[M]onsignor de la Bouillerie, nei due volumi Le symbolisme de la nature (1864) esplora le immagini simboliche contenute nella natura che si configurano come segni attraverso il quale la divinità parla agli uomini. L’indagine sistematica svolta dal prelato francese, che contò sull’augusta prefazione firmata da papa Pio IX, si basa su quelle fonti di natura biblica, patristica e devozionale che costituirono elementi di ispirazione per le pianificazioni dei dipinti, tra il Cinquecento e l’Ottocento. Un materiale di eccezionale interesse che ci consente di leggere con sempre maggiore efficacia le opere della tradizione pittorica di matrice cristiana: un lessico che, nel tempo, a causa della secolarizzazione, è andato in buona parte perduto.
Tra i capitoli di quella che si profila come un’enciclopedia del simbolo religioso, troviamo un’interessante disamina dedicata alle virtù della più umile figura d’animale: l’asino. Ma vedremo che, al di là del tracciato cristiano, l’asino è stato usato dai pittori – che si rifacevano in questo modo al linguaggio classico, come nel caso di Botticelli – con la funzione di simbolo dell’incapacità di capire. Se nel lessico simbolico cristiano l’animale rappresenta la purezza degli ultimi – ben interpretata dal mulo con il quale Donatello narra l’episodio del riconoscimento dell’ostia -, secondo le fonti classiche esso raffigura, con i suoi orecchi ragguardevoli, chi non è in grado di intendere e di volere. Con un’eccezione augusta: quella dell’asino d’oro di Apuleio.
Come i lettori ricorderanno, nell’ambito di questo romanzo dell’antichità, Lucio, il protagonista, per un errore nella somministrazione di un unguento magico diventa asino, pur mantenendo la mente e la sensibilità umana. Ciò gli consentirà di entrare nei segreti degli uomini e di vedere il mondo da un punto di vista totalmente inedito.
Ma vediamo di iniziare questo breve viaggio attraverso gli elementi simbolici positivi evidenziati dall’iconografia cristiana.
Rappresenta l’umiltà
e il buon cristiano
“Tra gli animali che ci servono – scrive De La Bouillerie – l’asino occupa l’ultimo posto. Meno bello e meno nobile del cavallo, meno robusto del bue, non è altro che il piccolo servo del povero, con la sua montatura, il suo tiro, il suo essere bestia da carico; e mentre altri animali, per la finezza e la vivacità del loro istinto, imitano in qualche modo l’intelligenza umana, l’asino rimane nell’opinione degli uomini come l’emblema dell’ignoranza e della limitatezza dello spirito. Ecco tuttavia che questo umile animale, oggetto delle canzonature di tutti, ci è mostrato in parecchie parti dei nostri santi libri compartecipe in sante azioni e ornato di bei privilegi che lo nobilitano agli occhi del cristiano: e ricorda continuamente che ciò che è piccolo e disprezzabile per gli uomini diventa sovente oggetto di preferenza da parte di Dio. L’asino è il simbolo dello schiavo, ed in questo senso è un emblema del nostro corpo che non deve mai essere che l’umile e docile servitore della nostra anima”.
“Si racconta di San Francesco d’Assisi che aveva l’abitudine di chiamare il suo corpo ‘Fratello asino’ – prosegue De La Bouillerie -. E questo grande santo la cui anima serafica conduceva sulla terra una vita tutta celeste, trattava il suo corpo come il più vile degli animali. Tutti i santi hanno agito in questo modo e la loro preoccupazione sembra essere stata quella di applicare al loro corpo le parole dell’Ecclesiaste: ‘Il foraggio, il bastone ed il carico spettano all’asino, il pane, la punizione ed il lavoro allo schiavo’. L’asino non è che un povero servitore schiacciato dai fardelli, che si disprezza e si prende in giro; ciò non importa, è il simbolo delle anime semplici ed umili ed è di esso che è stato scritto: ‘Dio comunica i suoi segreti ai semplici’”.
La mite asina Balaam
parla in nome di Dio
Il dialogo tra Balaam e la sua asina è contenuto nel libro biblico dei Numeri. “L’asina di Balaam – scrive l’iconologo cristiano dell’Ottocento – indirizza rimproveri molto sensati al suo padrone che usa verso di lei un cattivo trattamento e vuole costringerla a camminare mentre un angelo le sbarra la strada. Con le sue giuste osservazioni l’asina costringe Balaam a fissare lo sguardo sull’angelo ed ascoltare gli ordini del Signore. E quel falso profeta che era venuto da molto lontano per maledire Israele, scoprendo dall’alto delle montagne quei campi sacri, non pensa, da quel momento in poi, che a benedirli”.
