Ager veientanus. Veniva così definito da studiosi ed archeologici, quel territorio a nord dell’agro-romano ricompreso tra gli odierni comuni di Formello, Sacrofano, Castelnuovo di Porto, Riano, Morlupo, Campagnano di Roma, Magliano Romano ed il municipio XV del comune di Roma, dominato dall’antica città di Veii ed i cui confini erano delimitati dal fiume Cremera, a nord dalle zone di influenza dei Capenati e dei Falisci e ad a ovest giungeva fino al lago di Bracciano.
Prima dell’avvento dei Romani e la presa della città di Veio (396 a.C), dopo dieci anni di guerra, questo territorio si estendeva sino alle sponde del fiume Arrone ad Ovest e ricomprendeva l’attuale territorio romano sino alla costa del Mar Tirreno, toccando le saline ivi collocate.
“Oggigiorno individuabile con l’attuale zona protetta del Parco di Veio – dicono i ricercatori del gruppo Ager Veientanus – l’area è un sito eccezionale dal punto di vista archeologico e naturalistico, influenzato dalla cultura etrusca prima e romana in seguito”.
Veio era un’importante città etrusca, situata nel centro della penisola italiana le cui rovine sono situate presso il borgo medievale di Isola Farnese, circa 15 km a N-O di Roma, all’interno dei confini del Parco regionale di Veio nella Valle del Tevere.
“I sistemi cuniculari presenti nel territorio Veientano, ed in altre aree dell’Etruria Meridionale e nel Lazio, sono opere sotterranee realizzate per diversi scopi. – proseguono gli esperi dell’Ager Veientanus – Datare il periodo di esecuzione è molto difficile in quanto sono geograficamente diffusi, spesso non hanno manufatti ad essi connessi che ne permettono di indicarne il periodo di realizzazione, nonché, secondo le diverse teorie, sono trascorsi più di due millenni. L’epoca di scavo dei cunicoli andrebbe collocata tra l’800 e il 400 a.C. ed a scavarli sarebbero stati gli Etruschi ed i Latini, sotto l’influenza dei primi. L’ipotesi più accreditata, in relazione ai diversi studi condotti, è che servissero a drenare le vallate e captare le acque nel tufo granulare. Diversi storici e studiosi hanno avanzato ipotesi in merito alla loro funzione, ma sicuramente la cosa certa è che erano il prodotto di un preciso intendimento, ossia quello di sfruttare l’importanza e la forza dell’acqua, supportato da una certa perizia di scavo.
“Negli anni ’60, Judson S. e Kahane A., archeologici, esploratori e studiosi della British School a Roma, hanno censito nel territorio veiense un totale di ventitrè chilometri di cunicoli, a cui se ne dovevano sommare altri tre di cunicoli crollati. – spiegano gli esperti dell’Ager Veientanus . E quarantacinque chilometri erano stati identificati nel Lazio settentrionale sulla base di foto aeree prese durante la Seconda Guerra Mondiale.
Le aree con maggiore concentrazione di opere cunicolari sono da mettere in relazione al fatto che il tufo si scava facilmente, gli abitanti di tali zone avevano grande dimestichezza nell’applicare tecniche di scavo, la morfologia del territorio si apprestava a questi scopi col fine di renderli fruibili agli insediamenti agricoli e urbani”.