[N]el tempo, il turbante viene utilizzato in pittura anche al di fuori del contesto originale, saldandosi alla tradizione delle “teste di invenzione”. Nate nel Cinquecento come dettagli di composizioni più ampie e studi sulla bellezza ideale, nel Seicento esse diventano oggetto richiestissimo dai collezionisti.
Maestri nel genere delle “teste all’orientale”, o “teste di fantasia alla turchesca”, furono in Italia Guido Reni, Guercino e Domenichino. Nel Settecento, ad eccellere in questo filone, tra gli altri, Piazzetta e i Tiepolo, padre e figlio.
Sotto il profilo formale, il copricapo esotico rinvia al mistero e al potere, crea un contrasto tra le culture abbottonatissime del turbante – utilizzato, come ben sappiamo, da musulmani, induisti e sikh – e la cultura occidentale del nudo, rinvia alle eleganti immagini rinascimentali — che poi esamineremo – caratterizzate da una sintesi degli abiti e dei costumi occidentali e orientali, nonostante i due blocchi politico-religiosi fossero in contrasto bellico pure allora. Il turbante, il cui nome deriva dal persiano antico dūlband con il quale si indicava appunto il copricapo maschile, fu oggetto di ammirazione da parte degli occidentali. E non per semplici motivi estetici, comunque sempre presenti poiché il copricapo stesso, a differenza di quelli occidentali, segnala con forza il volto e dà un peso formale rafforzato alla testa. La cultura araba, nel Medioevo, era divenuta un punto di riferimento in quanto aveva rielaborato e trasferito il pensiero dei greci – soprattutto di Artistotele – avviato la ricerca scientifica, su un piano materialista, avvicinandosi e facendo proprio il pensiero di Aristotele, attraverso Averroè.
Era la testa resa ingombrante da questi regali cappelli che apparivano calcati sulle teste di grandi intellettuali arabi, come apparivano dalle illustrazioni degli incunaboli, a colpire l’immaginazione degli intellettuali italiani, che riconoscevano al mondo arabo un notevole ruolo, a livello di substrato, della sintesi tra classicismo e modernità. Nei Paesi bassi e a Venezia, poi, dove le culture si incontravano e si scontravano quasi quotidianamente, non solo si affacciò la moda del turbante, ma esso divenne espressione della libertà dell’intellettuale. Venezia era un centro culturale di primaria importanza, in Europa, anche perchè la censura era blandaVenezia era un centro proto-capitalista che viveva sulla libera circolazione delle merci e delle idee – e molti scrittori, filosofi, alchimisti e poeti, decidevano di far stampare nella Serenissima i propri libri. Tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento, gli intellettuali avevano vagheggiato l’idea che i tre pensieri principali e le tre religioni fondamentali dei popoli mediterranei – cristianesimo, ebraismo e islamismo – si incontrassero, commisurandosi con gli antichi greci e romani.
Un sogno che durò poco e che trova, tra le numerose testimonianze, anche i tre filosofi di Giorgione, Nel celeberrimo ritratto dipinto da Raffaello, per il quale posa, arbitro d’ogni raffinatezza di ogni perfetto cortigiano – inteso nel senso nobile del termine – il principe dei dandy , Baldassarre Castiglione, il diplomatico, scrittore e pensatore, indossa ciò che appare come una revisione occidentale del cappello orientale.