Trovano i resti di un edificio antico e più di 2000 sigilli romani. I blocchetti di argilla recano varie e splendide figure. A cosa servivano. Gli anelli con figure

Le indagini archeologiche rivelano anche dettagli sulla struttura architettonica. Gli archeologi descrivono gli strati inferiori delle fondamenta dell'edificio dell'archivio, costituiti da massicci blocchi di pietra calcarea, svelando una sequenza di stanze che formano un complesso edilizio allungato. Questo complesso doveva avere otto metri di larghezza e 25 metri di lunghezza. Disponeva di più piani

di Federico Bernardelli Curuz

Nel sud-est della Turchia, nell’antica città di Doliche, gli archeologi del Centro di Ricerca dell’Asia Minore hanno compiuto una scoperta di rilevo durante la campagna archeologica 2023, che getta nuova luce sulla storia di questa antica urbs, i suoi archivi e, in genere, su quelli delle città dell’Impero romano. Il ritrovamento è stato annunciato in queste ore dall’Università di Munster. Doliche, antica città situata all’estremità settentrionale di Gaziantep, è un sito di grande importanza storica e religiosa.

Due splendidi sigilli in argilla recuperati nell’edificio trovato nelle settimane scorse © Forschungsstelle Asia Minor

Il team di archeologi, guidato da Michael Blömer e Engelbert Winter dell’Università di Münster, ha effettuato una scoperta significativa nei pressi dell’antico centro religioso. Gli studiosi hanno individuato i resti di un’ampia struttura e, in essi, le vestigia degli archivi cittadini contenenti oltre 2.000 impronte di sigilli utilizzati per certificare documenti. Le “carte” – papiri e pergamene – andarono distrutte durante un incendio, ma i sigilli dei documenti si sono conservati.

Cosa sono quei blocchetti d’argilla

Perte dei sigilli trovati nel corso degli scavi in Turchia. Evidenti le forme lasciata dalla parte superiore di anelli © Forschungsstelle Asia Minor

Si può pensare che le pratiche o i contratti – simili a documenti notarili – fossero riposti nelle stanze dell’edificio pubblico, che doveva avere funzione di Registro. Una volta pronto il contratto tra ente pubblico e privati o tra privati e privati esso poteva essere scritto in triplice copia: due di esse andavano ai contraenti. Una terza doveva invece essere conservata, in modo integro, dall’ente pubblico o da un suo sostituto di comprovata fiducia, affinché costituisse l’originale-matrice che potesse comprovare la veridicità delle copie, in caso di future contestazioni. Proprio per evitare che qualcuno negli uffici del “registro” potesse correggere o modificare, nel tempo, il contratto, privati ed enti pubblici producevano un proprio “stampino”, con immagini di Dei, in molti casi.

Questo stampo, nella maggior parte dei casi, era intagliato nell’anello che i romani indossavano. Come sarebbe avvenuto nel medioevo con gli stemmi nobiliari, i sigilli tendevano a riferirsi a una persona, a una famiglia, a una “corporazione” o a un ente, diventandone il contrassegno. Il contratto da conservare preziosamente nell’archivio, scritto su un papiro o pergamena, veniva legato saldamente con una corda tesa. Sul nodo della corda veniva collocata, in molti casi, argilla fresca che veniva poi stampigliata con un sigillo identificativo. Una volta asciutto, il sigillo induriva, imprigionando il nodo. Per riaprire il documento era necessario tagliare la corda. Il nodo era infatti bloccato dal sigillo e non poteva essere slegato. L’integrità della corda e del sigillo comprovavano l’autenticità del documento-fonte.

Questo ritrovamento è particolarmente straordinario considerando che, sebbene ogni città romana avesse archivi per conservare contratti e documenti, fino ad oggi sono stati identificati solo pochi edifici archivistici dell’Impero Romano. Le impronte di sigilli, impresse su grumi di argilla, sono di varie dimensioni e forme.

