Nella mitologia greca, Europa era la figlia di Agenore re di Tiro, antica città fenicia e colonia greca. Zeus, innamoratosi di costei,
decise di rapirla e si trasformò, per questo in uno splendido toro bianco. Mentre coglieva i fiori in riva al mare Europa vide il toro che le si avvicinava. Era un po’ spaventata dall’animale, che si rivelava comunque bellissimo e dotato di un candore del vello che sembrava indicarne l’origine sovrannaturale.
Zeus, irredimibile seduttore, decise di agire con prudenza per evitare che la ragazza fuggisse. Il toro si sdraiò, infatti, ai piedi di Europa, che si tranquillizzò. Poiché il toro era mansueto e si lasciava accarezzare, Europa sedette sulla groppa dell’animale che, all’improvviso, si gettò in mare e la condusse fino a Creta.
Zeus si ritrasformò in dio e le rivelò il suo amore. Ebbero tre figli: Minosse, Sarpedonte e Radamanto. Minosse divenne re di Creta e diede vita alla civiltà cretese, culla della civiltà europea. Il nome Europa, da quel momento, indicò le terre poste a nord del Mar Mediterraneo. Assai raramente gli autori latini citano i termini “Europa” ed “europei”.
Il primo che usa il termine con un significato assai pertinente fu, alla fine del VI secolo, l’abate irlandese San Colombano, futuro fondatore dell’abbazia di Bobbio, che lo citò (tutus Europae) in una delle lettere al papa Gregorio Magno, per indicare tutte le terre del continente. L’origine del nome Europa non appare condivisa. Un tempo si riteneva che derivasse dall’Ereb – occidente – secondo la definizione dei fenici. Ma è probabilmente nella radice èu- [dal gr. εὖ, εὐ- “bene” “buono”] che si trova la chiave per aprire la parola stessa. Il mito della fanciulla rapita dal toro rappresentò anche le insidie alle quali un intero continente era esposto a causa delle politiche espansionistiche del mondo musulmano. Le corna del toro rappresentarono la mezzaluna islamica. Quindi ciò che si può penare è che, a livello psicologico, la concezione di Europa nasce come fronte unitario di reazione rispetto a un comune nemico, più che per reale coesione. E forse qui sta proprio la debolezza del soggetto politico.
di Alessandra Zanchi
Gli Uffizi ospitarono una mostra dedicata al mito d’Europa, ovvero all’iconografia della fanciulla fenicia, rapita da Giove. Gli episodi del mito di origine greco-romana furono esaminati attraverso centocinquanta tra dipinti, sculture, opere di arte decorativa e manoscritti, in un percorso cronologico decisamente ampio che dall’antichità giungeva al XX secolo. Intervistammo la curatrice, Cristina Acidini Luchinat..
Ci racconti dell’origine del mito e di come e quando il nome “Europa” diviene quello del nostro continente. Vi è solo una ragione etimologica o anche storica?
Non si sa precisamente quando il continente viene battezzato “Europa”. Tuttavia, già ai tempi dell’antica Grecia si collegava il nome tratto dal mito amoroso al territorio. Anche sull’etimologia non vi è nulla di certo, ma la maggior parte degli studiosi concorda nel significato di “oscurità”, e quindi nell’identificazione con l’occidente in quanto luogo geografico dove tramonta il sole. Punto cardinale verso cui per altro si dirigevano i popoli orientali che migravano in Grecia, come ci rivela il mito stesso attraverso il viaggio della fanciulla dal sud-est della Fenicia al nord-ovest di Creta.
Quali sono le novità e le differenze iconografiche tra l’Umanesimo del XV secolo, in cui si assiste ad un appassionato interesse per la favola di Europa, e le raffigurazioni dell’antichità classica con lo stesso soggetto?
La differenza si potrebbe sintetizzare nel modo seguente: le opere antiche giunte fino a noi mostrano raffigurazioni molto descrittive e con un gusto narrativo alquanto dettagliato. Ne sono un esempio le belle pitture vascolari o le decorazioni sulle ceramiche, in cui il mare è evocato non solo con i consueti motivi ondulati, ma altresì con sequenze concatenate di polipi e pesci veramente fantasiosi. Nel momento del “revival” di questo tema, a partire dal Rinascimento, si assiste invece ad una sorta di codificazione degli episodi principali della storia in due o tre scene: l’arrivo del toro e la fanciulla assisa sopra di esso; il rapimento e la partenza per mare; il viaggio accompagnato da Nettuno e, solo in pochissimi casi, l’approdo a Creta. Un’iconografia che rimane invariata nei secoli successivi, fino all’Ottocento, quando la fortuna della mitologia subisce una battuta d’arresto, sovrastata dalla pittura di storia e dal realismo.
