Strega o vampira? Trovata l’anomala tomba di una donna del Seicento con falce al collo e lucchetto al piede

Il difetto della bocca, con quel dente prominente e la linea di masticazione lievemente storta potrebbero essere stati la causa remota dei sospetti che si addensarono su questa donna? Soffrì forse di turbe mentali che, associate al suo aspetto, indussero a pensare che ella potesse essere stata colpita da un fenomeno vicino al vampirismo?

Lo scheletro di una donna del Seicento, collocata in modo anomalo in una sepoltura, oggi in aperta campagna, è stato trovato durante ricerche archeologiche condotte in queste settimane in Polonia. Il team di ricercatori dell’Università Nicholas Copernicus di Toruń ha scoperto la tomba nei pressi del villaggio di Pień, nel voivodato dei Subcarpazi, regione a sud-est della Polonia.

La simbologia e gli effetti pratico-rituali della falce impiegata nel rito di sepoltura – quello di bloccare il collo della defunta, impedendole di rialzarsi dalla morte – inducono a pensare che l’accurata inumazione fosse originata dal sospetto che la donna potesse essere stata in contatto con circoli stregoneschi o che fosse affetta da vampirismo. Chi la seppellì, lo fece con estrema cura, collocandole un prezioso berretto di seta sul capo, ponendo la falce ad arco, all’altezza del collo, e racchiudendo in un lucchetto, l’alluce del piede sinistro.

 


Il volto della donna, – come emerge da un rapido identikit basato sul completamento grafico delle parti cave del teschio – ci pone al cospetto di una fisionomia con tratti marcati, contrassegnati da un’arcata dentale abnorme e di uno dei due incisivi lungo e possente. Il difetto della bocca, con quel dente prominente e la linea di masticazione lievemente storta potrebbero essere stati la causa remota dei sospetti che si addensarono su questa donna? Soffrì forse di turbe mentali che, associate al suo aspetto, indussero a pensare che ella potesse essere stata colpita da un fenomeno vicino al vampirismo?

Le risposte potranno giungere dalle indagini di laboratorio.

Foto di Mirosław Blicharski/Aleksander Poznań

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Maurizio Bernardelli Curuz
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