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Scavi per un’area industriale. Cosa hanno scoperto in 1000 tombe di una necropoli gallo-romana. Tesori e segreti del luogo


Statuetta di lettore o mimo. © Tiphaine Gaime, Inrap

Si è conclusa la prima fase di studio della necropoli scoperta durante gli scavi preventivi svolti nel contesto dello sviluppo del Parco Industriale Plaine de l’Ain (PIPA). L’Inrap ha condotto l’operazione su un ampio complesso funerario risalente dalla metà del I secolo a.C. alla metà del VII secolo. Notevole il quantitativo di corredi – anche particolarmente preziosi – portati alla luce dagli archeologi.

Posizionato lungo un’antica strada, a 400 metri a nord dell’insediamento antico (che coincide con l’attuale villaggio di Saint-Vulbas), questo complesso ha rivelato un totale di 1091 strutture, tra cui 554 tombe, 212 cremazioni, 30 recinti funerari e 195 strutture funerarie di natura indefinita. Gli approfondimenti successivi agli scavi forniscono oggi numerosi risultati riguardo all’evoluzione delle pratiche funerarie antiche. La lunga occupazione dell’area con fini cimiteriali consente di vedere, infatti, uniti, nello stesso luogo, i diversi passaggi culturali che ebbero importanti riflessi sulle modalità di accompagnamento dei defunti nell’Aldilà.

Brocca atipica a 10 manici con tagli sul bordo e sul fondo.© Tiphaine Gaime, Inrap

Saint-Vulbas è un comune di 966 abitanti, situato nel dipartimento dell’Ain della regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi.

Brocca con decorazione con scene di caccia che presenta un taglio “rituale” sul bordo.© Tiphaine Gaime, Inrap

L’area sepolcrale scoperta dagli archeologi dell’Inrap si trova ad est di una strada preesistente e dei fossati che le scorrevano accanto. Nel corso del tempo, altri elementi sembrano aver contribuito a strutturare lo spazio funerario. In particolare, si evidenzia un fossato curvilineo che delimita la parte settentrionale a partire dall’età augustea (27 a.C.-14 d.C.), persistendo per l’intera durata dell’utilizzo del complesso funerario.

Balsamario in vetro a forma di uccello.© Tiphaine Gaime, Inrap

Quindi, nei pressi di una strada accanto alla quale passavano corsi, a 400 metri dal villaggio, i gallo-romani – attorno al 20 a. C. – consolidarono un luogo di sepoltura in un campo attiguo alla strada, delimitandolo con un fossato. Questo fossato di delimitazione – che fungeva da protezione del luogo sacro – fu utilizzato anche per lo smaltimento di pentole e brocche, che probabilmente erano state utilizzate per portare cibi e bevande destinati al pasto funebre o alle commemorazioni.

Il fossato doveva segnare, radicalmente, un passaggio fortemente contrassegnato sotto il profilo spirituale. Un fossato tra la vita e la morte. Qui infatti, oltre alle stoviglie – che probabilmente non venivano regolarmente riportate a casa . sono stati trovati anche materiali votivi – tra i quali una statuetta votiva di piombo – che forse furono eliminati durante le varie fasi di ristrutturazione degli spazi di sepoltura. Quindi il fossato svolse anche una funzione di luogo di scarico di materiali rituali, con un fine non solo pratico, ma anche di circoscrizione spirituale del luogo. I materiali funebri probabilmente non venivano riportati nel villaggio, ma circoscritti anch’essi ai bordi dello spazio sacro.

Una lampada a olio. © Tiphaine Gaime, Inrap

Il caso dei bambini piccoli
L’area cimiteriale mostra la presenza di numerose bambini di età inferiore a un anno, “ben rappresentati – dicono gli archeologi dell’Inrap durante tutto il periodo di utilizzo del complesso funerario con un corpus di 160 individui. Una tale proporzione di defunti molto giovani si trova raramente in un contesto archeologico. La stragrande maggioranza di loro sono sepolti (solo quattro sono stati certamente cremati)”. Per i bambini piccoli, infatti, il mondo romano prevedeva il seppellimento del corpo e non la cremazione.
“Per il periodo augusteo la maggior parte dei bambini veniva sepolta in un contenitore e mai direttamente nel terreno. – spiegano gli archeologi francesi.

Balsamario in vetro a forma di grappolo d’uva. © Tiphaine Gaime, Inrap

La coesistenza di riti, cremazioni e sepolture
E ora osserviamo l’area nel suo insieme, per tutte le fasce d’età. “Le pratiche della sepoltura e della cremazione coesistevano nel sito fin dall’inizio della sua occupazione funeraria alla fine del I secolo a. C. – affermano gli archeologi dell’Inrap – La percentuale delle sepolture è però molto più elevata di quella delle cremazioni poiché rappresentano poco meno dei tre quarti della popolazione. Questo rapporto cambiò poco fino alla fine del primo terzo del I secolo.

Dopo L’uso della cremazione divenne poi prevalente e raggiunse il suo apice tra il 60 e il 100 d.C. Poi il suo utilizzo diminuì rapidamente a partire dal II secolo. Attestata ancora nel III secolo , la cremazione sembra essere scomparsa dallo spazio funerario all’inizio del IV secolo . Dopo dC a beneficio della sepoltura, la cui pratica diviene poi esclusiva”. Che significa tutto ciò? Che probabilmente il processo profondo di romanizzazione portò gli abitanti locali a un cambiamento di atteggiamento nei confronti delle salme, giungendo all’estensione della pratica di incinerazione che caratterizzava, molto diffusamente, il mondo romano. Incinerazione che entra invece in crisi – fino a sparire – contestualmente con la diffusione del Cristianesimo che parla della Resurrezione dei corpi.