I segreti del pittore. Come dipingeva Tiziano Vecellio. La tecnica pittorica, la finitura con le dita. Tutte le fasi. Per capire e spiegare

Tiziano preparava un fondo con numerosi colori, alternando pennellate massicce ad altre, di striscio con una terra rossa che evidentemente gli serviva per delineare, in abbozzo, le figure o gli ingombri ai quali iniziava a dare un'evidenza con un pennello attingendo al rosso, al nero e al giallo. Questi colori, gettati rapidamente, permettevano già di vedere una figura all'apparenza tridimensionale, che sarebbe stata la base per la lavorazione successiva.

di Maurizio Bernardelli Curuz
Direttore di Stile arte, storico e critico d’arte, è autore di un cospicuo numero di studi e di pubblicazioni. E’ stato direttore di Brescia Musei, tra i 2009 e il 2014. E’ stato curatore nell’ambito delle grandi mostre e docente di Museologia e museografia. E’ iscritto all’Ordine dei giornalisti, elenco professionisti.

tiziano autoritratto[U]n terribile ed acuto lume”: così Lomazzo definì la pittura dell’ultimo Tiziano, contraddistinta da una pennellata vigorosa e sporca, da una densità materica che permea la scena e riempie gli spazi, rimpiazzando la maniera luminosa e tonale del periodo giovanile.

La preziosissima testimonianza di Palma il Giovane, riferita da Marco Boschini, ci permette di comprendere appieno il lavoro dell’artista, il suo modo di intendere il colore, e di conferire alle proprie opere una morbidezza e una sensualità impareggiabili.

Vediamo le parole di Boschini per poi renderle, in sintesi, in un italiano corrente, che ci consenta di capire la diverse azioni compiute dal maestro: “Abbassava i suoi quadri con una tal massa di colori che servivano (…) per far letto a base alle espressioni, che sopra poi li doveva fabbricare; e ne ho veduti anch’io de’ colpi rissoluti con pennellate massicce di colore, alle volte d’uno striscio di terra rossa schietta, e gli serviva (…) per mezza tinta; altre volte con una pennellata di biacca, con lo stesso pennello, tinto di rosso, di nero e di giallo, formava il rilievo di un chiaro, e con queste massime di dottrina faceva comparire in quattro pennellate la promessa di una rara figura”.Cosa significa questa testimonianza?

Tiziano preparava un fondo con numerosi colori, alternando pennellate massicce ad altre, di striscio con una terra rossa che evidentemente gli serviva per delineare, in abbozzo, le figure o gli ingombri ai quali iniziava a dare un’evidenza con un pennello attingendo al rosso, al nero e al giallo. Questi colori, gettati rapidamente, permettevano già di vedere una figura all’apparenza tridimensionale, che sarebbe stata la base per la lavorazione successiva. Venezia è preminenza del colore sul disegno. Cosa significa questa affermazione.? Che i veneti, spesso, non amavano seguire i contorni delle figure. Non amavano dipingere entro una sagoma chiusa, come, ad esempio, buona parte degli artisti dell’Italia centrale. Disegnavano, sulla tela, in modo piuttosto sommario, lasciando poi che il pennello e i colori e la luce ricreassero la verità. Soprattutto erano attratti dal colore dominante della luce e dai giochi che la luce stessa compie nel paesaggio e sui corpi.

“Dopo aver formati questi preziosi fondamenti, rivolgeva i quadri al muro – prosegue il nostro – e gli (sic) lasciava alle volte qualche mese senza vederli; e quando poi di nuovo vi voleva applicare i pennelli, con rigorosa osservanza li esaminava, come se fossero stati suoi capitali nemici, per vedere se in loro poteva trovare effetto, e scoprendo alcuna cosa che non concordasse al delicato suo intendimento, come chirurgo benefico medicava l’infermo, se faceva bisogno di spolpargli qualche gonfiezza o sovrabbondanza di carne. (…)”.

