Le stilettate di Zana. Con Segantini. La chiesa dell’infanzia non perde le voci

Giovanni Segantini, A messa prima, 1884-1886, olio su tela, 108 x 211 cm. St. Gallen, Schweiz, Kunstmuseum St. Gallen
STILETTATE
di Tonino Zana
​L’amarcord è una stilettata gradevole, però è una stilettata.
Oggi ritorniamo in chiesa, nella chiesa dell’infanzia e dell’adolescenza, lì si trova una verginità e una felicità che non sono più riapparse e sono identiche in ogni posto del mondo.
La chiesa dell’infanzia non perde le voci. Le ho riascoltate alla Vespertina dell’altra sera, nel Coro. Ho rivisto il viso di un amico perso nella notte della vita, saliva sui quattro gradini dell’altare quando il sacerdote rientrava dalla comunione al popolo e prendeva il Signore in una bocca per tutti cariata. I dentisti sarebbero arrivati di lì a pochi anni e intanto ci pensava il medico di famiglia a toglierti il dente, con o senza ascesso, quando non ne potevi più.
Francesco, prima di entrare sull’altare, esigeva il prestito dell’orologio, voleva la Comunione con l’orologio bene in vista, per le ragazze, mica per Gesù, oppure per entrambi, per Gesù e per le ragazze. Ci bastava così poco e mai avremmo immaginato, di rincorrere, negli anni a venire, un consumo in cui l’orologio dà fastidio e se ne ordini uno di gran marca devi attendere sei mesi quasi fosse una Ferrari.
Dopo la Comunione ci si dava da fare con la lingua per levare la particola dal palato, per non soffocare, che fu una delle prime grandi paure dei nostri primi anni.
Si rispondeva in latino e non si capiva nulla e si dicevano parole inaudite. Eppure, le vecchiette cantavano in latino perfetto un latino intraducibile. Così affogavamo in quella Messa in cui la predica sarebbe potuto durare quaranta cinquanta minuti.
Fuori trovavamo la luce anche se nevicava e fino a 18 anni, la sera, nei giorni di scuola o di lavoro, il paese avrebbe fatto a meno di te. Volevamo soltanto qualcosina di più, niente altro.
Forse, dovremmo seminare per quel qualcosina di più e niente altro di quel che ci serve per vivere la vita. Non parlo di ritorno alla povertà, guai, parlo di un invito alla libertà di firmare il proprio destino.

Condividi l'articolo su:
Maurizio Bernardelli Curuz
Maurizio Bernardelli Curuz