A cosa serviva il piccolo, elegante carro portato alla luce in queste ore a Civita Giuliana, nei pressi di Pompei, sotto la cenere solidificata dell’eruzione del Vesuvio del 79? Perchè quelle illustrazioni erotiche? Non si conoscono precedenti, in tal senso, su un mezzo di trasporto antico per quanto i carri giunti fino a noi siano rarissimi. Questo tipo di carro è un vero e proprio unicum in Italia non solo per il livello di conservazione, in quanto non abbiamo solo le singole decorazioni ma l’intero veicolo, ed anche perché non è un carro da trasporto per i prodotti agricoli o per le attività della vita quotidiana, già attestati sia a Pompei che a Stabia.
Vediamo, prima di compiere una ricognizione sull’arte erotica romana, le modalità di rinvenimento del carro. “Gli interventi portati avanti nel corso degli ultimi mesi hanno richiesto un’attenta pianificazione da parte di un team interdisciplinare che ha coinvolto archeologi, architetti, ingegneri, restauratori, vulcanologi, operai specializzati ma anche, man mano che lo scavo procedeva, archeobotanici ed antropologi. – spiegano i responsabili dell’intervento – Si è quindi proceduto ad uno scavo che ha raggiunto i 6 metri di profondità rispetto al piano stradale, mettendo in sicurezza sia i fronti di scavo che le possenti strutture murarie – conservate fino a 4 m. – che emergevano nel corso delle indagini”
Lo scavo dell’ambiente dove è stato rinvenuto il carro ha mostrato fin dall’inizio la sua eccezionalità: si tratta infatti di un portico a due piani, aperto su una corte scoperta, che conservava in tutta la sua interezza il solaio ligneo carbonizzato con il suo ordito di travi”.
Secondo gli studiosi il carro a quattro ruote è probabilmente identificabile, sulla base delle notizie tramandate dalle fonti e dei pochi riscontri archeologici ad oggi noti, con un pilentum, un veicolo da trasporto usato nel mondo romano dalle élites in contesti cerimoniali.
“Su alte ruote in ferro, connesse tra loro da un sistema meccanico di avanzata tecnologia, si erge il leggero cassone (0.90 x 1.40 m), parte principale del carro, su cui era prevista la seduta, contornata da braccioli e schienale metallici, per uno o due individui. – scrivono gli archeologi – Il cassone è riccamente decorato sui due lati lunghi con l’alternanza di lamine bronzee intagliate e pannelli lignei dipinti in rosso e nero, mentre sul retro termina con un complesso e articolato sistema decorativo che prevede tre distinti registri con una successione di medaglioni in bronzo e stagno con scene figurate. Questi, incastonati nelle lamine bronzee e contornati da motivi decorativi in esse ricavati, rappresentano figure maschili e femminili a rilievo ritratte in scene a sfondo erotico. La lamina bronzea è inoltre decorata nella parte superiore con piccoli medaglioni, sempre in stagno, che riproducono amorini impegnati in varie attività. Nella parte inferiore del carro si conserva una piccola erma femminile in bronzo con corona”.
Lo studio del rapporto tra ogni singola figura, quanto l’approfondimento sull’ambiente del ritrovamento consentiranno di restringere il range delle ipotesi.
“Nella stalla adiacente già indagata – dicono gli studiosi – ricordiamo che era stato possibile realizzare oltre al calco della mangiatoia, il calco di un cavallo di grande taglia, che presentava ricche bardature in bronzo. Nello stesso ambiente si rinvennero altri due cavalli, uno riverso sul fianco destro e uno sul fianco sinistro, di cui non è stato possibile realizzare il calco, a causa dei danni causati dai tunnel dei tombaroli e alla conseguente cementificazione delle cavità, che ne avevano distrutto il contesto di ritrovamento. Sono state tuttavia rinvenute altre bardature in bronzo, pertinenti ad una sella e altri elementi da parata, di sicura correlazione con il carro rinvenuto”. Molto probabilmente – anche perchè nell’insieme delle raffigurazioni è stata trovata l’immagine di un’erma femminile, il materiale iconografico si riferisce a un mito religioso, in modo unitario e convergente.
Arte ed eros
a Pompei: gli esempi
Se nella Villa dei Misteri la sessualità finalizzata al matrimonio era una citazione rituale, nel lupanare di Pompei i dipinti parietali si configurano come una sorta di enciclopedia delle posture amorose. Certo non è possibile pensare a immagini raffinate come a quelle del Kamasutra, che dischiude anche le più poetiche – e improbabili – danze d’amore. Ma le varianti dell’atto sono qui censite secondo quella che, in una catalogazione quantitativamente più limitata rispetto ai barocchismi orientali, era la prassi in uso.La funzione esercitata dai dipinti era legata all’eccitazione maschile che, com’è ben noto, è inizialmente visiva.
