo che, in buona parte – come dicevo in precedenza – i dipinti fossero appesi dal lato in cui era possibile vedere soltanto una natura morta. Ciò che c’è di bello – in queste opere – è che un lato vale come l’altro, ma credo che per la rappresentazione scenica che si faceva nelle corti si partisse dal lato più quieto – la natura morta di frutta – per salire, in climax. Poi, con il tempo, – avendo perso la valenza fondamentale della rotazione – questi quadri vennero appesi dal lato opposto, dove appariva il ritratto che è più spettacolare, ma che è la soluzione del quesito, non il quesito. Be’, ruotando la natura morta si ottenevano più rivelazioni, contemporaneamente. La prima, sul piano percettivo, è quella legata al fatto che quando guardiamo un oggetto non lo analizziamo perfettamente e, in genere, riportiamo ciò che guardiamo a uno stereotipo. La seconda è che dietro ogni oggetto inanimato c’è una sostanza spirituale, una sorta di divinità antropomorfa che contiene le regole dello sviluppo della materia. E nella quasi totalità dei casi questo spirito ha una natura benigna ed è pertanto gioioso e divertente. Le foglie sono spiriti, la loro linfa vitale permea la materia, come vediamo nell’immagine antropomorfa qui sotto. isolata dal nostro gruppo di lavoro. La vita può essere il gioco di moltitudini gioiose, che garantiscono l’equilibrio del mondo.
Questi quadri appartengono alla cultura delle wunderkammern, le camere delle meraviglie…
In alcuni casi, queste opere erano conservate nelle wunderkmmern, le stanze delle meraviglie, che accoglievano testimonianze eccentriche di oggetti naturali o culturali, fuori dalla norma. Piccoli, sorprendenti musei domestici in cui erano conservati oggetti preziosi, ma soprattutto eccentrici, in grado di creare stupore e di attirare l’attenzione (mirabilia). Gli oggetti strani, inconsueti o desueti o misteriosi non solo dimostravano le capacità collezionistiche del proprietario, la sua sensibilità, la sua ricchezza, la sua capacità di investigare il cosmo, ma coglievano un’anomalia, sul piano della normalità. L’anomalia attirava non solo perchè inconsueta e rara, ma perchè, in fondo sottolineava, attraverso l’abnorme, la regola di tutto è quanto normato, in natura. L’anomalia offriva anche soluzioni creative al pensiero e alla tecnica. Molte scoperte normative avvengono con l’individuazione di un’anomalia.
Possiamo immaginare che per accedere, in modo divertente, al secondo livello di fruizione, i padroni di casa attendessero l’arrivo di qualche ospite colto. Passeggiando nella sala arrivavano al cospetto della natura morta. Così il proprietario di casa chiedeva agli ospiti cosa vedessero dipinto in quel punto. Sì, certamente. Un bel quadro di frutta, rispondevano gli ospiti. Il gioco poteva essere protratto nel tempo, specie se il padrone avesse detto: vedete solo questo? Gli ospiti elencavano così, ad uno ad uno i frutti o gli oggetti che vedevano: il cesto, il piatto. Si spingevano più in là, cogliendo il fatto che i frutti erano soprattutto autunnali e che il cesto fosse la rappresentazione delle delizie dell’autunno. Probabilmente il proprietario arretrava di qualche passo e faceva arretrare anche i propri ospiti per poter cogliere le anamorfosi. Come quella della foglia in cui il nostro gruppo di lavoro di Stile arte ha portato alla luce, proprio in queste ore, un ritratto nell’ombra. Forse un autoritratto dell’autore. L’osservatore doveva rimanere stupito e chiedersi perchè non fosse stato in grado di vedere un cosa così semplice da cogliere.
Quando guardiamo un piatto di frutta non ci aspettiamo che, tra una pera e una mela o nella filigrana di una foglia si nasconda un volto umano o una piccola figura, anche se volto e figure sono graficamente compiute e ben visibili. La nostre mente cataloga rapidamente l’oggetto come: immagine di un cesto di frutta e non è in grado di vedere altro che quello. Le microfigure espressivamente e semanticamente attive nei quadri di Arcimboldo – ma anche in Caravaggio, in modo sorprendente – sono all’apparenza invisibili fino al momento in cui noi non le isoliamo dal contesto. Appartengono a quell’orizzonte subliminale fondamentale per la vivacità di un’opera ma al tempo stesso ci avvertono che noi guardiamo e viviamo applicando soltanto stereotipi visivi e preconcetti. Applicando preconcetti non è possibile guardare e vedere. E questo è un grande limite della cultura positivista e scientista, poichè riconosce un’autorità e ne propugna la visione stereotipata. Per il Covid, ad esempio, gli studiosi hanno offerto – in larga misura – pregiudizi e preconcetti. Hanno fornito ipotesi limitate, non hanno saputo guardare. Non è un limite solo loro, ma della cultura frontale in cui siamo immersi, che non è grado di analizzare un problema a 360 gradi, ribaltandolo, poi, cambiando il punto di vista.
Quindi non dovremmo più parlare di nature morte, in questi casi, ma di nature pullulanti di vita.
L’osservazione è fondata. In altri paesi i quadri di frutti o di oggetti vengono chiamati “natura silente”. Da noi il termine natura morta deriva dalla connotazione di vanitas, legata alla religione comtroriformata. Tutto appassisce e tutto finisce. eccetera. Le nature morte sono solo quelle che rappresentano la vanità del tutto, il trascolorar del sembiante. In Arcimboldo tutto è vitale, macromondo e micromondo. Un inno alla vita e agli spiriti e alle sostanze e alle magiche chimiche che creano le meraviglie di cui siamo circondati.