Tiziano non finiva immediatamente quadri, ma li girava, dopo l’operazione di abbozzo, contro il muro affinché decantassero, insieme, colori e idee. Soltanto dopo un periodo piuttosto lungo, quando ormai si era distanziato dal soggetto, poteva riprendere l’opera in mano, con una maggior attenzione critica e iniziare la stesura più analitica, giungendo alla pelle della pittura. Gli impressionisti osservarono con molta attenzione gli insegnamenti di Tiziano

“Così operando, e riformando quelle figure, le riduceva alla più perfetta simmetria che potesse rappresentare il bello della natura, e dell’arte; e poi fatto questo, ponendo le mani ad altro, fino a che quello fosse asciutto, faceva lo stesso e di quando in quando poi copriva di carne viva quegli estratti di quinta essenza, riducendoli con molte repliche, che il solo respirare loro mancava, ne mai fece una figura alla prima (…) ma il condimento degli ultimi ritocchi era andar di quando in quando unendo con sfregazzi delle dita negli estremi de’ chiari, avvicinandosi alle mezze tinte, ed unendo una tinta con l’altra; altre volte invece con uno striscio delle dita pure poneva un colpo d’oscuro in qualche angolo per rinforzarlo, oltre che qualche striscio di rossetto, quasi gocciole di sangue, che invigoriva alcun sentimento superficiale, e così andava riducendo a perfezzione le sue animate figure. Ed il Palma mi attesta per verità che nei finimenti dipingeva più con le dita che con i pennelli”.

tizianoSimile ad uno scultore che lavora la creta, l’artista sfrega i colori con i polpastrelli, non definisce i contorni. Disgregazione del tessuto plastico delle figure e abbandono di ogni naturalismo descrittivo, nel tentativo di esprimere una palpitazione e un’intensità psicologica straordinarie, senza precedenti.
Ma vediamo di analizzare la testimonianza raccolta da Boschini, resa in un italiano arcaico che potrebbe risultare ostico proprio perché siamo in presenza di elementi tecnici. Palma il Giovane ebbe modo di assistere alle diverse lavorazioni svolte nell’atelier di Tiziano, il quale iniziava a stendere sulla tela, come base, una massa di colori di diverse tonalità e non un “letto” monocromo, com’era uso presso molti altri artisti. La massa colorata, lasciata come sottotraccia, aveva evidentemente la funzione di accendere il dipinto e di assecondare gli effetti cromatici alla base di quella luce vibrante che caratterizza i quadri del Vecellio.

Poneva le tele contro il muro:
poi iniziava la “battaglia”
Lasciato asciugare l’olio, il pittore interveniva su questa preparazione policroma con pennellate massicce, che consentivano di estrarre il primo abbozzo delle figure, le quali venivano poi ulteriormente definite, sotto il profilo plastico, con “quattro pennellate”. Stabiliti a livello di massima gli ingombri dei corpi, il maestro poneva i quadri semilavorati contro il muro, rivolgendo verso la parete la parte dipinta. E ciò, possiamo arguire, per due motivi: il primo era connesso alla necessità di non mostrare a chi entrasse nell’atelier un’opera crudamente arretrata rispetto al percorso che sarebbe stato sviluppato successivamente; il secondo doveva coincidere con la necessità di un assestamento dell’immagine nella memoria del pittore, che evitava così un confronto costante con il semilavorato.
Concluso il periodo di decantazione – che poteva durare anche alcuni mesi -, affrontava direttamente il quadro, sistemando le figure, togliendo o aggiungendo carne con una pennellata, in una sorta di conflitto con la tela che viene ben sottolineato da Boschini (“e quando poi di nuovo vi voleva applicare i pennelli, con rigorosa osservanza li esaminava, come se fossero stati suoi capitali nemici”).

Le connessioni e le velature
realizzate con le dita
Tiziano Maddalena penitenteL’ultima fase prevedeva un intervento svolto con le dita, che, intinte lievemente nel colore e fatte scivolare su una piccola porzione di tela, consentivano di apporre gli ultimi ritocchi all’opera, soprattutto nell’individuazione dei semitoni e nella stesura delle velature finali. Ciò accadeva anche in più sedute (“di quando in quando”) qualora il dipinto, osservato in diverse condizioni di luce, richiedesse altri interventi per il raggiungimento di un perfetto accordo tra le sue varie parti.

E nell’ultimo periodo, come operava il maestro? In occasione della mostra Tiziano. L’ultimo atto, curata da Lionello Puppi, sono state eseguite indagini non invasive su una ventina di quadri dell’artista, quasi tutti successivi al 1550: le analisi ad infrarossi hanno consentito di individuare la tecnica esecutiva, che in buona parte conferma le testimonianze di Palma il Giovane. Le evidenze sono contenute nel saggio di Gianluca Poldi pubblicato nel catalogo, edito da Skira.

