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di Roberto Manescalchi
Nella storia dell’arte ci sono i luoghi deputati e quel che voglio dire è facile da comprendere che è semplice intuire la valenza dell’Atene di Pericle, della Firenze del Quattrocento, della Roma di Caravaggio, della Parigi a cavallo tra Otto e Novecento. Luoghi deputati quindi cui vanno aggiunti i must o pietre miliari, segni imprescindibili, fari nel buio…
La Venere di Milo (Fot.1), il Cristo Risorto di Piero (prima che fosse restaurato, Fot.2), la Gioconda (Fot.3), la madre di Rembrandt (Fot.4), il più bel nudo di Modigliani (collez. privata Ginevra diverso e un po’ più piccolo di quello battuto da Christie’s (Fot.5) cfr. su queste pagine:
https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/modigliani-e-la-scandalosa-modella-elvira-ritratto-inedito-e-foto-di-nudo-i-nuovi-indirizzi-della-ricerca/
Punti imprescindibili per l’orientamento, il non smarrirsi, la certezza del cammino dei cultori della bellezza. Ma oggi, forse in vena di miserie, vi parliamo dell’osteria di Gigi Porco e di sua figlia. L’osteria di Gigi Porco in canto alle cinque lampade (angolo via Ricasoli via de’ Pucci a Firenze, Fot.6) fu certamente luogo deputato. Luogo deputato allo scherno di sicuro e da sempre. Le cinque lampade sono quelle votive, in ferro battuto, di un tabernacolo, fissate all’intradosso di un arco a tutto sesto che conferisce al monumento le sembianze di un’edicola. Il tabernacolo è costituito da due nicchie di dimensioni differenti.
Gli affreschi all’interno delle nicchie hanno più o meno identico soggetto, Madonna in trono con Bambino e Santi. Uno del Trecento ed uno del Cinquecento, ma della loro storia non ci è dato oggi di poterci occupare. Ci preme piuttosto ricordare che la casa sul cui spigolo sono incastonate le nicchie sembra sia stata (quantomeno è così ricordata) come l’abitazione del celebre pittore Buffalmanco, conosciuto ai più come protagonista degli scherzi ai danni del collega Calandrino in numerose novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio ed ecco il perché del luogo deputato allo scherno. Nello stesso preciso luogo, all’interno e all’esterno della bettola osteria di Gigi Porco scherzi di vario tipo e natura si sono perpetuati fino a notte fonda per tutto l’Ottocento. Ciò è avvenuto ad opera di un gruppo di giovani artisti squattrinati che dietro gli insegnamenti di Giovanni Fattori diedero vita al più innovativo e rivoluzionario movimento pittorico mondiale tra Ottocento e Novecento.
Da Livorno e Firenze portarono il loro credo in Francia. Diedero spesso e volentieri lezione ai francesi con cui si mischiarono e confrontarono senza timore reverenziale di alcun tipo e che sono purtroppo quasi sconosciuti eccezion fatta per l’ultimo che da li, dai pittori della macchia, muove, ma che seppe portare una ventata così nuova e rivoluzionaria da ammaliare Parigi e il mondo intero. Si è celebrato il 12 luglio ultimo scorso il 135° anniversario della sua nascita: Amedeo Clemente Modigliani… livornese e toscano. Senza Fattori e senza i macchiaioli forse Modigliani non avrebbe avuto motivo di essere e o non sarebbe stato il più grande artefice del Novecento. Prima del ritrovo al caffè Michelangelo furono frequentatori assidui del cibo, soprattutto salumi e vino, di Gigi Porco: Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Giuseppe Moricci, Angiolo Tricca, Odoardo Borrani, Saverio Altamura e tanti altri.
Ai tavolini di Gigi Porco mangiavano e bevevano gomito a gomito con politici del calibro di Francesco Domenico Guerrazzi e del meno noto, a livello nazionale, ma ben conosciuto a Firenze Beppe Dolfi, il fornaio mazziniano di borgo San Lorenzo che aveva ispirato e animato la pacifica rivoluzione del 27 aprile 1859. Da Gigi Porco si potevano incontrare anche letterati quali Carlo Lorenzini (il Collodi di Pinocchio) e, se tiravano tardi, cosa non infrequente, potevano godere del profumo dei galletti arrosto che ordinavano Giosuè Carducci ed i suoi amici. A volte gli avventori di Gigi Porco, dopo una nottata di fervidi pensieri, uscivano alle otto per una mattina di meritato sonno, dopo aver visto passare, intorno alle sei, un giovanissimo Giovanni Giolitti che alle sei e trenta era già al Casino della Livia (sede del Ministero delle Finanze) agli ordini di Quintino Sella. Ma non confondete e giudicate che molti dei Macchiaioli avevano già fatto il loro a Curtatone e Montanara affiancati ai battaglioni degli universitari pisani. Carlo Lorenzini in “Occhi e nasi” ricorda altre due osterie in cui si poteva tirar tardi, probabilmente presenti nella stessa area e o in aree limitrofe: Beppe sudicio e Cencio Porcheria. La scarsa igiene dei locali, considerati i nomi, era probabilmente una costante, ma delle ultime due non ci è stato dato di reperire ulteriori tracce. Dell’uscita dal locale di Gigi Porco ci restano due splendide caricature di Angiolo Tricca. La prima pubblicata in “Caricaturisti e Caricaturati del caffè Michelangelo” di Telemaco Signorini (collez. Laura Rosai Tricca, reca la nota sul verso al centro: Gigi Porco, Fiorucci, Pollastrini, Moricci, Fot.7)
e la seconda in collezione privata già degli eredi di Tricca battuta poi da Christies (Londra asta 7568 dell’8/11/2007, Fot.8, -la piccola foto dal catalogo d’asta serve, purtroppo, solo per labile traccia-). Del sembiante del Porco ci restano l’accenno all’oste sull’uscio di bottega (Fot.7) e la mirabile descrizione di Carducci: “faccia di ciompo da bene”. Ed eccoci giunti al must: la figlia del Porco ad imperitura memoria. Non si tratta della Venere di Milo (Fot.1) e neanche della Anadiomene di Tiziano (Fot. 9)
per carità, ma da ricordare certamente, prima che la storia se ne dimentichi e che le immagini siano perdute nel disinteresse generale. Eccola in uno studio preparatorio, sdentata e con la faccia bestiale, sempre della matita caustica di Angiolo Tricca (Fot.10), in un taccuino di proprietà dell’erede di Tricca già citata e (Fot.11) nella splendida redazione finale che oggi ci pare di ricordare nel museo Salvatore Ferragamo di Firenze.
