Un lavoro di grande interesse, quello svolto da Cecilia Cristiani. La studiosa, a partire da una foto del 1897 che ritrae Freud nello studio viennese, accanto al lettino per le sedute psicanalitiche, ha identificato e recuperato le immagini d’Italia che lo psichiatra collocò, dopo un viaggio nel nostro Paese, sulla parete dello studio stesso.
L’opera svolta da Cecilia Cristiani non colma un semplice desiderio di curiosità, ma ricostruisce i tasselli di un mosaico che appare illuminante. Freud ritenne terapeutico per sé e per i propri clienti porre quelle finestre italiane in un punto irrorato dalla luce, nello spazio sacro del luogo di rituale confessione del paziente? Siccome il padre della psicanalisi teorizzò, razionalisticamente, che persino il lapsus potesse ricevere una spiegazione, nel segmento di causa effetto, non possiamo che osservare la funzione rivelatrice di quella parete. Ciò che possiamo aggiungere, sotto il profilo iconologico, è la natura estremamente positiva e consolatoria delle immagini stesse. Due di esse, tratte da monumenti funebri della Certosa di Bologna, sono ricche di potenza affettiva. Rappresentano – la prima – una donna con i propri figli; e la seconda due genitori-bambini che consolano il figlio-fratellino sdraiato in una culla lettino. Ciò indurrebbe a pensare che, in modo più o meno inconscio, Freud avesse scelto quelle fotografie, cogliendo un parallelo tra la propria condizione, quella del paziente e quella dei soggetti effigiati, nell’ambito di un flusso terapeutico che rinnova l’idea dell’amore materno e l’immagine del lettino. Le altre fotografie sono vedute e paesaggi ariosi, tra Venezia e Firenze, in grado di creare, attraverso il campo lungo, o la presenza di un fiabesco galletto di ferro-battuto, in primo piano, un clima che induce rassicurazione e rilassamento. Ciò che si evince, da quella parete e dal lettino, è il fatto che Freud abbandona l’ambulatorio per creare un ambiente non medico e non asettico.Di seguito, il saggio di Cecilia Cristiani. Ringraziamo la Certosa di Bologna – www.certosadibologna.it – per la preziosa collaborazione. (mbc)
di Cecilia Cristiani
Parlando di Sigmund Freud (1856-1939), il padre della psicologia moderna, difficilmente viene ricordata la sua grande passione per i viaggi.
In una fotografia scattata probabilmente nel 1897, lo vediamo ritratto all’interno di una sala dello studio nella casa viennese, circondato da riproduzioni di vedute e monumenti italiani provenienti da Venezia, Ravenna, Bologna e Firenze. Sono tutti acquisti fatti durante i numerosi soggiorni estivi.
Nell’estate del 1895 Freud compie il primo viaggio in Italia: non va dimenticato che non ama spostarsi in treno, e per questo motivo comincia a viaggiare solo in età avanzata, dopo essersi sottoposto alla pratica dell’autoanalisi che ne cancella del tutto questa fobia. Le vacanze di Freud, come di consuetudine, si svolgono tra agosto e settembre.
Durante i suoi viaggi intrattiene un’intensa corrispondenza con la moglie Martha, dalle lettere capiamo quanto questi itinerari siano per lui fonte di conoscenza. Scrive alla moglie “Le molte belle cose che si sono viste portano di certo, prima o poi, non si sa quali frutti”.
I viaggi gli permettono anche di trarre ispirazione per le sue teorie, un esempio piuttosto noto sono gli scritti sul Mosè di Michelangelo, custodito all’interno di San Pietro in Vincoli a Roma.
E’ un viaggiatore attento alle bellezze dei luoghi e dei paesaggi, ma anche interessato a conoscere le specialità culinarie del paese in cui si trova e non si nega numerosi acquisti di souvenir per amici e parenti.
La guida Baedeker è il suo manuale di viaggio che gli permette di muoversi sul posto e di ritrovare gli itinerari che prima di partire ha ampliamente studiato.
