di Gualtiero Marchesi
L’artista è la mano. Il colore è il tasto. Il pianoforte è l’anima. Parole sacrosante, queste di Kandinskij. Pensavo all’importanza di tale concetto, alla sua valenza rivoluzionaria, quando, nella vetrina di un negozio di Parigi, ho visto un set di ciotoline cinesi di ceramica rossa, dalla forma insolita. La coincidenza mi ha impressionato; non ho resistito, sono entrato e le ho acquistate. Le immaginavo composte sulla superficie d’un tavolo, distese in un ordine-disordine fantastico, colmate ognuna da una diversa vivanda, con le conseguenti peculiarità di volumi, di forme, di consistenza, di sapori; di colori, soprattutto. Questa corolla cristallizzata e sfiorita, gocciolante il suo ampio spettro di cromie, mi appariva, indubitabilmente, come un omaggio sincero al genio del maestro russo. Molto si è detto – a proposito di Kandinskij – degli influssi dello Jugendstil e del fauvisme; e molto degli echi rimbombanti e mai sopiti delle tradizioni della sua terra, dei richiami a radici e memorie, a firmamenti trascorsi da cirri imbizzarriti, a orditi di stoffe ubriache di motivi gagliardi. A me, però, è sembrata illuminante la sottolineatura critica di chi ha parlato di “evaporazione” della materia, di un processo quasi chimico – ma che potrebbe essere stato desunto, perché no, dall’arte e dalla scienza culinaria – contrapposto alla sublimazione, ossia alla semplificazione, all’anelito alla purezza che avrebbe trovato in un altro grande artista russo del tempo, Malevic, uno dei massimi assertori. Al kandinskiano inno alla complessità multifaccia della natura, alle mille espressioni di un cosmo fragorosamente variegato, mobilmente incline alle metamorfosi, ho inteso dunque dedicare la mia composizione. Così, le pareti delle ciotoline cinesi rilucevano per me del riverbero dei tasselli cremisi infiammanti quello straordinario capolavoro che è l’ “Ovale bianco” della Galleria Tret’jakov (opera che, dopo esser stata esposta di recente a Roma, sarà possibile ammirare nella bella mostra in programma alla Fondazione Mazzotta a Milano). Ed i rimandi continuavano, ricalcando nobiltà dell’estro e affettuosa condivisione della familiarità delle cose semplici, figlie della terra e dell’acqua: il giallo della zucca fritta, il verde della senape che accompagna lo spiedino di fegatini di pollo, l’arancione del gambero, il rosa della capasanta cruda allo zenzero, il marrone della guaina di mandorle che ricopre il formaggio, il nero dell’anguilla, il bianco dell’uovo alla neve… Ho creduto di avvertire, alla fine, il gusto dolce di sincroniche vibrazioni, di un comune pensare, e sentire, di una fratellanza tra mondi ed arti diversi, ma forse neppure poi tanto.
Alle forme che evaporano. Ai pigmenti che si liquefano in letizia. Perché è proprio vero che “l’artista è la mano, il colore è il tasto, il pianoforte è l’anima”, un’anima che esulta alla sinfonia dei martelletti ticchettanti. “Ovale bianco”, un olio su tela eseguito da Kandinskij nel 1919 e conservato nella Galleria Tret’jakov di Mosca, è l’opera che ha ispirato la composizione di Gualtiero Marchesi. Dal 17 febbraio al 10 giugno, sarà possibile ammirare questo dipinto all’interno della mostra “Kandinskij, tradizione e astrazione in Russia”, in programma alla Fondazione Antonio Mazzotta di Milano.