Le impronte dei sigilli, ben conservate nei sedimenti archeologici, sono una preziosa fonte di informazioni sull’antica pratica amministrativa. L’archeologo Michael Blömer sottolinea che le immagini sui sigilli ufficiali della città sono strettamente legate a Doliche, spesso raffigurando le divinità più importanti, come Giove Dolichenus, la principale divinità della città, anche se le raffigurazioni sono piuttosto varie.

Giove Dolicheno (Juppiter Dolichenus) o semplicemente Dolicheno è il nome di una divinità che nasce dalla fusione tra caratteristiche greco-romane di Giove e una contigua divinità dell’Asia minore. Era venerato, appunto, nella città di Dolico, in Anatolia, ed accettata nel pantheon della religione romana. Si ritiene che fosse frutto di un’interpretatio romana derivata da un culto semitico di Hadad-Baal-Teshub, che aveva il suo centro devozionale su una collina vicino a Doliche, 30 miglia romane a ovest di Samosata sull’Eufrate, nella Commagene, nell’Asia Minore orientale. Hadad è una divinità degli Aramei (o Siri). Era il dio del fulmine e delle tempeste, al quale era conferito l’epiteto di tonante. Già in nuce, un Giove dell’Asia minore, insomma.

Un aspetto affascinante delle impronte di sigilli privati più piccoli è la varietà di immagini e simboli che riflettono l’impronta culturale degli abitanti di Doliche. Gli dei raffigurati forniscono informazioni sull’ambiente religioso, mentre figure mitiche o ritratti privati indicano una forte influenza greco-romana.

L’edificio dei sigilli aveva più piani
e una lunghezza di circa 25 metri

Le indagini archeologiche rivelano anche dettagli sulla struttura architettonica della città antica.

Le fondamenta dell’edificio pubblico in cui erano conservati sigilli e documenti. Scavo archeologico 2023 © Forschungsstelle Asia Minor

Dell’edificio dell’archivio rimangono solo gli strati inferiori delle fondamenta, che sono costituiti da massicci blocchi di pietra calcarea, dice l’archeologo Engelbert Winter. “Tuttavia, rivelano una sequenza di stanze che si uniscono per formare un complesso edilizio allungato”, aggiunge. La dimensione esatta non può ancora essere calcolata. Si ipotizza che l’edificio fosse largo otto metri e lungo 25 metri. La larghezza dei muri di fondazione dimostra che la struttura era a più piani. L’estate scorsa il team di ricerca internazionale ha scoperto le parti dell’edificio nell’arco di otto settimane.

Anche i documenti d’archivio furono distrutti in un grande incendio. Nel 253 d.C., il re persiano Šāpūr I devastò numerose città nella provincia romana della Siria, inclusa Doliche, a seguito della guerra tra l’impero romano e quello persiano. Il centro cittadino, che comprendeva anche un complesso balneare e un tempio monumentale, non fu ricostruito dopo l’incendio. “Si tratta di un colpo di fortuna per l’archeologia, poiché le condizioni sono state preservate fino al 253 d.C.”, sottolineano i ricercatori.

Il centro di ricerca dell’Asia Minore, che ha compiuto la ricerca, è specializzato da decenni nella ricerca nel sud-est della Turchia. In qualità di istituto di ricerca internazionale leader per le province di Gaziantep e Adıyaman, gli esperti di Münster collaborano con musei, ricercatori e autorità locali.

Il gruppo di lavoro impegnato per otto settimane nello scavo © Forschungsstelle Asia Minor

Dal 1997, il Centro di ricerca per l’Asia Minore, in collaborazione con la Direzione delle antichità turche, indaga, tra le altre cose, sui resti dell’antica città di Doliche vicino alla metropoli turca di Gaziantep. Gli esperti mirano a studiare lo sviluppo intorno al 300 a.C. Analizzare la città fondata nel I secolo a.C., che divenne un centro regionale sotto il dominio romano, e la vita quotidiana delle persone che vi abitavano in condizioni politiche e culturali mutevoli. Il lavoro di quest’anno è stato sostenuto principalmente dall’Università di Münster, dalla “Fondazione Gerda Henkel” e dall’Università di Pisa.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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