Guernica di Picasso. Prima stesura? Nel 1446. Le matrici del capolavoro. L’urlo

Abbiamo analizzato struttura e lessico figurativo della grande opera di Picasso. Da ciò emerge con chiarezza che il capolavoro-denuncia pone le proprie radici nel Trionfo della Morte affrescato da un anonimo a Palermo a metà del XV secolo. Ecco come l’artista novecentesco recupera e rilancia creativamente l’antica matrice

Guernica di Picasso rappresenta in chiave simbolica, con acutezza che avvicina una matrice di derivazione cubista all’espressionismo, il bombardamento di una piccola città nei Paesi Baschi, nel nord della Spagna, avvenuto il 26 aprile 1937 da parte delle forze aeree tedesche e italiane che sostenevano il generale Franco durante la guerra civile spagnola (1936-1939). Il bombardamento, uno dei primi diretti contro la popolazione civile, aveva lasciato centinaia di morti e scioccato il mondo intero. Picasso, un rifugiato in Francia, aveva ricevuto un ordine dal governo della Repubblica spagnola di realizzare un dipinto – che trasmettesse l’orrore del bombardamento . per l’Esposizione Universale del 1937 a Parigi.
“Questo è chiaramente un quadro politico perché è un comando di un governo ai fini della propaganda”, afferma Rosario Peiro che ha tanto lavorato, a livello di storia e di analisi sul dipinto – Ma durante tutti questi anni passati a viaggiare da un posto all’altro, il lavoro è stato depoliticizzato “.


di Maurizio Bernardelli Curuz

Cinquecento anni prima che Picasso ponesse mano alla sua più celebre opera, Guernica (1937), esplosiva testimonianza della devastazione della città basca nel corso della guerra civile (1936), un anonimo pittore, dalla mano scioltissima e dal tratto elegante, realizzò un Trionfo della Morte che conteneva ampiamente, in nuce, quel deflagrante sonno della ragione, quel nitrito che dirompeva nell’urlo lacerante, quei mostri oscuri che si aggiravano al galoppo per la città, quel dominio dell’assurdo che il maestro catalano avrebbe interpretato ai massimi livelli realizzando uno dei dipinti icona del Novecento, monumento ai disastri della guerra e, per contro, vessillo di una tensione pacifista che risaliva dagli abissi degli orrori del sangue.

L’incunabolo pittorico del quadro novecentesco è costituito – appunto, oltre che a un confronto piuttosto ravvicinato con Durer delle incisioni del libro dell’Apocalisse – da Il Trionfo della Morte, eseguito nel 1446  a palazzo Sclafani, a Palermo: un’opera di qualità straordinaria, al punto che la critica per un certo periodo, prima di sospenderne temporaneamente l’attribuzione – giacché il piano stilistico non fornisce sufficienti indizi orientativi -, aveva indicato la possibilità di due grandi nomi, ipotizzando l’azione di Pisanello o di un Antonello di Messina agli esordi, intriso della lezione del Gotico internazionale ma praticamente irriconoscibile, rispetto al modo in cui appare il suo stile conosciuto, dominato da un registro che unisce la perfezione lineare del Rinascimento alla tecnica illusionistica derivata dai Fiamminghi. Altre ipotesi attributive portano ad Antonio Crescenzio o ad un anonimo catalano, sul quale paiono convergere oggi le congetture più diffuse.

Pablo Picasso, Guernica, 1937, olio su tela, cm 349x776 cm. Madrid, Nacional Centro de Arte Reina Sofia
Pablo Picasso, Guernica, 1937, olio su tela, cm 349×776 cm. Madrid, Nacional Centro de Arte Reina Sofia

Maestro del Trionfo della Morte, 1446, affresco staccato, cm 600x642, Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis
Maestro del Trionfo della Morte, 1446, affresco staccato, cm 600×642, Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis

Picasso vide quell’opera. Non vi possono essere dubbi. Il Trionfo della Morte e Guernica sono frutto di una stessa partitura compositiva arrangiata in due modi diversi. Ma la struttura è identica. E del resto, sappiamo bene quanto la genialità del catalano – con un’attenzione al “vero” spirituale delle civiltà primitive o di quella pittura antica che non manifestasse ancora i pesanti segni di “corruzione” del realismo – attingesse a modelli arcaici per l’individuazione di elementi nodali del pensiero umano, per quei cortocircuiti intuitivi che apparivano evidenti, privi delle sovrastrutture decorative che avrebbero cancellato, con il Rinascimento – a giudizio di ogni buon primitivista -, il dirompente nucleo icastico.

Picasso osserva con attenzione l’affresco palermitano. Lo fa scendere in sé e ne provoca la riemersione, con il mutamento sostanziale del linguaggio ma con lo stesso ritmo drammatico e con la stessa impaginazione, con un’identica occupazione degli spazi, con la reiterazione di personaggi od elementi paesaggistico-decorativi trasfigurati che giungono direttamente dal Quattrocento. Egli gioca una partita doppia tra la morte medievale inflitta dalla peste e la morte novecentesca che travolge, con i bombardamenti, cittadini inermi. E il bilancio è perfettamente al pareggio.

