Pompei, come furono recuperati i corpi dei fuggiaschi? Lo spiega il Parco archeologico

Nel 1863, la grande svolta, favorita dall'intuizione di un ricercatore. Si era accorto di strane cavità sotto la cenere indurita che stava sopra l'antica Pompei, così....

Fotografie: Parco archeologico di Pompei

Tra i volumi dei corpi colti nell’estrema fuga dalla furia del Vesuvio figurano quelli “catturati” dai calchi dell’Orto dei fuggiaschi, a Pompei. “Il metodo dei calchi, ideato da Giuseppe Fiorelli nel 1863 e applicato ancora oggi non solo ai corpi, ma anche ai reperti organici, è un qualcosa di unico, che esiste solo a Pompei. – spiegano gli studiosi del Parco archeologico – Quando l’archeologo esegue uno scavo nell’area vesuviana, trova una particolare stratigrafia dovuta alle modalità del seppellimento e al susseguirsi delle diverse fasi che si sono succedute durante l’eruzione.
La prima fase dell’eruzione fu caratterizzata dalla caduta di lapilli, una sorta di grandine di pomici di piccola dimensione che ricoprì gli spazi aperti, le strade e i cortili, facendo crollare i tetti di alcune abitazioni”.

“Successivamente vi fu invece la fase di caduta di cenere che penetrò ovunque riempiendo ogni vuoto ed avvolgendo ogni cosa, alternata al susseguirsi di flussi piroclastici, le cosiddette “nubi ardenti” che a forte velocità ed alta temperatura percorsero in più ondate il territorio provocando distruzione e morte. La cenere, indurita, costituisce quello che viene comunemente chiamato “tuono”, uno strato molto resistente”.

“In questa cenere indurita spesso gli archeologi rinvengono dei vuoti, causati dalla decomposizione di sostanze organiche: può trattarsi di elementi in legno come mobili, infissi, oggetti ma anche di corpi degli individui. – analizzano gli esperti del Parco archeologico di Pompei – Nel vuoto viene versata una miscela di gesso ed acqua fino a riempirlo totalmente. Lasciato asciugare il gesso, si può procedere nello scavo e si mette in luce ciò che aveva determinato il vuoto: la cenere indurita ha conservato infatti, come uno stampo, il volume, la forma e la posizione dell’oggetto o del corpo che era stato sepolto. Questa impronta di gesso solidificato è chiamato calco”.

Il calco in gesso era ed è utilizzato anche nell’arte, da parte degli scultori che “rubavano”, in questo modo le fattezze dal soggetto da rappresentare o nelle maschere funerarie.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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