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[I]sabella d’Este s’illuse finalmente di aver trovato, dopo impervie ricerche di un bravo ritrattista da cui potesse essere effigiata, l’uomo che faceva al caso suo. Era Giovanni Santi (Colbordolo 1433- Urbino 1494), urbinate, padre di un bambino di dieci anni, chiamato Raffaello, che di lì a meno di un decennio, sarebbe divenuto il Divin fanciullo, il Sanzio. Dotata di un’intelligenza acuta pari al narcisismo e a un’avidità notevole, Isabella aveva a lungo cercato chi potesse renderle, con generosità del tratto e soavità della forma, le fattezze, distogliendosi dalla durezza marmorea del fare mantegnesco.
Nella primavera del 1493, Giovanni Santi era giunto a Mantova da Urbino, preceduto propria fama. “Una delle qualità per le quali il Santi era famoso tra i contemporanei – scrive Ranieri Varese nella monografia dedicata al pittore marchigiano – è l’abilità nell’esecuzione dei ritratti. Noi oggi poco conosciamo di tale aspetto del suo fare perchè, sino ad ora, non è stato riconosciuto nessun ritratto isolato. Sono noti solo quelli all’interno di altri dipinti come, ad esempio, nella Pala Oliva e nella Pala Buffi. Nel 1490 troviamo citato, ma perduto, un ritratto di Bianca Maria Sforza che Santi avrebbe fatto per la Duchessa d’Urbino. Nei primi mesi del 1493 risultano ancora pagamenti in Urbino da parte della Confraternita del Corpus Domini: ‘ 4 febbraro florini cinque bolognini 10 denari 5 per manifattura dei candelieri a Giovanni Sante; 21 di marzo bolognini 39 a Giovanni de Sante per cento fogli doro per rifare gli angioli al ditto”.
Nell’aprile dello stesso anno, Isabella d’Este, in una lettera, si dice desolata di non aver a disposizione un proprio ritratto perchè il Pictore, cioè Mantegna, l’aveva, a giudizio della nobile signora, effigiata malamente senza che, sosteneva lei, vi fosse la minima somiglianza. Mantegna aveva deluso la marchesa perchè il suo fare si collocava sulla via del del declino della prima moda antiquaria contrassegnata da un evidente statuarietà dei volti. Mantegna costruiva geometrie possenti. Isabella cercava di sè un’immagine leggiadra e naturale. Scartato il ritratto realizzato da Mantegna, Isabella aveva trovato un altro artista: “Havemo mandato per un forestiere, qual ha fama di contrafare bene el naturale”. E’ chiaro l’intendimento di Isabella. Il suo gusto è sempre più inclinato all’alito della verità, a a quel naturale che sarà un punto d’arrivo di Leonardo, di Raffaello e,più tardi, di Tiziano.
Isabella proietta allora le proprie aspettative sul forestiero, Giovanni Santi. La segnalazione del suo nome si deve a Elisabetta Gonzaga, cognata di Isabella, signora di Urbino. “Possiamo pensare che l’essere chiamato a Mantova a sostituire quello che egli aveva indicato come modello per la pittura moderna, sia stato un insieme occasione di emozione e di soddisfazione per Giovanni Santi. Sappiamo che subito dipinse, egualmente perduti, il ritratto di Isabella e quello di Ludovico Ginzaga, il fratello del marchese. Il soggiorno mantovano è però breve; l’aria malsana, allora propria di una pianura ricca d’acque, che aveva già a suo tempo colpito Federico da Montefeltro, lo fa ammalare e torna presto in Urbino, nella speranza che la frizzante aria dei colli del Montefeltro gli ridia la salute”. Il 25 aprile 1494. Giovanni Gonzaga scrive da Urbino al fratello Francesco, a Mantova e rassicura il marchese di aver parlato con il pittore. “Ho parlato con Zohanne de Santo de li retracti de V. S. secondo quella mi commise et lui me ha risposto non haverli ancora forniti per non essersi mai rehavuto de la infermità che gli sopragionse a Mantua, ma como el sii un poco restaurato che ‘l possi lavorare el non attenderà ad altro fin che il non habbi servito la S.V.” Il padre di Raffaello si scusa con i proprio committenti. I ritratti, realizzazati su su supporto tondo, non sono stati utltimati a causa della malattia per la quale l’artista è inchiodato al letto; egli comunque spera di riprendersi presto,per poterli concludere; ma il morbo non gli dà tregua. Trascorre alcuni mesi travagliato dalla febbre e muore il primo agosto 1494.