Ben sappiamo che l’artista, a partire dal 1917, compì un viaggio in Italia, che coincise con un “ritorno all’ordine” e con la rielaborazione di forme rimodellate su suggestioni antiche, dopo le accese sperimentazioni d’inizio secolo. Non risulta comunque decisivo, ai fini del rapporto tra Il Trionfo della Morte siciliano e Guernica, sapere se egli avesse raggiunto la Sicilia, ammirando direttamente l’affresco che campeggia nel cortile di palazzo Sclafani, un edificio che era stato adibito ad ospedale, per editto regio, tra il 1435 ed il 1441. L’incontro con il dipinto gotico potrebbe essere avvenuto semplicemente attraverso un libro o un catalogo, magari con la mediazione di un altro celebre Trionfo della Morte, quello di Pieter Bruegel, per il quale si è ipotizzata un’origine che porterebbe sempre all’opera siciliana, forse conosciuta da Bruegel stesso nel corso del proprio viaggio nell’isola.

L’osservazione dei moduli impaginativi del Trionfo italiano e di Guernica consente di evidenziare un’eclatante continuità. Il critico Jean Clair, rispondendo a Sebastiano Grasso sul Corriere della Sera del 13 gennaio 1998 in merito ad assonanze tra i due capolavori, affermò: “Certo, l’idea è suggestiva. Guernica venne eseguito nel ’37. Prima di allora, Picasso era stato solo a Roma e Firenze. Poi aveva raggiunto anche Napoli e Pompei”. In Sicilia non ci aveva proprio messo piede? “No, che si sappia”. Ma non le viene qualche dubbio? “In casi simili può esserci sempre”. Come dissiparli? “Occorrerebbe fare ricerche ad hoc. Cosa che non ho fatto”. Potrebbe, comunque, essere vero? “Una delle varie origini…”. Diversamente, come avrebbe fatto l’occhio più prensile del mondo ad appropriarsi del Trionfo? “Potrebbe avere visto una riproduzione su un libro, una rivista. Comunque, non bisogna dimenticare che nel tardo medioevo la rappresentazione del Trionfo della Morte era un tema abbastanza diffuso, assieme alle scene della Danza macabra, in tutt’Europa”.

Però la “costruzione” del dipinto ricalca l’opera siciliana. Soprattutto la testa del cavallo, con la bocca aperta… “Sì, ma Picasso ha ‘sintetizzato’. L’iconografia del Trionfo della Morte, con cavallo e cavaliere, è prettamente italiana. Ed è presente in molte regioni: dalla Toscana al Trentino, dall’Umbria alla Sicilia”. Vuol dire che lei esclude una “parentela” fra i due Trionfi? “Dico solo che Picasso potrebbe avere ‘rubato’ altrove”. A chi? “A Pieter Bruegel il Vecchio, per esempio”. A quale opera del pittore fiammingo? “Al Trionfo della Morte, naturalmente: un grande quadro che si trova al museo del Prado. E Picasso vide quel dipinto proprio durante la guerra civile spagnola”. Perché? “Anche se viveva a Parigi, nel ’36 venne nominato, dai repubblicani, direttore onorario del Prado”.

Che cosa vuol dire? “Che, probabilmente, il dipinto – famoso e molto conosciuto specialmente fra i giovani di allora – gli venne in mente perché rappresentava la violenza e aveva in sé una forte carica, come dire… ‘fantascientifica’”. Che cosa Picasso ha preso da Bruegel? “Il senso tragico”. Che sia stato l’artista fiammingo a vedere il Trionfo di palazzo Sclafani? “Anche questa è un’ipotesi che non si può escludere. L’opera siciliana è fatta risalire al 1440-41. Bruegel il Vecchio venne in Italia nel 1552 e ritornò ad Anversa nel 1555. Si sa che raggiunse Napoli e, poi, la Sicilia. Al museo Boymans di Rotterdam ci sono dei disegni con un Incendio di Reggio Calabria… Il Trionfo di Bruegel è del 1562-63. E’ possibile, quindi, che il fiammingo abbia visto l’opera siciliana e che, a sua volta, Picasso, guardando quella del Prado e avendola ‘digerita’, l’abbia fatta sua”. Suggestione a suggestione, allora? “Perché no? Si potrebbe pensare che Picasso lavorò a Guernica avendo in mente il Trionfo palermitano, filtrato attraverso Bruegel il Vecchio”.

ANALISI

 

Maestro del Trionfo della Morte, 1446, affresco staccato, cm 600x642, Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis
Maestro del Trionfo della Morte, 1446, affresco staccato, cm 600×642, Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis
Pablo Picasso, Guernica, 1937, olio su tela, cm 349x776 cm. Madrid, Nacional Centro de Arte Reina Sofia
Pablo Picasso, Guernica, 1937, olio su tela, cm 349×776 cm. Madrid, Nacional Centro de Arte Reina Sofia

Entriamo ora nel campo analitico. Ciò che colpisce immediatamente è l’assoluta coincidenza tra i musi dei cavalli, scavati fino all’osso, che appaiono nelle due opere, i denti scoperti dalla consumazione della carne, la lingua tesa. E non è un caso che entrambi gli animali occupino il centro della scena. Dobbiamo anche rilevare un altro aspetto assai significativo. La cavalcatura di sorella Morte, nell’affresco quattrocentesco, è costruita, soprattutto a livello del cranio e del collo, attraverso la giustapposizione di figure geometriche che devono aver attratto il maestro catalano per una sorprendente, inconsapevole anticipazione medievale dei valori espressivi del Cubismo.

