Salvador Dalí non sopportava la pittura russa e, soprattutto, non poteva pensare, lui figurativo di matrice surrealista e metafisica, nel dissolvimento dell’arte in un orizzonte di pura astrazione. Quindi sparò a zero su Vasilij Kandinskij. “Kandinskij? – disse – E’ ineluttabile, non ci potrà mai essere un pittore russo. Kandinskij avrebbe potuto fare dei magnifici manici di bastone”. Né il suo giudizio acquistava benignità accostandosi a Pablo Picasso, che russo non era. Visitando il museo del celebre artista catalano, accompagnato dall’attrice Amanda Lear, Dalí sentenziò: “Guarda questo quadro, sembra un sacco di patate!… ma lo sai che quando inizia una tela non sa neppure che cosa ha intenzione di dipingere? Una volta gli ho domandato che cosa stava facendo e lui mi ha risposto: ‘Voglio dipingere una testa di Madonna, ma forse alla fine, verrà fuori una capra, vedrò che cosa succederà’. Riesci a figurarti un pittore che non sa che cosa sta per dipingere?”. Dalí, mosso da un forte narcisismo, non era certamente persona che potesse offrire uno sguardo di accondiscendenza nei confronti degli altri.
Figuriamoci, allora, gli strali lanciati ai pittori. “Braque è una merda” affermò in un’altra occasione. Ne “Gli insulti hanno fatto la storia” di Alfredo Accattino – libro uscito per i tipi della Piemme – numerose sono le frasi caustiche – all’interno di una straordinaria antologia che raccoglie le battute al vetriolo di attori, scrittori, cantanti, uomini dello spettacolo, politici e personaggi storici – dedicate al mondo dell’arte. Prendiamo Gore Vidal, che cercò di sintetizzare lo “spontaneismo” di Andy Warhol. “Il solo genio – affermò – con un quoziente di intelligenza di 60”. Ma del resto lo stesso Warhol avrebbe confessato l’origine del suo ricercatissimo disimpegno intellettuale: “Non ho mai voluto essere un pittore – affermò – Volevo diventare un ballerino di tip tap”. Al centro di giudizi devastanti anche i titani della pittura. William Blake, poeta, incisore, pittore (1757-1827), si chiese “perché mai Tiziano e i pittori della scuola veneta dovrebbero essere menzionati in un discorso sull’arte. Tali idioti non sono artisti”. E idiota, per estensione, era, a suo parere, anche El Greco. Quest’ultimo, avendo attinto anima e corpo al pittoricismo veneto – che non poggiava poi molto su solide basi grafiche -, non sopportava il disegno dettagliato delle scuole dell’Italia centrale, sicché affermò senza ombra di dubbio: “Michelangelo era un brav’uomo, ma non sapeva disegnare”.
E sempre a proposito di disegno “centroitalico”, Picasso avrebbe sentenziato qualche secolo dopo: “Una volta disegnavo come Raffaello, ma mi ci è voluta una vita intera per disegnare come i bambini”. Affermazione, la sua, che contiene la verità di una pittura alla ricerca dell’eloquente semplicità delle origini. Ma non è possibile nemmeno rifugiarsi nel mito della schiettezza primigenia, perché subito, caro Picasso, ti trovi un Andy Warhol, ancora lui, che dice di te: “Ho letto che Picasso aveva fatto quattromila capolavori nella sua vita e ho pensato: ‘Gesù, potrei farli in un giorno’”. Evviva la sincerità della serigrafia. Evviva l’estensibilità del monotipo. E Robert Chroscicki, da buon passatista, sparò sulla spontaneità dei modernissimi: “Dalla morte di Caravaggio e Borromini a oggi l’arte è stata soltanto spazzatura. E in mezzo a tanti rifiuti quelli più tossici e flatulenti sono gli scarabocchi finto-ingenui di quel furbacchione matricolato Visa generation di Keith Haring. Pace all’anima sua”.
L’astratto è spesso fonte di equivoci, come quello in cui cadde Cyril Asquith che, di fronte a un dipinto di Paul Klee, ebbe a dire: “I suoi quadri non sembrano quadri, sembrano il campionario di una fabbrica di linoleum”. Nemmeno gli impressionisti furono risparmiati. “Provate a spiegare al signor Renoir – scrisse Albert Wolfe – che il torso di una donna non è una massa di carne in decomposizione, con le macchie di verde e di violetto a indicare lo stato di completo disfacimento del cadavere”. E concludiamo l’assaggio del libro di Accattino con tre stupende fucilate. D’Annunzio su Marinetti: “Fesso fosforescente”. Peter Ustinov su Botticelli: “Se fosse vivo oggi, lavorerebbe per Vogue”. Ed Ennio Flaiano sulla pittura “comunista” di Guttuso: “C’è qualcosa che non va in Guttuso. Piace troppo ai datori di lavoro”.
Pittori lapidati. Gli insulti e le critiche più offensive nei confronti dei grandi maestri
Dalí spara a zero su tutti. El Greco considera Michelangelo un dilettante. E Marinetti, Picasso, Raffaello, Warhol, Klee e Renoir? Ecco un saggio di stilettate. D’Annunzio su Marinetti: “Fesso fosforescente”. Peter Ustinov su Botticelli: “Se fosse vivo oggi, lavorerebbe per Vogue”. Ed Ennio Flaiano sulla pittura “comunista” di Guttuso: “C’è qualcosa che non va in Guttuso. Piace troppo ai datori di lavoro”