Le opere nelle quali appaiono le congiunzioni umane – con predominanza della cosiddetta postura del guerriero, con l’uomo supino e la donna che incombe su di lui (nella foto) completata da altri dipinti pompeiani che delineano la postura more ferarum – si rivelano peraltro come precipue opere di pornografia, finalizzate alla preparazione del rapporto sessuale.
Il lupanare di Pompei è un edificio di modeste dimensioni, strutturato con ingressi indipendenti. Si è ipotizzato che al piano terreno avessero accesso i clienti delle classi più modeste – che consumavano il rapporto sessuale su letti in muratura – e al piano superiore s’aprissero invece le stanze da letto della clientela di riguardo. Più ampie e ariose. Non è invece escluso che il primo livello del lupanare fungesse da luogo di esposizione della “merce” e che la tenutaria della casa accompagnasse i clienti stanza per stanza, dove, sui letti erano sdraiate le giovani prostitute. I dipinti sovrastanti consentivano di immaginare ciò che di lì a poco sarebbe avvenuto con la donna. Al Museo Archeologico di Napoli è conservato uno stupendo strappo di pittura erotica nel quale in ginocchio un giovane prende more ferarum una magnifica bruna (qui sotto), nuda nella parte inferiore del corpo: qualcuno aggiunse al dipinto lente impelle, spingi lentamente – risultava essere un’esortazione e una regola da imporre ai focosi frequentatori dei postriboli.
Passando in rassegna le figure erotiche pompeiane, è possibile stilare la linea preferenziale degli antenati. Prevalgono scene con la donna in posizione dominante, seguite dalla raffigurazione di rapporti sessuali a tergo, mentre meno diffuse sono le immagini della cosiddetta” postura del missionario”, quella che nell’Italia dell’Ottocento e del Novecento risultava la posizione maggiormente praticata. A Pompei sorgevano venticinque lupanari, un numero elevato, se si considera che la popolazione complessiva era di ottomila-diecimila abitanti. Pompei era comunque una zona di forte afflusso commerciale e mercantile, anche grazie agli approdi navali. Il sostantivo lupanare, com’è noto, deriva da lupa che, in latino, significava prostituta.
Per Messalina, la moglie dell’imperatore Claudio – si erano sposati quando lei aveva 14 anni e lui una cinquantina – la frequentazione del postribolo di Roma, nei pressi del Circo Massimo, come prostituta, era una deviazione della sessualità, un’ipertrofia del desiderio erotico. Si presentava completamente depilata, con i capezzoli cosparsi d’oro, il bistro agli occhi e le labbra intensamente colorate dal rossetto. In un postribolo aveva la propria cella, dove i concedeva, a pagamento, senza rivelare la propria identità e si presentava con il nome di Lysisca. La deviazione sessuale della giovane imperatrice era comunque nota a Roma. Tornava verso il mattino «esausta per gli amplessi, ma mai soddisfatta, rincasava: con le guance orribilmente annerite e deturpata dalla fuliggine delle lampade, portava la puzza di bordello nel letto dell’imperatore». La ninfomania di Messalina fu tollerata dall’imperatore Claudio fino al momento in cui la donna, innamoratasi, si sposò con il proprio amante. A quel punto Claudio ne ordinò la morte. Anche la linea ereditaria fu mutata. Britannico, figlio di Messalina e Claudio non diventò imperatore e il suo posto fu assunto da Nerone, figliastro di Claudio, che aveva sposato Agrippina.
LE ISCRIZIONI SUI MURI DEI BORDELLI DI POMPEI
Hic ego puellas multas futui. «Qui ho fottuto molte fanciulle»
Hic ego, cum veni, futui, deinde redei domum. «Qui io, dopo il mio arrivo, ho fottuto; dopo me ne sono ritornato a casa»
Fututa sum hic. «Qui sono stata fottuta»
Myrtis, bene felas. «Myrtis, tu succhi bene»
Hinc ego nun futui formosam puellam laudatam a multis, sed lutus intus erat. «Qui ho appena fottuto una formosa fanciulla lodata da molti, ma dentro era fangosa»
(CIL, IV 2175; 2246; 2217; 2273; 1516)