di Stefano Maria Baratti
La galleria Castelli a New York (18 East 77th Street) propone una mostra personale dell’artista Robert Morris (fino al 14 Novembre 2015), intitolata MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDS, otto sculture che rappresentano una tematica costante dell’autore americano: la dinamica del corpo umano. Le sculture sono state eseguite con una tela pattina belga in lino, immersa nella resina epossidica su un modello umano, rimossa ad essicazione effettuata.
Il critico Carter Ratcliff scrive che «pochi sono gli artisti contemporanei che dimostrano di voler rappresentare l’inevitabilità fuggevole dell’esistenza, e l’interazione tra figure che, disassemblando il corpo fisico, evocano terrore, morte, consolazione, lutto e pianto.» Le figure di Morris, posizionate in una coreografia fantastica, senza riferimenti a luoghi precisi, ma con elementi plausibili dovuti alla natura del terreno e dell’aria, denotano cavità vuote all’interno degli indumenti con ambiguità concettuali, forme, segni e volumi immaginari .
La messa in scena di questi personaggi fantastici rivela un grado di complessità che richiama gli otto pleurants, il gruppo delle statuette piangenti eseguite da Carl Sluter – il maggiore scultore di stile gotico internazionale dell’Europa settentrionale – che si trovavano sulla tomba di Philippe Pot, siniscalco del duca di Borgogna. Questa coesistenza impossibile fra vuoto e pieno, accentuata dalla mobilità di personaggi di un repertorio drammatico privo di contesto, propone un linguaggio gestuale universale attraverso movimenti corporei e gestualità teatrali in grado di produrre astrazioni, oppure di fabbricare condotte non verbali che caratterizzano un ricco corredo di sensazioni insolite.
Dal 1966, Morris collabora saltuariamente alla rivista Artforum proponendo una serie di articoli incentrati sulla nuova trend artistica definita anti-form e alla fenomenologia della creazione. Le sue realizzazioni artistiche in effetti si sono sempre accompagnate a un vasto corpus di saggi e altri scritti, i suoi lavori spaziano dagli oggetti al linguaggio alle installazioni ambientali, tese a esplorare diverse tecniche e una grande varietà di materiali. Negli anni cinquanta organizza con la moglie Simone Forti (ballerina e coreografa di origine italiana), movimenti comuni basati sui rapporti del corpo con lo spazio, il tempo, il suono e la luce. Inizia inoltre a collaborare con lo Judson Dance Theater di New York, curando la coreografia di una serie di danze che sottolineano il relazionarsi con i grandi oggetti e la manipolazione del corpo umano. Anche in questi frangenti il rapporto del corpo con lo spazio circostante, con il linguaggio, il tempo, il suono e la luce da forma ai suoi lavori. Si dedica intanto alla scultura realizzando assemblaggi in uno spirito neodadaista.
Dalla metà degli anni Sessanta si è imposto come protagonista della minimal art con sculture modulari in lega di alluminio, legno, fibra di vetro, plastica e altri materiali industriali. I suoi lavori spaziano dagli oggetti al linguaggio alle installazioni ambientali, tese a esplorare diverse tecniche e una grande varietà di materiali, anche in metallo e in vetroresina. A partire dal 1967 cominciano ad apparire una serie di scatter pieces per la Process Art (Anti Form) e la Land Art (Earthworks), importanti momenti per la scultura minimalista, consistenti in ammassi di materiali eterogenei (lana, terra, detriti, feltri, pezzi irregolari di metallo, ecc.) ammucchiati o sparsi sul pavimento in imprevedibili composizioni. Nel 1974 riceve il Guggenheim International Award e, nel 1975, lo Sculpture Award della Four Arts Society.
Il gusto per la sperimentazione lo porta a utilizzare sempre nuovi materiali elaborati in una base pittorica che codifica inquietanti assemblaggi, nei quali la casualità è spesso una componente essenziale. È presente alla Biennale di Venezia del 1980 e, nel 1987, nella mostra Avant-Garde in the Eighties, presso il County Museum of Art di Los Angeles. Tenace sperimentatore, nelle opere più recenti Morris ha riscoperto l’esigenza di una più diretta osmosi tra i materiali che trova piena manifestazione nelle sue recenti assemblaggi nelle mostre personali e retrospettive (Guggenheim Museum, Castelli e Sonnabend a New York; Musée National d’Art Moderne-Centre Pompidou, Parigi) dove elabora una serie di soluzioni che s’inseriscono nell’ambito dell’arte concettuale, sempre evitando di definire la sua identità artistica attraverso un unico medium, forma o una struttura unica, ma evidenziando un processo mentale dell’operazione artistica in continua evoluzione.
Robert Morris, danza e lacrime delle statue nei sudari pietrificati
Alla galleria Castelli di New York. La messa in scena di questi personaggi fantastici rivela un grado di complessità che richiama gli otto pleurants, il gruppo delle statuette piangenti eseguite da Carl Sluter - il maggiore scultore di stile gotico internazionale dell’Europa settentrionale - che si trovavano sulla tomba di Philippe Pot, siniscalco del duca di Borgogna. Questa coesistenza impossibile fra vuoto e pieno, accentuata dalla mobilità di personaggi di un repertorio drammatico privo di contesto, propone un linguaggio gestuale universale attraverso movimenti corporei e gestualità teatrali in grado di produrre astrazioni, oppure di fabbricare condotte non verbali che caratterizzano un ricco corredo di sensazioni insolite.