Nelle lettere troviamo anche una serie di commenti, non del tutto positivi, che Freud, ma che anche un qualsiasi turista straniero avrebbe potuto fare soggiornando nel nostro paese: “Viaggiare in Italia non è impresa del tutto priva di noie come ci si aspetta. Venezia per la verità è tutta agi e piaceri, ma procedendo da lì ci si imbatte in cittadine senza alcuna comodità o in grandi città con tutti gli svantaggi a queste connessi. Si sente la mancanza di quello a cui si è abituati, si è convinti che tutto debba essere a buon mercato e invece costa molti soldi. I viaggi in ferrovia sono orripilanti (…) il cibo per lo più stupendo, ma anche inusitato, si soffre la sete (…). La novità e la bellezza di arte e natura risarciscono ampiamente di tutto, ma per l’arte arriva un momento in cui, nuotando in un costante godimento, si crede che sia d’obbligo che sia così, per cui non si raggiunge più estasi alcuna, e chiese, madonne, deposizioni diventano del tutto indifferenti e si desidera qualcosa d’altro, anche se non si sa bene cosa (…)”.
Tornando alla fotografia all’interno della sua casa, attraverso questa immagine si ha una visione di come poteva essere in principio la sua collezione d’arte. Siamo nel 1897, da pochi mesi aveva acquistato i primi calchi in gesso e incisioni di opere di antichi maestri. Tutti oggetti di poco valore, portandoci a pensare che anche le riproduzioni di monumenti e vedute di luoghi visitati, spesso incorniciate, assumano per Freud lo stesso rilievo di un’opera d’arte vera e propria.
Questi oggetti vengono acquistati a partire dal dicembre del 1896, due mesi dopo la morte del padre. Come lui stesso scrive, questo lutto ha provocato in lui numerose reazioni, una delle quali è la nascita della sua collezione d’arte. Le antichità che andranno a formare la raccolta sono quasi tutti reperti provenienti da tombe, in particolare sculture egizie, greche, romane e cinesi; anche la tipologia degli oggetti può essere collegata alla morte del padre. Inoltre la vita di Freud coincide con la nascita dell’archeologia moderna e, per descrivere la sua nuova pratica terapeutica, sostiene che i ricordi rimossi, come l’oggetto antico, vengono riportati alla luce.
Le riproduzioni d’arte presenti in questa fotografia, sono probabilmente opere dei Fratelli Alinari escluse due fotografie di Pietro Poppi, tutti acquisti fatti in Italia dal 1895 al 1897 assieme al fratello minore Alexander.
Partendo dall’alto, esattamente sopra la figura di Freud, si vedono due particolari di monumenti funebri provenienti dal Cimitero della Certosa di Bologna; le fotografie sono state realizzate da Pietro Poppi, la cui ditta fotografica era famosa per le riproduzioni di vedute urbane e di opere d’arte. Mentre in basso a destra intravediamo una riproduzione delle due Torri. I due monumenti funebri sono rispettivamente opera di Carlo Monari e Augusto Rivalta.
Carlo Monari (1831-1918), allievo di Cincinnato Baruzzi, è un rappresentante della scultura bolognese del tardo Ottocento, meglio ancora del “realismo borghese”; esegue l’opera dedicata a Clementina Lanzi Bersani, qui attorniata dai figli, nel 1883. Augusto Rivalta (1835-1925), invece, è allievo di Giovanni Duprè, segue l’indirizzo verista, realizza nel 1872 la tomba di Achille Minghetti che celebra la morte prematura di un bambino della famiglia.
