di Enrico Giustacchini
“Stile” ha incontrato Mariella Burani, proseguendo così il suo viaggio nell’Alta moda, indagine del complesso di relazioni che intercorrono tra questo ambito creativo e le arti figurative.
Signora Burani, lei ha dichiarato: “La moda è libertà di essere, variabile ed effimera”. Ed ancora: “Tutto passa e ritorna inesorabilmente… Un po’ di passato, un po’ di presente, un occhio al futuro: la moda è mantenere uno spirito indipendente che appunto per questo, nella mutevolezza di oggi, appare massimamente nuovo”. Mi sembra di individuare in tale dichiarazione di poetica una scelta di itinerario analoga a quella di molti artisti: frequentazione della lezione di chi ci ha preceduto, attenzione alla realtà contemporanea, capacità di interpretare – e per certi versi anticipare – le tendenze avvenire.
Io non seguo il trend. Io seguo la donna, nella sua essenza. Maturo le mie idee a beneficio delle donne: in tutti i momenti della loro vita, anche nella quotidianità. E ciò per mettere in risalto la bellezza che c’è in ogni donna, quale che sia la sua età od il suo aspetto fisico. La mia creatività è solidamente legata alle esperienze del passato, ad una tradizione di immagine: sempre però con un occhio alle espressioni della contemporaneità.
Al proposito: molti grandi stilisti hanno tratto e traggono ispirazione, direttamente o indirettamente, da quell’immenso serbatoio di idee ed intuizioni che è l’arte figurativa. In questo contesto, c’è qualche scuola, o periodo a cui in particolare lei ha fatto riferimento nel corso della sua carriera, o a cui pensa di attingere in futuro?
Sono molto suggestionata dalla fotografia, specialmente da quella dei maestri del bianco e nero (e non è un caso, credo, che più di un fotografo sia ricorso al bianco e nero per interpretare le mie creazioni, riuscendo ad esaltarne pregi e caratteristiche). Mi affascinano gli anni Quaranta del Novecento, riletti attraverso le immagini seppiate della terra dove sono nata: con le mondine al lavoro in risaia, le contadine stanche da un lato, le collegiali della Reggio-bene, come me, dall’altro; nel contrasto di due mondi opposti, quello fortificato dalla fatica, quello così fragile della borghesia di provincia. E mi affascina una situazione filosofico-culturale come l’Esistenzialismo. Con quelle donne mai troppo perbene, con quegli abiti indossati come una seconda pelle. Ed il cinema di allora: italiano e francese, certo, ma non posso negare che pure tanti vecchi film americani – d’azione, d’amore, di guerra -, pur estranei a quel mondo, restituiscano un’atmosfera impagabile, che mi intriga e mi coinvolge. Mi affascinano, più in generale, le cose dall’aspetto usato, i vestiti senza tempo, senza età, senza stagione. Per me, comunque – al di là delle diverse influenze estetiche e stilistiche – il punto di riferimento fondamentale, lo spartiacque, storicamente, è Coco Chanel: è la sua rivoluzione, con la donna che si libera dal corsetto, che fuma, che indossa scarpe e berretti maschili. L’inizio sta qui.
I suoi rimandi al passato sono dunque contenuti entro i limiti temporali del Novecento. E prima? L’Ottocento non le piace?
Povere signore ottocentesche, com’erano trattate! Rinchiuse in prigioni di crinoline, panieri, parrucche, sottogonne… Figuriamoci, già sembra a me di impacciarle, talvolta, con le gonne lunghe delle mie donne-zingare… Mi è davvero difficile, anzi impossibile, trovare riferimenti nel XIX secolo. Tutt’al più posso attingere a qualche dettaglio: certi merletti, certi tessuti; ma questo vale allora anche per epoche precedenti: pensiamo, ad esempio, ai meravigliosi damaschi del Rinascimento. Lo ribadisco: lo sguardo sul passato non deve mai prescindere dalle necessità del presente e del futuro.
“Le mode passano” lei ama sostenere “ma lo stile resta”. Che cos’è, per lei, lo stile? E come si riesce a coniugare fedeltà allo stile e libertà creativa?
Che cos’è lo stile? E’ difficile rispondere a questa domanda. E’ difficile dare una definizione esauriente: è un po’ come tentare di descrivere il profumo dell’acqua, o il colore delle montagne. La fantasia, la creatività, il sentimento che mi si riconoscono sono doni naturali, che ho ricevuto dai miei genitori. In aggiunta, c’è in me, forte, la voglia di vestire le persone, comprendendone le esigenze e le aspirazioni. Io non sono presuntuosa. Ho la licenza magistrale. Quando ho iniziato questo lavoro, non conoscevo il mondo della moda. Non sono presuntuosa, ripeto: certo, credo di capire la mano dei tessuti, l’accordarsi dei colori… Molto si impara, anche gli errori ti insegnano: serve però la dote di base, innata, di cui dicevo; serve un’educazione interiore, dell’anima. Negli anni in cui ho esordito nella mia attività ci si poneva, nell’ambiente, domande per me incomprensibili. Ci si interrogava sulle “tendenze”. Oggi, per fortuna, ogni stilista produce ciò che sente. Oggi c’è molta libertà ovunque, e questo vale naturalmente anche nell’ambito della moda. Quel che chiedo, quel che voglio proporre, è funzionalità, è armonia. Io non amo la parola “lusso”: preferisco usare la parola “confortevole”.
Parliamo del colore. Che importanza attribuisce all’elemento cromatico? Ha qualche predilezione, sia in tema di scelta del colore puro, che per quanto riguarda accostamenti e sfumature?
Ci sono tessuti che risultano bellissimi tinti in qualsiasi colore, dagli acidi fino al nero. Penso al lino. Per altri, invece – ad esempio, i misti di lana-tessuto elastico -, taluni colori non funzionano, sarebbero dei pugni negli occhi. Spesso, dunque, è la necessità tecnica a determinare le scelte cromatiche. Per quanto riguarda l’uso timbrico del colore, ritengo che a volte le tinte forti servano, purché utilizzate con criterio: certi fucsia, certi gialli possono funzionare solo se “dominati” dal nero (maggior libertà è semmai consentita per gli abiti estivi). E’ fondamentale avvertire non solo l’armonia, ma la “stagione” dei colori.
Lei ritiene possibile una simbiosi tra moda e opera d’arte?
Onestamente, no. Almeno per quanto riguarda il mio percorso. L’arte vera non è questa, è quella che sta nei capolavori dei grandi pittori. Io posso al più prendere in considerazione un quadro, o dei particolari di esso, e decidere di stamparli su di un tessuto, alla stregua di un qualsiasi elemento che mi piace, una fotografia o altro. Mi è capitato di fare ciò, in passato: cercando spunti in opere di maestri spagnoli, ad esempio. Ma l’arte vera, ripeto, rimane su un livello diverso.
Alcuni stilisti si sono riferiti a certa astrazione: al segno, al graffio…
Confesso di non amare troppo la pittura informale. A maggior ragione, quindi, sono ben lontana dall’ispirarmi ad essa nel mio lavoro.