di Rossana Mugellesi e Stefania Landucci
[N]ella monumentale rappresentazione dei Giganti di Giulio Romano, in palazzo Te, a Mantova, al cospetto di questi corpi schiacciati dai macigni e dalle colonne spezzate, siamo colpiti da una serie di elementi che caratterizzano lo schema compositivo e che sottolineano la dimensione del rumore, elemento antipittorico per eccellenza, eppure ben congegnato, al punto da divenire deflagrante e tellurico.
I corpi giganteschi si sforzano di emergere con una poderosa tensione muscolare, i volti si impongono come maschere di sofferenza e terrore, gli occhi sono enormi e sbarrati, le capigliature lunghe e scarmigliate, le teste rifuggono da una classica frontalità per reclinarsi sovente all’indietro o di lato e, elemento più incisivo, hanno quasi tutti la bocca aperta, urlante.
Acquisiscono forza drammatica il contrasto e l’espressività che ne derivano, tra la faccia spaventosa del gigante che guarda sconvolto con l’unico occhio e il volto coperto di quello che, disperato, si rifiuta di vedere oltre: “la sua voluta cecità, accostata allo sguardo furioso e impotente degli altri, accresce l’intensità di quel terribile incubo” (E. H. Gombrich). Lo schema compositivo richiama quello di tante battaglie presenti nella ceramica e in antichi sarcofagi ma, ben lungi dal riprodurne l’ordine classico, il dipinto mantovano sembra indirizzare l’osservatore al recupero mnemonico del furore bellico e della forza espressiva che connota la Gigantomachia dell’Altare di Pergamo. La famosa opera fu voluta dal re di quella città, Eumene II, nel 188 a.C., con chiara allusione alle vittorie della dinastia sui Galati.
Probabilmente anche la Gigantomachia di Giulio Romano potrebbe, in chiave politica, relazionarsi alla vittoria di Carlo V su Francesco I di Francia o, secondo un’interpretazione religiosa e morale, potrebbe alludere alla punizione della superbia dei potenti e dell’ambizione di principi, prelati e ricchi.
Nel particolare della lotta tra Giganti e dei – grande fu la fortuna di tale modulo artistico -, si impongono la violenza e il pathos di Alcioneo alterato dal dolore: la figura è disposta su due piani diversi, il corpo è rappresentato frontalmente con le gambe divaricate e in tutta la sua tensione muscolare, il volto invece è reclinato all’indietro con i capelli che, ben scolpiti, appaiono folti e vigorosi, gli occhi sono spalancati, lo sguardo terribile e la bocca urlante.
Se, come osserva Settis, “i canoni dedotti dall’antico vengono al tempo stesso riproposti e messi in discussione con le armi sottili dell’allusione e dell’ironia”, il modulo del guerriero ellenistico, raffigurato plasticamente contro ogni equilibrio classico, sembra qui recuperato ed elaborato con tutta la forza pittorica appresa dai grandi modelli rinascimentali, in particolare Raffaello.
Ed è il dettaglio della bocca spalancata e urlante che più ha sollecitato la nostra attenzione, uno stilema che sembra divenire essenziale ed imprescindibile laddove l’artista, specie in descrizioni di battaglie, voglia far vibrare dramma e pathos.
Un esempio calzante ci viene offerto dalla Testa di uomo urlante (1503-5), uno studio riconducibile alla perduta Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci
Lo sguardo è torvo, il capo obliquo e teso in una smorfia mista di ira e di furore guerriero e, particolare fondamentale, la bocca è dilatata in modo parossistico. Nel Trattato della pittura, l’artista stesso insiste sull’importanza della fisionomica del volto per indicare lo stato dell’animo, riallineandosi, in questo, alla teorizzazione antica della stretta corresponsione tra passione ed espressione facciale: il richiamo più convincente resta quello delle ripetute descrizioni dell’uomo irato da parte di Seneca nel De Ira.
Modulo antico e sensibilità moderna, un possibile cammino interpretativo per arricchire la lettura di Giulio Romano e della Sala dei Giganti, che si presenta, anche sotto il profilo architettonico, come un amplificatore del rumore. Sono la grandezza dell’evento e la sua rumorosità a proiettare l’artista a livelli epici.
NEL VIDEO PALAZZO TE E LA SALA DEI GIGANTI, MANTOVA