Infine due elaborati molto vicini da studiare attentamente che bisognerebbe valutare bene se nati da soggetti diversi realizzati attraverso l’uso di identiche procedure caricaturali che tendono a mutare in animalesca la fisiognomica del volto e o se di Gigi Porco rappresentino la figlia in età diversa e o la madre e sorella (insomma la famiglia e o le donne della trattoria). La prima già in collezione del più grande critico e storico dei macchiaioli dott. Carlo Pepi, Fot. 12 (lo ringrazio e lui sa perché) e la seconda sempre di proprietà degli eredi Tricca (Fot.13)
Luoghi deputati e pietre miliari (must)… la trattoria e la figlia di Gigi Porco ed è pochissima cosa voi penserete e non è affatto così. La sera del 12 in fortezza vecchia a Livorno, nell’occasione della celebrazione del 135 anniversario della nascita di Modigliani, intanto che osservavo la mirabile architettura di Antonio Da Sangallo il Vecchio deformazione dello storico dell’architettura, un altro grande vecchio (Carlo Pepi), livornese nel profondo del cuore, ha esplicitato una mirabile e generosissima offerta (fot.14).
Si è proposto di offrire alla città, in comodato d’uso gratuito, per un congruo lasso di tempo da stabilire, mille e dico mille opere eseguite da macchiaioli e post macchiaioli dalla sua preziosissima collezione privata. Che Livorno rinasca e si risvegli e che diventi luogo deputato e che i macchiaioli vedano ben oltre il ricordo della figlia di Gigi Porco e che diventino finalmente must. Che l’amministrazione civica, da poco, rinnovata, non perda, forse, l’ultima occasione. Ci sono buone speranze che l’iniziativa, questa volta, è sponsorizzata dal Tirreno, (istituzione, luogo deputato e un must per questa terra). Con l’auspicio che possa essere sostenuta, come pare, anche da importanti associazioni e soggetti in grado di fornire alla bisogna le adeguate risorse. Pepi dona, ma esporre mille pezzi non è uno scherzo. Eppure la città, anche in vista del 2020, anno della celebrazione del centenario della morte del suo figlio più illustre, non può perdere questa grandissima occasione di riscatto. I Macchiaioli sono suoi e Livorno deve urlarlo con forza. È dovere etico e morale, viatico per nuove e future generazioni. Devo aver letto da qualche parte, se ben ricordo: “questi lavori (i capolavori raccolti da Pepi) sono quasi tutti riprodotti in cataloghi e libri curati e firmati da Carlo Pepi, proposti quindi come autentici, in varie esposizioni. Ci siamo scrupolosamente dedicati anche al riscontro dei documenti che a volte corredano incisioni, disegni, acquerelli, dipinti. La provenienza dei pezzi solo in alcuni casi è stata accertata ed è quantomai varia…” Finiamola qui! Le opere della collezione Pepi sono tutte autentiche, non c’è un falso neanche a cercarlo con il lumicino che il falso non è contemplato nella testa dell’uomo ed il culto della bellezza è in lui spinto oltre ogni limite ed eccesso possibile ed immaginabile. Ne ho ormai viste e tenute in mano a centinaia di opere sue e mi sono arricchito di emozioni in quantità industriale. Donne, dipinti, cataloghi curati e firmati da lui medesimo? E chi le doveva amare le donne se uscivano con lui? Chi li doveva curare e firmare i cataloghi, di grazia e per favore, chi me lo sa dire? Li doveva firmare e curare chi non sapeva e chi non era in grado di farlo? Solo lui sapeva, nei minimi particolari, dei segni e degli stilemi ricorrenti dei livornesi tutti… Macchiaioli e post macchiaioli per frequenza assidua e documentata. Registrate le sue testimonianze e fatene patrimonio. Ogni più piccolo frammento di foglio con un appunto, anche apparentemente insignificante è, invece, testimonianza precipua e significativa. Testimonianza che sarà patrimonio cospicuo e di grande valore per il futuro di Livorno. Che non sia occasione persa. Questo grande vecchio è da ascoltare. Ha guadagnato sul campo il diritto ad essere ascoltato e soprattutto, in ultimo aetatis suae, è da onorare!
La figlia di Gigi Porco e le osterie dei macchiaioli. Alla ricerca del tempo perduto
Carlo Lorenzini in “Occhi e nasi” ricorda altre due osterie in cui si poteva tirar tardi, probabilmente presenti nella stessa area e o in aree limitrofe: Beppe sudicio e Cencio Porcheria. La scarsa igiene dei locali, considerati i nomi, era probabilmente una costante, ma delle ultime due non ci è stato dato di reperire ulteriori tracce. Dalle caricature di Tricca al Corpus macchiaiolo di Carlo Pepi