I motivi che possono aver portato Freud ad acquistare queste fotografie non sono noti, si può supporre che derivino dagli studi intrapresi sulla morte, ne è un esempio “Lutto e melanconia” del 1917. L’impressione che Freud ha di Bologna è molto positiva “città stupenda, pulita, con piazze e monumenti colossali”. Visita un “Museo civico”, forse il Museo Civico Archeologico, vede “il più bel quadro di Raffaello, la Santa Cecilia”, le “torri pendenti” e l’Università. Constata con soddisfazione che a Bologna, rispetto ad altre città, l’arte è meno opprimente: “Chiese ed arte qui per fortuna meno coercitivi”. Non si dimentica di portare a casa qualche ricordo che lui stesso definisce “paccottiglia” e rimane colpito dal vino “delizioso” e dal cibo “quasi troppo buono”.
Soffermandoci di nuovo sulla fotografia, a sinistra sono presenti due vedute di Venezia, uno scorcio di un canale e la Biblioteca Marciana, mentre sulla destra è appesa una veduta del Palazzo Ducale. Grazie alla corrispondenza con la moglie sappiamo quali sono state le sue emozioni durante la villeggiatura veneziana: “Strana fiaba, molto turbato (…) non c’è immagine o descrizione che possa sostituire una visita”. Tra i monumenti ricordati troviamo il campanile di San Marco, la Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari e la Scuola Grande di San Rocco, in occasione della cui visita scrive “godendo fino alla saturazione delle opere di Tintoretto, Tiziano e Canova”.
Si reca alla Galleria dell’Accademia dove compra una serie di stampe di artisti famosi, soprattutto Vittore Carpaccio e vedute di Venezia, forse le stesse che qui troviamo appese nello studio. Come al solito cerca di condividere con la moglie le sue emozioni: “Scrivo dalla finestra con la più incantevole vista mattutina su Santa Maria della Salute e San Giorgio Maggiore”. Attraversa a piedi e in gondola la città, spingendosi fino a Chioggia, Sottomarina e Murano. Una delle sue giornate viene riassunta in questo modo: “Programma odierno: mercato del pesce, acquisti, 2 chiese e la Giudecca (un’isola). Di pomeriggio bagno, stasera gondola sul Canal Grande”. Si concede momenti rilassanti al Lido di cui ama “la splendida sabbia” e, può far sorridere, sentirlo affermare: “Bagno con i cavalloni, stupendo”. Compie diversi acquisti, alcuni regali per la moglie, come un parastufa e uno specchio veneziani, ma anche bottiglie di vino e diversi generi alimentari, ed è soddisfatto dei prezzi molto bassi.
Ancora sulla sinistra, nella fotografia, riusciamo a riconoscere il Palazzo di Teodorico di Ravenna. Questa città inizialmente lo delude molto: “Ravenna è un buco miserando, con cadenti capanne di mattoni che contengono i resti dell’arte cristiana dei secoli 5-8 e degli Ostrogoti. Un tratto del palazzo di Teodorico il Grande serve come parete di una miseranda casa per mendicanti”. E sempre più insofferente continua dicendo: “Ma Dante è sepolto qui, qui hanno regnato gli Ostrogoti, Teodorico il Grande è sepolto qui, Giustiniano è raffigurato in un mosaico, due imperatori romani nelle loro bare, Byron ha abitato qui per due anni e con ciò noi speriamo di essere stanotte a Firenze”. Successivamente il soggiorno si rivela piacevole “Teodorico, Dante, mandorle, fichi d’albero presso il mausoleo di Teodorico, vecchie chiese, mosaici, una pineta cantata da Dante, pesche, vino e caffè si sono coniugati in grandiosa armonia”.
Ritornando alla fotografia scorgiamo una curiosa riproduzione (sempre a sinistra) di una banderuola a forma di galletto, situata a Torre del Gallo (Pian dei Giullari) vicino a Firenze. Sulla destra invece è presente la Cantoria di Donatello conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze .
A Firenze Freud resta incantato dalle meraviglie che trova “in giro per la strada”. Arriva in città passando “accanto a un duomo gigantesco di marmo bianco e nero (…) passando davanti a chiese gigantesche , statue nel bel mezzo della via, palazzi e fortezze. Stupendo, uno spettacolo mozzafiato, troppo per una persona, domani di più”. Visita Palazzo Pitti, gli Uffizi di cui ricorda i bronzi e alcuni “capolavori nella Tribuna” poi si reca in Santa Croce dove vede “moltissime tombe famose”. Passeggia all’interno del Giardino di Boboli, questo gli sembra una “sorta di Schönbrunn mediceo con stupendi gruppi marmorei, anfiteatro, obelisco, isola di Nettuno e via di seguito”. Nonostante si lamenti dei prezzi troppo alti, acquista alcune fotografie, oggetti in marmo, piccole sculture per amici e parenti ed è alla ricerca di una Pallade Atena per la figlia maggiore. Patisce la sete perché l’acqua, dice, non si può bere e per far fronte a questo disagio, è costretto a mangiare gelati, caffè e angurie. Ad un certo punto diventa insofferente alle bellezze fiorentine: “La città schiaccia e sopraffà, i monumenti si trovano a mezze dozzine per strada, e reminescenze storiche pullulano in tal numero che non si riesce più a distinguerle, i fiorentini fanno un baccano infernale”. Freud decide di fare una gita sui colli che circondano Firenze: “leggemmo di un belvedere sui colli, Torre del Gallo, dove pare che Galileo abbia vissuto per anni e vi abbia osservato il cielo”. Galileo in realtà non ha vissuto a Torre del Gallo ma nella Villa il Gioiello, sempre ad Arcetri, distante pochi minuti da lì. Le numerose opere d’arte e testimonianze storiche presenti nella torre lo rendono entusiasta: “Qui Milton ha fatto visita a Galilei, nella stanza accanto un autoritratto di Michelangelo (…) una lettera di Cromwell a re Carlo I, un autografo di Benvenuto Cellini, la porta della casa di Macchiavelli e altri oggetti ancora”. In una lettera descrive alla moglie la sala da pranzo: “Sopra il tavolo è appeso il famoso ritratto di Galilei di Sustermann, di fronte il cardinal Francesco dè Medici. La tavola apparecchiata si trova fra una Madonna con bambino in cornice dorata del XI secolo, e armi, clessidra, bronzi, la lettera di Cromwell sotto vetro ecc…”. Qui Freud si fermerà più giorni affascinato dal luogo, dalle memorie che custodisce e dal paesaggio “la sacralità del luogo, la quiete, il panorama, il parco ci tengono incatenati”. La villa, oltre ad avere una bella vista di Firenze, è circondata da un vigneto e un parco cosparso di numerosi alberi da frutto dove si possono trovare “fichi freschi, pesche, mandorle di alberi che ci sono quasi noti di persona”.
Confrontando l’intera immagine fotografica con uno scatto eseguito nel suo studio molti anni dopo, nel 1938, si può notare quanto si sia arricchita la collezione. Lo studio, in cui ora si trova il divano utilizzato dai pazienti durante le sedute e la biblioteca, ospita oltre duemila oggetti. La collezione svela diversi aspetti della figura di Freud, da un lato biografici e professionali e dall’altro la sua passione per l’arte e l’attività di collezionista.
Bibliografia: B. Buscaroli, R. Martorelli (a cura di), Luce sulle tenebre: tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna, Bononia university press, Bologna, 2010; E. Engelman, Bergasse 19, Lo studio e la casa di Sigmund Freud, Abscondita, Milano, 2010; L. Gamwell, R. Wells (a cura di), Freud e l’arte: la collezione privata d’arte antica, Il pensiero scientifico, Roma, 1990; G. Pesci (a cura di), La Certosa di Bologna: immortalità della memoria, Compositori, Bologna, 1998; G. Ricci, Le città di Freud, Jaca Book, Milano, 1995. C. Togel (a cura di), Sigmund Freud, Il nostro cuore volge al sud, Saggi Bompiani, Milano, 2003.
Sitografia: www.amicidellacertosa.com; www.certosadibologna.it; www.freud.org.uk; www.psicoart.unibo.it