Guernica induce ad ipotizzare che l’artista abbia percepito il dipinto siciliano come un insieme di blocchi geometrici, che lo abbiano guidato in un’autonoma ed intensissima rielaborazione. Alla nostra destra, osservando il quadro di Picasso, notiamo una figura con le mani levate per l’immane dolore contro il muro di una casa; questo brano pittorico occupa un rettangolo ideale sistemato sulla tela per il lato più lungo per altezza e il lato corto per base, come accade per la fontana della vita e i sottostanti personaggi dell’affresco di palazzo Sclafani. I cadaveri dei vescovi e dei prelati colpiti dalle frecce della Morte occupano invece un altro rettangolo alla base dell’opera, la stessa figura geometrica che inscrive i corpi agonizzanti dei cittadini baschi. Un quadrato ideale racchiude uomini e cavallo al centro della scena, in entrambi i dipinti.

Il gotico cane ringhioso che mette a dura prova, attraverso la cinghia del guinzaglio, un nobile dal quale è condotto per la campagna, si rivela per una coda nervosamente falcata e per un muso che rinviano alle corna e alla massa facciale del terribile toro picassiano. Notiamo anche, alla nostra sinistra, un gruppo di personaggi inscritti in un ideale, invisibile rettangolo di dimensioni minori, caratterizzato da uno stretto lato di base e da un’altezza vertiginosa. Questa cornice geometrica sottesa, identica nelle due opere, viene occupata in entrambe da figure in piedi. E’ poi fondamentale rilevare quanto una lacuna dell’affresco, con stacco di colore, alla sommità della lunga striscia appena indicata, sia utilizzata dal maestro novecentesco per rappresentare uno scorcio paesaggistico inquietante: la cima di un colle sul quale vortica il fumo del bombardamento.

 

picasso trionfo della morte-parte 3

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Né può essere sottovalutata la scelta della distanza del punto di vista in Picasso e nell’anonimo autore del dipinto palermitano. Entrambe sono ravvicinate, mentre nel Trionfo di Bruegel la visione distende in un “campo lunghissimo” l’idea di un’umanità verminosa oggetto delle oscure attenzioni della morte.

Analizzando le due opere, ciò che colpisce immediatamente è l’assoluta coincidenza tra i musi dei cavalli, scavati fino all’osso, i denti scoperti dalla consumazione della carne, la lingua tesa. E non è un caso che entrambi gli animali occupino il centro della scena

La cavalcatura della Morte, nell’affresco quattrocentesco, è costruita, soprattutto a livello del cranio e del collo, attraverso la giustapposizione di figure geometriche che devono aver attratto Picasso per una sorprendente, inconsapevole anticipazione medievale dei valori espressivi del Cubismo

Guernica induce ad ipotizzare che Picasso abbia percepito il dipinto siciliano come un insieme di blocchi geometrici, che lo abbiano guidato in un’autonoma rielaborazione. Alla destra del quadro dell’artista catalano, una figura con le mani levate occupa un rettangolo ideale, come accade per la fontana della vita e i sottostanti personaggi dell’affresco di palazzo Sclafani

I cadaveri dei vescovi e dei prelati colpiti dalle frecce della Morte occupano invece un altro rettangolo alla base dell’opera, la stessa figura geometrica che inscrive i corpi agonizzanti dei cittadini baschi

Un quadrato ideale racchiude uomini e cavallo al centro della scena in entrambi i dipinti

Il cane ringhioso si rivela per una coda nervosamente falcata e per un muso che rinviano alle corna e alla massa facciale del toro picassiano

Maestro del Trionfo della Morte, 1446, affresco staccato, cm 600x642, Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis
Maestro del Trionfo della Morte, 1446, affresco staccato, cm 600×642, Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis
Pablo Picasso, Guernica, 1937, olio su tela, cm 349x776 cm. Madrid, Nacional Centro de Arte Reina Sofia
Pablo Picasso, Guernica, 1937, olio su tela, cm 349×776 cm. Madrid, Nacional Centro de Arte Reina Sofia

Notiamo, a sinistra, un gruppo di personaggi inscritti in un ideale rettangolo di dimensioni minori, caratterizzato da uno stretto lato di base e da un’altezza vertiginosa. Questa cornice geometrica sottesa, identica nelle due opere, viene occupata in entrambe da figure in piedi Una lacuna dell’affresco, con stacco di colore, è utilizzata da Picasso per rappresentare uno scorcio paesaggistico inquietante: la cima di un colle sul quale vortica il fumo del bombardamento

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa