Dalla street art alle mostre, dalle città ai luoghi più sperduti. La bestemmia è divenuta una forma d’arte diffusa. Sta, nell’arte. Viene utilizzata nelle performance e nei dipinti degli artisti, come provocazione sistematica. E a Napoli è scoppiato il caso più evidente di una tendenza che serpeggia tra gli artisti alternativi, in tutto il Paese, mentre a Gussago, Comune della Franciacorta, il sindaco e l’artista Francesca Adamo, hanno deciso di bonificare l’arte bestemmiatrice, attraverso l’intervento di artisti e cittadini che disegnano cuori, sovrapponendoli all’arte aggressivamente ingiuriosa.
Il caso più eclatante della “bestemmie d’arte” esplode a Napoli, a margine di una mostra la collettiva a “Ceci n’est pas un blasphème”, il festival “delle arti censurate e contro la censura religiosa” in corso al Pan fino al 30 settembre con mostre, incontri e performance, promosso con l’assessorato alla Cultura e al turismo del Comune partenopeo. La città viene disseminata da manifesti con bestemmie creati dagli artisti, partendo da note pubblicità. La bestemmia in Italia non è più reato dal 1999 e prevede sanzioni amministrative, ma leggere bestemmie o sentirle urlate per arte e gioco è fastidioso e triste. La bestemmia, ha una propria estrema necessità di sussistenza – ed è psicologicamente tollerata dalla comunità – quando è associata a un dolore estremo. La vera bestemmia ha in sé, qualcosa di sacro e di orribile. Essa è forma estrema del sacro. Per questo non la sopportiamo, fuori contesto. Figuriamoci quando un bestemmione su un cartello di sei metri per tre, collocato in via Salvator Rosa è stato visto dai fedeli della basilica di Santa Maria della Pazienza. E che dire di un Topolino bestemmiatore, su un manifesto che è identico alla copertina del noto giornalino per bambini?
Sì, perchè alcuni artisti che hanno partecipato alla mostra hanno deciso, senza che l’azione sia concordata con i curatori, di realizzare manifesti grotteschi che poi hanno installato nelle varia zone della città. Le opere si presentano identiche a cartelloni pubblicitari, nei quali però motti e slogan sono sostituiti da “bestemmie creative”. Le installazioni sono state collocate da Napoli a Chiaia.
«I manifesti che sono stati disseminati nella città possono essere evidentemente attribuiti ad alcuni artisti da noi ospitati. Ma le installazioni non sono assolutamente una nostra iniziativa – spiega la direttrice artistica Emanuela Marmo. – E’ un progetto autonomo e indipendente e tipico. Gli artisti stanno segnalando la loro presenza in città e la loro adesione alla nostra causa». La mostra, infatti, è un contributo alla campagna nazionale associata a EndBlasphemyLaws per l’abolizione delle leggi contro la blasfemia, «spesso strumento di censura e persecuzione, contro la libertà di espressione e l’autonomia dell’arte da ogni ideologia».