Una mistura di colori
alla base del dipinto

Il maestro considerava fondamentale la preparazione dell’opera, il cui fondo non è mai monocromo. Era solito realizzare un disegno di contorno sotto le sue tele: un’abitudine costante, che si riscontra tanto nella produzione giovanile quanto in quella della maturità, seppure con esiti pittorici differenti. Si tratta di un espediente funzionale alle dimensioni del quadro, all’idea nella mente, alla definizione dei dettagli già elaborati nel disegno preparatorio su carta.

Le analisi ad infrarosso confermano quanto detto: in lavori realizzati nel primo decennio del Cinquecento, come il Noli me tangere o la Sacra famiglia con un pastore, Tiziano appronta un disegno a pennello con inchiostro fluente grigio-nero, rimarcando alcune linee e lasciandone indefinite altre. Lo stesso vale per le opere della maturità, tra le quali la Pentecoste conservata alla Salute, in cui si nota la presenza di un disegno molto ampio, relativamente fine. Intorno alla metà del secolo subentrano il carboncino e il gessetto, il cui tratto viene talvolta ripassato con il pennello. Un esempio può essere fornito dalla Madonna con il bambino tra i santi Tiziano e Andrea di Pieve di Cadore, tela di notevoli dimensioni in cui è stata attestata la presenza di segni di un lapis nero o carboncino, estesi e corrispondenti alla redazione visibile: l’apertura del seno allattante della Vergine è stata segnata e ripassata.

Preziosissimi exempla del modus operandi tizianesco sono alcune pale d’altare veneziane, in cui l’artista adotta soluzioni inusitate. Le riflettografie effettuate sull’Annunciazione della chiesa di San Salvador svelano la versione originale dell’opera: l’angelo protende la mano sinistra verso la Madonna, in un gesto di incontro. Poi il ripensamento: il pittore rimodella l’ala in modo da celare il braccio e la mano. Infine adotta la soluzione delle braccia conserte, i cui profili vengono resi attraverso vigorose pennellate nere. Le analisi hanno inoltre consentito di individuare l’iscrizione originaria della pala, Titianus faciebat, corretta in un secondo momento con Titianus fecit fecit, quest’ultima testimoniante il doppio lavoro realizzato, forse in seguito alla disapprovazione dei committenti per la prima versione dell’opera. L’artista modifica pure la scritta Ignis ardens non combruens, spostandola più in basso, in modo da evitare la sovrapposizione all’aggetto del giardino.

tiziano deposizioneImprescindibile esempio della tecnica pittorica tizianesca è sicuramente la Deposizione di Cristo nel sepolcro della Pinacoteca Ambrosiana. La tela è composta dall’aggregazione di cinque parti, ma è plausibile che nascesse da un originario gruppo rettangolare. Le riflettografie hanno consentito di rilevare, in corrispondenza del corpo di Gesù, la presenza di una quadrettatura sottilissima, evidente testimonianza di un disegno di contorno sottostante, costituito da tratti ora brevi e fluidi, ora spezzati. Anche nella Maddalena e nell’uomo di fronte a lei si notano robuste ripassature scure, atte a sottolineare le ombre.

Le radiografie chiariscono la qualità del ductus pittorico tizianesco, corsivo e vigoroso o fine e preciso a seconda dei ripensamenti, testimone di un lavoro che si è protratto per lunghissimo tempo, sino alla fine della vita del maestro. Come si evince da questi esempi, la diagnostica scientifica può dare un enorme contributo alla storia dell’arte, soprattutto in un caso complesso come quello di Tiziano e della sua bottega.

La lavorazione di Tiziano e della scuola veneta differiva notevolmente da quella dei pittori dell’Italia centrale per la progressiva mancanza di un disegno preparatorio dettagliato estremamente (underdrawing) sostituito nella maggior parte dei casi da un’impostazione disegnativa ottenuta con inchiostri dati pennello o carboncino tirato poi con il pennello stesso; l’artista giungeva poi a dare maggior corpo alla silhouette tracciata, attraverso colori che creavano una massa in luce e una massa in ombra; qui si ponevano le basi del colorismo, con la possibilità di intervenire con mutamenti in fase d’opera, senza eccessivi vincoli rispetto alla prima idea. A partire da Giorgione, la scuola veneta va in direzione della pittura tonale (cfr l’approfondimento più sotto) attraverso la percezione non affidata alla linea conchiusa e plastica dei corpi, ma all’azione della luce e della reciproca influenza dei colori. Ciò fa approdare i veneti, in alcuni casi al tonalismo, cioè a una dominante, nella maggior parte dei casi, oro-marrone.

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