Quasi duemila anni dopo, la devastante eruzione del Vesuvio del 79 d.C. – raccontata dagli storici romani Plinio il Giovane e Don Cassio – continua ad affascinare gli studiosi. Steven L. Tuck, professore di lettere classiche all’Università di Miami negli Stati Uniti, ha appena sintetizzato le prove che confermerebbero che almeno 200 persone sono sopravvissute alla mortale pioggia di cenere caduta sulle città di Ercolano e Pompei, seguita da una spaventosa ondata di calore elevatissimo. In realtà il numero dei sopravvissuti sarebbe ben superiore.
Per sostenere la sua tesi, il ricercatore americano si è concentrato sui resti dispersi piuttosto che su quelli esistenti. Ha notato in particolare che alcune “casseforti” erano state svuotate, che carri e cavalli erano scomparsi dalle stalle e che i resti delle barche erano scomparsi. Questi dettagli suggeriscono che diversi abitanti riuscirono a lasciare la zona pericolosa prima della catastrofe vulcanica.
Il professor Tuck ha analizzato cognomi unici pompeiani come Numerius Popidius e Aulus Umbricius, cercando tracce di queste famiglie nelle città circostanti Pompei ed Ercolano. Dopo un’indagine durata circa otto anni, ha trovato elementi su lapidi e iscrizioni che indicano la sopravvivenza di abitanti in dodici paesi vicini alle città distrutte. Ad esempio, cita l’insediamento della famiglia Caltilio a Ostia, una città portuale dedita al commercio del grano situata all’estremo nord del Golfo di Napoli.
Secondo l’accademico di Miami, gli imperatori romani, in particolare Tito e poi Domiziano, compresero l’entità della catastrofe e fornirono aiuti economici alla Campania devastata. Roma ricostruì strade, acquedotti e anche templi e anfiteatri nelle città che si affacciavano sul Golfo di Napoli, forse aiutando anche le rare famiglie che riuscirono a fuggire in tempo da Pompei ed Ercolano.
L’esistenza di sopravvissuti è fortemente plausibile perché l’eruzione non fu improvvisa, ma progressiva. Chi non si mosse non lo fece, inizialmente, pensando che fossero fenomeni transitori. A quel punto dal cielo iniziarono a cadere lapilli che si depositavano sui tetti delle case. Iniziarono i crolli. In molti casi le persone morirono per il crollo dei soffitti. Ci fu qualche ora di tempo, pertanto, per mettersi in salvo.
L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che distrusse le città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplonti ebbe infatti inizio il 24 agosto del 79 d.C. e durò circa due giorni. Ecco una sintesi dell’andamento dell’eruzione:
- Fase iniziale (24 agosto, ore 13 circa):Il Vesuvio iniziò a eruttare una colonna di gas, cenere e pomici che si innalzò per decine di chilometri nell’atmosfera. Dalla costa Plinio il Vecchio e i familiari notarono, dopo pranzo, lo strano fenomeno, come racconta Plinio il Giovane.
- Fase di caduta di cenere e lapilli: durante la notte e fino al mattino del 25 agosto, una colonna di cenere e lapilli continuò a fuoriuscire dal vulcano, ricoprendo l’area circostante.
- Flussi piroclastici (25 agosto): Nel pomeriggio del 25 agosto, l’eruzione entrò in una fase più violenta con il collasso della colonna eruttiva, che causò flussi piroclastici: nubi ardenti di gas, cenere e frammenti di roccia che scivolarono rapidamente lungo i fianchi del Vesuvio.
- Conclusione dell’eruzione: Dopo due giorni di attività intensa, l’eruzione terminò. Pompei e le città circostanti erano completamente sepolte e abbandonate. Questa fase durò circa 18 ore e causò una pioggia di pomici che si accumulò su Pompei e le altre città vicine, portando al crollo dei tetti e alla morte di molte persone intrappolate nelle case. Le città vennero progressivamente sepolte da strati di materiale vulcanico, causando ulteriori danni strutturali e difficoltà respiratorie per gli abitanti. Questi flussi devastanti raggiunsero Pompei, Ercolano e altre località, uccidendo chiunque non fosse già fuggito e seppellendo ulteriormente le città sotto metri di detriti vulcanici.
- Le vittime dell’eruzione morirono principalmente per asfissia e traumi fisici causati dal crollo degli edifici e dai flussi piroclastici.
Il numero esatto di abitanti della città nel 79 d.C. non è conosciuto; le stime variano tra seimila e ventimila persone. Il numero di vittime ritrovate è di circa millecentocinquanta, ma considerando le aree della città ancora inesplorate, si stima che le vittime totali possano essere circa milleseicento. È importante notare che la maggior parte della popolazione riuscì a mettersi in salvo fuggendo nei primi stadi dell’eruzione.
Tra le circa millecentocinquanta vittime accertate, trecentonovantaquattro sono state trovate negli strati inferiori di lapilli, morte principalmente all’interno di edifici crollati sotto il peso dei materiali vulcanici accumulati sui tetti. Altre seicentocinquanta vittime sono state ritrovate nella parte superiore dei depositi piroclastici, morte all’esterno, colpite dalle nubi ardenti durante la seconda fase dell’eruzione. Molti abitanti di Pompei tentarono di proteggersi dalle ceneri e dai lapilli coprendosi la bocca con un cuscino; quelli che cercarono rifugio fuggendo verso porta Ercolano trovarono una morte sicura, mentre la salvezza era più probabile per coloro che fuggirono attraverso porta Stabia verso il mare, nonostante la spiaggia fosse battuta da onde causate dai continui terremoti e la maggior parte delle barche fosse distrutta.