Scavi nel forte romano. Guardate. Bellissimo. Recuperato poco fa. Cos’è. Che simboli contiene. E perché porta fortuna

Qui furono stanziati Galli delle ragioni belghe e francesi, nonché italiani del nord, che conoscevano bene i Galli stessi poiché da essi, in buona parte, erano stati generati

Un volontario statunitense, agli scavi archeologici che si tengono in queste settimana a Vindolanda – un forte romano che si trova in Inghilterra, a un paio di chilometri dal Vallo di Adriano -, ha trovato, nelle scorse ore, un oggetto singolare.

L’ha visto nel grumo di terra e ha pensato che potesse essere un’imponente spilla. In verità, come ha detto la direttrice scientifica degli scavi, l’archeologa Marta Alberti Dunn – nostra connazionale, d’origine – siamo al cospetto di un elemento decorativo per soldati o cavalli. L’oggetto è realizzato in bronzo. E’ decorato con motivi floreali e a mezzaluna, secondo uno stile che potrebbe far pensare al mondo romano di origine celtica.

Qui furono stanziati peraltro Galli delle ragioni belghe e francesi, nonché italiani del nord, che conoscevano bene i Galli stessi poiché da essi, in buona parte, erano stati generati. Uno dei comandati massimi del forte, che si avvicendarono nei secoli, fu infatti il bresciano Quintus Petronius Urbicuys.

Ma torniamo alla borchia. L’osservazione, stringendo il campo, porta a pensare che l’ipotesi più calzante alla realtà, che esso sia una falera utilizzata per i finimenti del cavallo. Presenta, nel verso (il retro), un’asola metallica piatta. All’interno di essa veniva infilato il finimento in cuoio per assicurare la decorazione che fungeva anche da portafortuna.. Non può sfuggirci il fatto che, nell’insieme, la rappresentazione possa richiamare un quadrifoglio, come suggeriscono peraltro non solo i terminali tondi delle foglie e gli “oculi” circolari che si trovano al centro della foglia stessa. Anche in natura, trifogli e quadrifogli  hanno una sorta di oculo di un verde più tenue, verso il centro della foglia stessa. Sotto il profilo simbolico, ecco avanzare l’idea della fortuna. Il 4 in uno, il quadrato nel cerchio. Il disegno è poi stato studiato affinché esso contenga il musetto di un animale sorridente o di un cane, che possiamo veder comporsi sotto i nostri occhi e che abbiamo cercato di cristallizzare, inserendo linee di congiunzione.

 

Piccoli giochi ottici, divertenti dei quali i romani erano indiscussi maestri. Essi venivano applicati a tanti oggetti d’uso quotidiano. Immagini composite, che si rivelassero magicamente.

A testimonianza del loro status di nobili o comunque di possessori di un bene prezioso come il cavallo, i soldati della cavalleria adornavano i finimenti dei loro animali con phalerae in bronzo o argento. I modelli più grandi di queste phalerae venivano utilizzati anche come separatori delle cinghie. I finimenti erano ulteriormente arricchiti con pendagli di vario tipo, amuleti elaborati a forma di lunula o phallus, fibbie decorate in una vasta gamma di forme, dimensioni e materiali, bordi, anelli e applique. Questi ornamenti avevano il duplice scopo di conferire a cavallo e cavaliere un aspetto più imponente e di fungere da protezione apotropaica, ovvero di difenderli dalle influenze negative e dai pericoli del campo di battaglia.

La fàlera era in origine un disco laterale dell’elmo cui si fissavano gli allacci. Il termine falera designa per esteso un disco in metallo che serviva come semplice elemento decorativo, atto a ornare sia le corazze degli uomini sia la bardatura dei cavalli, oppure come decorazione al valor militare, in varie epoche e presso diverse popolazioni (celtiche, etrusche e romane).

La falera era spesso costituita da un rialzo centrale (umbone). In epoca romana le falere – spesso con figure il rilievo – furono utilizzate come ricompense militari romane per gli ambasciatori esteri, specialmente di origine gallica. Erano utilizzate dagli Etruschi e furono introdotti a Roma dal quinto re, Tarquinio Prisco. Al tempo di Polibio, in età repubblicana, le decorazioni erano concesse al cavaliere che aveva riportate le spoglie di un nemico, mentre in età imperiale, alla truppa, ovvero legionari e ausiliari (falerati) che si erano distinti in battaglia. Erano concesse anche collettivamente ad ali e coorti.

 

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Maurizio Bernardelli Curuz
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