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Si calano nel fondo di una bimillenaria latrina scavata dagli antichi romani. Ed ecco cosa scoprono, sorprendentemente



di Redazione
Stile arte è un quotidiano di cultura, arte e archeologia fondato nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz

A volte gli archeologi, durante gli scavi preventivi, si imbattono in resti complessi di attività produttive dell’antichità. La complessità risiede nel fatto che i luoghi di produzione – che probabilmente sorgevano non lontano dalle ville dei proprietari, ma in un’area discosta – furono, per loro stessa natura, molto rimaneggiati e adattati al mutare o all’estendersi delle attività produttive stesse. In un recente scavo preventivo svolto in Francia, su un livello stratigrafico d’epoca gallo romana, gli archeologi hanno portato alla luce un’area produttiva di 7500 metri quadrati, a circa 200 metri dall’attuale alveo del fiume, occupata dal 50 a.C. al 140 a.C.
L’intervento – del quale fornisce un’analisi, in queste ore, l’Inrap, Istituto nazionale francese di ricerche archeologiche preventive – è stato svolto a Sainte-Catherine-les-Arras, un comune francese di 3.510 abitanti situato nel dipartimento del Passo di Calais. Siamo quindi nel Nord della Francia.

“I primi segni di occupazione compaiono già all’inizio del I secolo a.C. – dicono gli archeologi dell’Inrap – Tra questi osserviamo la presenza di un possente pozzo di estrazione del calcare (che serviva sia per la produzione della calce che per materiale da costruzione; ndr), nel cui materiale di otturazione abbiamo trovato quattro fibule, monete e ceramiche. Nel I secolo d.C. fu realizzata una cantina in muratura a nord della proprietà. Una trentina di metri più a ovest si trova una fossa simile ad una latrina, data la sua morfologia e le concrezioni presenti sui materiali da costruzione. Al limite settentrionale dello scavo è stata rinvenuta anche una fornace da vasaio risalente allo stesso periodo. E’ composto da due alandieri e da un laboratorio con terreno centrale. Il tampone è circondato da un condotto periferico per la circolazione dei gas caldi”.

“Una fossa circolare profonda tre metri è stata interpretata come un pozzo nero. – spiegano gli archeologi dell’Inrap – È stato identificato come tale in seguito al ritrovamento di rugosità miste ad ossidazione bruna osservate sulla parete calcarea della struttura nonché presenti sui materiali da costruzione tra cui macerie calcaree e tegole romane. Latrine e pozzi neri sono chiaramente individuabili negli insediamenti antichi, ma sono piuttosto rari negli insediamenti rurali di piccole e medie dimensioni. Dimostrano una reale preoccupazione per l’igiene collettiva. Questa fossa conteneva mobili archeologici vari e di ottima fattura. Oltre alla quantità di ceramiche raccolte, si segnala la presenza di una falera, una placca circolare in bronzo che decorava i finimenti di un cavallo. È decorato al centro da un medaglione rimovibile su cui è raffigurata la bocca di un leone. Questo manufatto appartiene senza dubbio al contesto militare”.

Quando venne abbandonato, come di consueto, l’intero spazio produttivo fungeva da discarica. Tra gli elementi mobili rinvenuti vi sono numerosi frammenti di rivestimenti dipinti, macerie di calcare, ceramiche, gusci di ostriche e vongole. Tali elementi provengono molto probabilmente dall’edificio residenziale la cui ubicazione resta da precisare; è preferibile la sua ubicazione fuori dalla corsia di precedenza. Al momento non è possibile sapere se l’edificio residenziale costituisse un insieme strutturale coerente.