Nel cuore degli scavi che hanno anticipato i lavori di costruzione, la terra antica ha svelato i suoi segreti più intimi, una testimonianza mutevole di vite passate e di un passato intricato. È emersa dall’oscurità della storia la prima tomba di un uomo, il cui scheletro, completo e intatto, ha rappresentato un enigma avvolto nell’età compresa tra i 39 e i 45 anni. Accanto a lui, una figura femminile giovane, il cui viso ha tenuto la memoria di meno di 25 anni vissuti, e un neonato, ancora tenero nell’età di soli sei mesi, come narrato con eloquenza dall’eminente archeologo Francisco Correia.
Le tombe, presumibilmente eredità di un’epoca compresa tra il V e il VI secolo, hanno raccontato una storia di saccheggio e distruzione, una narrazione frammentata nelle sue molteplici sfaccettature. L’uomo ha riposato immutato, mentre le altre due sepolture hanno mostrato segni di vandalismo, le tracce indelebili di intrusioni profane e di una violazione del silenzio eterno delle anime defunte. Gli atti vandalici, comuni nelle marcate tentazioni dell’avidità umana per l’acquisizione di gioielli e ornamenti, non hanno potuto essere datati con precisione in questo caso, un mistero irrisolto che si è perduto nell’oscurità del tempo.
L’antropologa biologica Cláudia Maio ha svelato i segreti sepolti, descrivendo uno scempio degli scheletri, un affronto alla memoria dei morti. Le tombe sono state profanate, saccheggiate delle loro preziose offerte funerarie, e i loro occupanti, una volta rispettati e venerati, sono stati ridotti a semplici pezzi di un enigma perduto nel tempo.
L’identità del bambino, il cui genere è rimasto un enigma avvolto nella nebbia del passato, si è rivelata solo parzialmente attraverso il suo cranio frammentato. Tuttavia, tutti i suoi denti, non ancora spuntati, sono stati recuperati dagli archeologi, fornendo un’indicazione dell’età al momento della morte, una fragile eco di una vita appena iniziata spezzata prima ancora di poter sbocciare completamente.
Sebbene la presenza di una famiglia sia stata solo una speculazione, Correia ha suggerito la possibilità, considerando la prossimità delle tombe e l’assenza di altri siti sepolti nelle vicinanze, un’ipotesi romantica che ha trasportato la mente in tempi lontani e luoghi sconosciuti.
Quanto al loro status sociale ed economico, le evidenze hanno indicato una condizione benestante, una posizione privilegiata che li ha distinti come membri della nobiltà o dell’élite di un’epoca passata. Le tombe sono state curate con amorevole attenzione, protette da lastre di calcare, una testimonianza tangibile di rispetto e devozione nei confronti dei loro defunti.
Oltre alle tombe, il suolo ha rivelato un tesoro di piccoli reperti, una testimonianza silenziosa di una vita trascorsa, di una civiltà svanita nel vortice implacabile del tempo. Monete antiche, chiodi, spilli, ceramica decorata e persino un cucchiaio, hanno accennato a una vita quotidiana complessa e ricca, un racconto di una società lontana, ora ridotta a frammenti di memoria nella terra.
Una struttura romana più a sud ha mostrato segni di attività metallurgica e produzione tessile, confermando l’ipotesi di un centro industriale, un luogo di creazione e innovazione che pulsava con l’energia vitale di un’epoca scomparsa.
Con la terza fase degli scavi completata, l’attenzione si è spostata sulla fase successiva: il processo del materiale raccolto, in preparazione per la presentazione del progetto al Consiglio Comunale, un passo cruciale nel lungo cammino verso la comprensione e la conservazione del passato.
Attraverso questa ricerca accurata, gli archeologi non hanno solo illuminato il passato, ma hanno gettato una luce sul futuro, aprendo la porta a una migliore pianificazione e conservazione delle ricchezze storiche del loro territorio, un patrimonio prezioso che appartiene a tutti e che deve essere protetto e preservato per le generazioni future.
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Gli scavi archeologici nel centro di Faro, in Portogallo, hanno portato alla luce tre tombe dell’antica città romana di Ossónoba, che potrebbero appartenere a una famiglia, un collegamento che può essere confermato con il test del DNA, ha detto uno dei responsabili dei lavori, scavi condotti da ERA Arqueologia. Il ritrovamento è avvenuto durante un intervento di archeologia preventiva, in un punto vicino a quella che si ritiene fosse, nell’antichità, sede di un’associazione romana di marittimi. Una corporazione con una propria sede, la scelta di divinità specifiche e probabilmente aree funebri e cerimonie dedicate ai propri associati. Non lontano dalle tombe, un mosaico del II secolo dedicato al dio Oceano, fu riportato alla nel 1976. Per la morfologia dei resti e delle decorazioni si è, appunto, supposto, che l’antico antico edificio romano, fosse sede di un’associazione di commercianti marittimi.
L’uomo di un’età compresa tra i 39 e i 45 anni, la donna – 25 anni circa – e il bambino di sei mesi, sepolti uno accanto all’altro, in tombe elaborate dovevano appartenere ad una classe sociale di un certo rilievo, forse collegata al mondo della marineria. Un particolare che potrebbe deporre a favore della parentela tra i tre è fatto che, attorno, non sono state trovate altre tombe. Quindi potrebbe essere un’area funebre familiare. Ora saranno disposte indagini del dna per capire se questa fosse davvero – come può apparire dalla collocazione dei resti – una coppia con il proprio bambino.
Faro, luogo in cui è avvenuto il ritrovamento, è un comune portoghese di 67.600 abitanti. Separato dal mare da una laguna, è un porto di pesca e località turistica dell’Algarve sulla costa atlantica. Ai tempi dei romani, la stessa città – che si chiamava Ossónoba – era completamente costiera. Infatti, correnti e venti trascinarono sabbia per centinaia di anni, creando un sistema dunale, isolato e salino attorno alla costa, separando la città dal mare, ma in epoca romana Ossónoba era un’ancora situata a sud della costa marittima. E’ quindi possibile che la famiglia fosse legata al mondo dei commerci e dei trasporti marittimi.
Le tombe, che devono risalire al periodo compreso tra il V e il VI secolo, non presentavano corredi: quella dell’uomo era integra e le altre presentavano segni di atti vandalici. Gli atti vandalici sulle tombe per rimuovere oggetti come braccialetti, collane o anelli sono frequenti, ma in questo caso non è possibile specificare quando sia avvenuto.
Secondo l’antropologa biologica Cláudia Maio, le tombe “sono state oggetto di una sorta di spoliazione che ha portato al disturbo e persino alla distruzione di alcune posizioni anatomiche degli scheletri, principalmente quella del bambino, che era molto alterata”.
Lo scheletro del bambino, di cui non è stato possibile determinare il sesso, mostrava solo la metà superiore e il cranio, che era molto frammentato. Gli archeologi sono riusciti a recuperare tutti i suoi denti, che non erano ancora spuntati, il che ci permetterà di conoscere l’età in cui morì.