I lavori di scavo coordinati dall’archeologo Jacopo Tabolli hanno fatto riemergere il corpo di una statua di Apollo che era alta 180 cm. Lo ha comunicato poco fa l’Università per stranieri di Siena. San Casciano, nei pressi di Siena, continua a rivelare tesori eccezionali. L’ultimo ritrovamento, anticipato in esclusiva all’ANSA dal Prof. Jacopo Tabolli dell’Università toscana, è una monumentale statua di Apollo giovinetto, alta quasi due metri, che caccia una lucertola. Questa statua in marmo è una copia da un originale in bronzo del celebre scultore greco Prassitele. Il ritrovamento, insieme a un donario in pietra bilingue e a numerosi oggetti in bronzo, terracotta e cristallo, svela affascinanti altri dettagli sulla vita quotidiana del santuario.
Il Direttore Generale dell’Archeologia, Luigi La Rocca, commenta entusiasta che San Casciano “non smette di stupire”, evidenziando che oltre ai bronzi, ci sono ora anche statue di marmo, a volte repliche di originali greci, a testimonianza della diversità sociale dei frequentatori del santuario.
Il sito, inizialmente identificato come un piccolo edificio sacro, si è rivelato essere un tempio più ampio, con un portico ornato da colonne e una grande vasca coperta da un podio decorato con statue monumentali, tra cui si ipotizza possa esserci quella dell’Apollo giovinetto. Un complesso architettonico e idraulico che, in continuità di culto, si sovrappone a un antico sacello etrusco, le cui mura sono state recentemente scoperte.
L’Apollo ritrovato, sebbene purtroppo frammentato, conserva un enorme valore scientifico. Il Prof. Tabolli spiega che la statua fu deliberatamente rotta e gettata nella vasca al momento della chiusura definitiva del sito nel V secolo dopo Cristo, forse come atto rituale pagano, di protezione o iconoclastico cristiano.
L’archeologo Emanuele Mariotti, direttore dello scavo, condivide l’emozione di questa scoperta, descrivendo il momento in cui le gambe del dio sono emerse dall’acqua, nascoste da una colonna posta per sigillare il sito. Mariotti sottolinea la stretta connessione tra l’acqua della sorgente e il suo valore sacro nel tempio, rivelato anche dal ritrovamento di lucertole in bronzo, legate alle cure oftalmiche.
L’Apollo di San Casciano, benché spezzato, potrebbe avere un ruolo significativo legato alla medicina e alle pratiche di guarigione svolte nel tempio toscano. La statua di Prassitele, di cui l’Apollo è una copia, è stata oggetto di diverse repliche romane, ma questa scoperta offre un contesto specifico e un collegamento potenziale con la medicina, suggerisce il Prof. Tabolli.
Insieme al ritrovamento dell’Apollo di un anno fa e agli altari dedicati al dio, San Casciano emerge come un luogo che ha ospitato una lunga storia di malattie e guarigioni, angosce e speranze, sviluppandosi attraverso sette secoli di continuità culturale.
La penultima campagna di scavi ha permesso il rinvenimento – come i lettori ricorderanno – del più grande deposito di statue in bronzo di età etrusca e romana mai scoperto nell’Italia antica e uno dei più significativi di tutto il Mediterraneo.
Si tratta di oltre venti statue che raffigurano le divinità venerate nel luogo sacro assieme agli antichi dedicanti. L’eccezionale stato di conservazione all’interno dell’acqua calda della sorgente ha permesso di preservare le iscrizioni in etrusco e latino che furono incise sulle statue.
La gran parte di questi capolavori dell’antichità si data tra il II e il I secolo a.C. Si tratta di un periodo storico di grandi trasformazioni nella Toscana antica, nel passaggio tra Etruschi e Romani. In quest’epoca di grandi conflitti tra Roma e le città etrusche, ma anche di lotte all’interno del tessuto sociale di Roma, nel santuario del Bagno Grande nobili famiglie etrusche e romane dedicarono assieme le statue all’acqua sacra.
Un contesto multiculturale e plurilinguistico assolutamente unico, di pace, circondato da instabilità politica e guerra. Le statue dovevano essere posizionate sul bordo esterno della grande vasca sacra e ancorate sugli eleganti blocchi in travertino. A più riprese – sicuramente nel corso del I secolo d.C. – le statue furono staccate dal bordo della vasca e depositate sul fondo. Un mutamento dell’orizzonte culturale? Un semplice cambiamento del rito?
La vasca ha restituito più di cinquemila monete romane (in oro, argento e lega di rame) datate prevalentemente tra il I ed il III secolo d.C. che, come gli altri reperti, sono state offerte in questo luogo sacro.
Dunque non si tratta di uno scarico di materiale sacro nell’acqua calda – hanno detto gli archeologi – bensì di una deposizione rituale, mediata con la divinità. Gli atti votivi proseguirono poi fino al IV secolo d.C., mentre agli inizi del V secolo d.C. il santuario venne smantellato e chiuso e il grande tesoro sacro nella vasca fu coperto da grandi tegole e al di sopra vennero calate le colonne del portico sacro a suggellare la chiusura definitiva del luogo di culto”.