I Gonzaga non intendono rassegnarsi alla perdita dei tondi e il 3 ottobre 1494 il marchese Francesco scrive a Elisabetta Gonzaga, a Urbino, chiedendole di recuperarli e inviarli, in ogni caso, nonostante non siano stati ultimati, perchè l’intervento finale può essere concluso nella città lombarda. “Quando Zohanne de Santo fu qua et che lì che era anchora la S. V. – sostiene infatti Francesco Gonzaga – lui tolse impresa di alchuni retracti in certi tondi come forsi la d.ta S. V. può sapere. El perchè se non sono finiti non li è più speranza che sua mano siano per terminarsi essendo sequita la sua morte, dicio el presente cavalaro a la S.V. per la quale la prego me vogli mandare quelli che esso Zohanne haveva lavorati, finiti o no che siano, perchè farò suplire io qua al mancamento”. Il cavallaro inviato con la lettera e con l’ordine di recuperare i dipinti attende invano. Scattano le ricerche, ma le opere sono perdute per sempre.
Giovanni Santi era nato a Colbordolo, una cittadina fortificata al Confine dello Stato, tra il Moltefeltro e domini malatestiani di Rimini. La sua, originariamente, era una famiglia di agricoltori,”ma nel 1428 – spiega Ranieri Varese – Peruzzolo (il nonno di Giovanni, ndr) aveva raggiunto una certa agiatezza. Eppur i rivolgimenti erano in agguato. Il 5 agosto 1446 il paese era stato semidistrutto dall’esercito di Sigismondo Malatesta e casa Santi era stata divorata dal fuoco. Il bisnonno di Raffaello assunse pertanto una decisione che avrebbe incanalato il destino dei suoi discendenti in direzione della pittura, con il proprio trasferimento a Urbino. Giovanni Santi, che sarebbe divenuto pure poeta, sensibile critico d’arte e autore di commedie, avrebbe ripercorso quel lontano trauma nella lettera dedicatoria del poema La vita e le gesta di Federico di Montefeltro, Duca d’Urbino: “A che la fortuna divorò el paternal mio nido in fuoco dove destructa ogni nostra susbstantia per quanti amphracti et strabochevoli precipitij habi conducto mia vita, lungo sarebbe a dire”. Precipizi e anfratti. Una disfatta che Giovanni Santi sente ancora proiettarsi sul presente.
Nonno Peruzzolo, al quale non mancavano intraprendenza ed energia, si era messo al lavoro ad Urbino. Dopo aver venduto le proprietà nel paese di origine, si era dato al commercio dei grani. Parallelamente la famiglia sviluppava l’attività di doratura del legno e del legno e delle cornici, primo passo verso la pittura. Un’impresa che si rivelò florida, giacchè Federico di Montefeltro aveva in corso forti investimenti in ambito artistico e decorativo.Nello stimolante ambiente rinascimentale, contrassegnato da un’euforia da boom economico, Giovanni Santi intraprende così l’attività pittorica. Non è un autore sublime, nonostante sia considerato- e lo si è visto nell’insistenza preoccupata dei Gonzaga – un abile ritrattista. Suo figlio sarà invece protagonista di un balzo stratosferico. “Il salto di generazioni riguarda il modo di fare pittura e Raffaello- sentenzia Ranieri Varese – in nessuna delle sue opere mai dimostrerà di aver preso ispirazione dai dipinti del padre”.(fbc)