La scelta non casuale
della cavalcatura
del Re dei Re
Giotto ricostruisce, nella padovana cappella degli Scrovegni, la scena dell’arrivo di Gesù a Gerusalemme, sul dorso di un asino, che egli rende con un intenso realismo. La scelta della cavalcatura non risulta casuale, da parte del Messia.
“Un privilegio ancora più prezioso – afferma De La Bouillerie ne Le symbolisme de la nature – è concesso all’asina quando il Signore si degna di scegliere questo umile animale per la sua cavalcatura e con esso entra trionfalmente nella città di Gerusalemme. E’ in quell’occasione che i fanciulli cantano: ‘Osanna al figlio di Davide!’. E’ in quell’occasione che i rami verdi ed i vestiti dei poveri coprono la strada percorsa da Gesù Cristo e che si avvera la parola del profeta: ‘Ecco che viene da noi il re pieno di dolcezza’. (…)
Gesù Cristo, dice San Crisostomo, non si siede né su un carro circondato di porpora e d’oro, che è il segno della potenza, né su un cavallo focoso, che è l’emblema dell’audacia e della guerra, ma su un’asina che ama la tranquillità e la pace. Quest’asina è dunque qui ancora l’immagine delle anime semplici e tranquille che, felici di portare il giogo leggero del Signore, non aspirano ad altra gloria, ma nello stesso modo in cui partecipano all’ovazione di Gesù Cristo che entra in Gerusalemme, così continuano il suo trionfo ed il suo Regno nei secoli successivi; infatti, il Re della pace sceglie sempre quelle creature che secondo il mondo sono meno sagge per confondere i saggi, sceglie i deboli per confondere i forti. Sceglie i più vili ed i più spregevoli, sceglie ciò che non è niente per distruggere chi è qualcosa”.
L’asino simboleggia
i Gentili,
il bue il popolo eletto
Un significato allegorico di grande interesse emerge anche nell’ambito della rappresentazione della Natività. La coppia asino-bue, oltre ad essere elemento che configura la semplice, naturale devozione degli animali nei confronti del Creatore e a caratterizzare la povertà dell’ambiente in cui Gesù è venuto alla luce, simboleggia il popolo ebraico e quello dei gentili, cioè i non ebrei, i pagani.
La presenza abbinata dei due animali realizza anche una profezia. “E’ in quel momento – ricorda De La Bouillerie – che si compie la parola del profeta Isaia: ‘Il bue ha riconosciuto il suo maestro, l’asino ha riconosciuto la stalla dove il suo maestro lo nutre’. La parte fedele del popolo ebraico ha visto in Gesù Cristo il divino legislatore di cui Mosè non era che una lontana anticipazione. E il gentilesimo – ci dice Sant’Ambrogio -, che fino a quel momento non si era nutrito che del fieno vile dell’errore, ha compreso che il suo vero alimento era il pane disceso dal Cielo”.
Il piano simbolico che unisce l’immagine dell’asino a quella dei Gentili emerge in modo particolare dall’esame di un altro episodio evangelico, precedente all’entrata di Gesù in Gerusalemme. “Tutti i santi dottori
– scrive infatti De La Bouillerie – attribuiscono all’asina cavalcata da Cristo un secondo significato non meno bello. Simbolo, come abbiamo appena visto, della servitù e dell’ignoranza, l’asina rappresenta il gentilesimo, sottoposto esso stesso al peccato di Adamo, reso grave col passare del tempo da un’ignoranza profonda del vero Dio. L’evangelista Matteo riferisce che il divino Maestro ordina ai suoi apostoli di slegare il puledro e l’asina e di condurli a lui. Gli apostoli obbediscono a quell’ordine; conducono a Cristo le due cavalcature e, dopo avere steso sul dorso dell’asina i loro vestiti, vi fanno sedere Gesù. E’ così – continuano i dottori -, che il gentilesimo, con la voce degli apostoli, ha visto spezzarsi i legami dell’errore che lo tenevano prigioniero ed è stato condotto alla conoscenza del vero Dio”.
“Noi avremo modo di far notare – conclude De La Bouillerie – che il popolo ebraico, abituato fin dall’origine ai servizi dell’antica legge, è rappresentato dal bue, mentre l’asino, come abbiamo detto in precedenza, è l’emblema del gentilesimo. Così, ogni volta che la sacra scrittura ci descrive questi due animali riuniti, il nostro pensiero deve portarsi in direzione delle due parti del popolo eletto: il giudaismo fedele ed il gentilesimo convertito”.
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