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Nasce Santhia’ (VC) nel 1955 , vive e lavora a San Benigno Canavese (TO) Consegue la maturità artistica al Primo Liceo Artistico di Torino e frequenta lo studio torinese del Prof. Romano Campagnoli, da cui apprende le nozioni incisorie.
La sua ricerca pittorica si concentra sulla ritrattistica e sul movimento quotidiano della gente
in luoghi affollati come metropolitane, stazioni, centri commerciali..
Partecipa a prestigiosi concorsi come il Premio Arte ed è due volte tra i finalisti in mostra a Milano, vince il Premio Olivero a Saluzzo e il Premio Artemisia ad Ancona , oltre ad altri lusinghieri riconoscimenti.
La sua attività espositiva conta personali a Milano, Perugia, Bologna,Sarzana, partecipazione a fiere internazionali in Belgio, Austria, Corea del Sud e a mostre collettive in tutta Italia.
FERMA L’ATTIMO
La pittura di Liliana Cecchin,
vincitrice del premio
assegnato da Stile
alla diciottesima edizione
del concorso di Sarezzo,
rivela l’urgenza
di bloccare sulla tela
le immagini fugaci e convulse
della vita metropolitana
E’ la metropoli la linfa della poetica di Liliana Cecchin; una fonte inesauribile e feconda, da cui desumere considerazioni attuali e mai scontate.
Immagini fugaci, scatti fotografici sfocati che indagano ogni scorcio – la banchina gremita di una stazione ferroviaria, l’ingresso di un centro commerciale, i marciapiedi calpestati da centinaia di passi rapidi e decisi – nell’urgenza di arrestare l’istante, rendendo immortale il contingente.
Un universo convulso e nervoso, affollato di macchiette dai volti indistinti che incedono frenetiche e avulse verso la meta, incuranti l’una dell’altra: viaggiatori, uomini d’affari, signore avvolte in lunghi cappotti e sciarpe che passeggiano per le vie del centro impugnando le borse della spesa… Nessuno spazio al dialogo, all’affetto, alla definizione dell’individuo; al contrario, una moltitudine omologata e confusa, ma soprattutto sola, come ribadisce efficacemente l’autrice in questi brevi versi: “Sempre più soli tra la gente percorriamo la vita / che scorre sotto ai nostri piedi”.
Ad immortalare questa umanità anonima e un po’ isterica una pittura morbida, giocata su contrasti luminosi e contorni vaghi, imprecisi. E la riflessione viene portata all’estremo nelle tele in cui Liliana Cecchin decide di abbassare improvvisamente la prospettiva, inquadrando solo le gambe: la distanza tra il fruitore e i soggetti diviene incolmabile, la folla, relegata sullo sfondo, si fa ancora più lontana e indefinita, i visi svaniscono, frangendo l’illusione di poter osare un riconoscimento.
La tavolozza si riduce ad una monocromia sui toni dell’azzurro e del marrone, ogni certezza si dissolve, un sentimento di solitudine misto ad apatia e indifferenza verso l’altro si impadronisce dello spettatore e quasi lo divora. “I suoi personaggi – ha scritto Elisa Bergamino, – metafora della modernità sconvolta e anonima che abita le nostre metropoli, sono spesso ripresi da dietro, in lontananza o con visi indefiniti come indefinito è il rapportarsi con la folla, con gli estranei che ogni giorno affollano le nostre vite. L’arte di Cecchin non è però alienante, anzi, scavando nell’indole dell’uomo porta alla luce l’essenza del mondo, quasi un nuovo realismo per una pittura che vive anche di puntigliosa ricerca stilistica, di sapiente impostazione formale”. (alessandra troncana)