Il Cinquecento – quindi subito dopo la scoperta dell’America – è il secolo di maggior attenzione alle caratteristiche culturali e naturali dei continenti e alle loro differenze. Con il mito d’Europa si sono pittoricamente confrontati, tra gli altri, Raffaello, da una lato, e, dell’altro, la scuola veneta con Tiziano, Tintoretto, Veronese e Bassano. Sembra che la collocazione geopolitica non sia ininfluente sull’impiego di questo tema in pittura…
I pittori del Cinquecento amano cicli mitologici complessi sul tema degli Amori di Giove, ma in effetti l’area veneta merita un’attenzione particolare. Tiziano creò un’intensa ed emozionante immagine della fanciulla disperata, in equilibrio sul toro che la conduce rapido per mare. Veronese invece dipinse un’indimenticabile “toeletta” d’Europa prima del rapimento, pervasa di languore amoroso. Certo, geograficamente Venezia era l’avamposto contro l’Islam, e quindi il mito d’Europa incarnava la difesa dell’Occidente cristiano. Ma per contro la Serenissima fu, sia pure per breve tempo, in guerra con la lega di Cambrai, promossa nel 1508 dal Papa e dai sovrani di Francia, Spagna, Ferrara e Mantova. Europa fu dunque per qualche tempo il simbolo di un’alleanza nemica della fierezza e della orgogliosa indipendenza della città lagunare. Nel secolo della scoperta dell’America si assiste inoltre alla nascita di una nuova iconografia: la personificazione dei continenti in quattro donne con relativi attributi (quelli dell’Europa simbolo di nobiltà e cultura, al fine di ribadire il primato sugli altri).
In Emilia invece è diverso. Cosa ci racconta in proposito?
Gli artisti emiliani, dai Carracci a Guido Reni, riprendono la carica di sensualità tipica delle descrizioni antiche e descrivono con enfasi i languori e la sofferenza della rapita, con una buona dose di patetismo che prelude ormai al barocco.
La fortuna del mito pare non diminuire neppure nei secoli successivi. Tra gli artisti del Sei e Settecento, vi è qualcuno che ha affrontato il soggetto rappresentandolo con caratteristiche non tradizionali o assolutamente nuove?
Citerei, in ambito secentesco, da un lato la trionfale composizione di Luca Giordano con la sua festosa scena affollata di dei, semidei e mostri marini, laddove Europa è vista come sposa felice e futura madre; dall’altra la tragica immagine di Rubens del 1638, quando l’Europa era impegnata nella guerra dei Trent’anni. Opera descritta dall’artista stesso, in cui la donna viene rappresentata in modo alquanto originale: consegnata la corona e lo scettro ad un putto, si lancia vestita a lutto nella mischia, nell’estremo e disperato tentativo di porre fine alla guerra di religione che la dilania. Vorrei sottolineare che nella mostra presentammo anche esempi dedicati a personaggi collegati al mito. Deviazioni per esigenze di varietà ed esaustività, che illustravano per esempio le vicende del fratello di Europa, Cadmo, fondatore di Tebe e inventore dell’alfabeto; o quelle di Aracne in gara, come narra Ovidio, con Minerva nella realizzazione di una coperta, decorata con la favola di Europa, che suscita l’invidia della rivale e che le costa la trasformazione in ragno. Altri argomenti collaterali sono legati all’astrologia, con Giove-toro assunto a costellazione, e all’astronomia, con i quattro satelliti del pianeta Giove scoperti da Galileo nel 1610 e nominati dalla comunità degli astronomi Io, Callisto, Ganimede e, appunto, Europa.
Dipinti a parte, può farci qualche significativo esempio di scultura e arte decorativa con questo soggetto? E più in generale, chi erano i committenti delle opere con la fanciulla rapita dal Toro?
Quanto alla scultura, ci sono diversi bronzetti, per esempio quelli cinquecenteschi del Padovani e gli esempi settecenteschi del fiorentino Foggini. Sono opere di piccole dimensioni perché di committenza sostanzialmente privata e destinate a luoghi intimi, vista la consueta raffigurazione del mito con sfumature erotiche. Non manca poi tutta una serie di oggetti d’arte applicata che va dalle tabacchiere agli orologi e a quant’altro con decorazioni sul tema. Una consuetudine, quest’ultima, diffusa soprattutto in Francia nel Settecento, sulla scorta della pittura di Watteau e Boucher, con scene arcadiche e pastorali trasposte anche sui manufatti.
Non mancano infine esempi più vicini a noi: opere di Klee, Ernst e Picasso.
Luisa Passerini ha identificato due filoni portanti rispetto all'”utilizzo” del mito d’Europa nella pittura contemporanea. Uno a scopo politico-satirico, soprattutto nel caso di Klee e di Ernst, avente a bersaglio la tirannia di Hitler sull’Europa. L’altro rivolto a sottolineare l’emancipazione della donna nella società moderna.