Ti dipingo frasi d'amore. Il tuo nome nella luna

Nel Cinquecento i letterati chiedevano l’ausilio dei pittori per tramutare le parole in “ieroglifici”. Si sviluppò così da una forma di crittografia la pratica del rebus, che in qualche caso veniva utilizzata anche nei quadri, come dimostrano le opere di Lorenzo Lotto o di Dosso Dossi. Un foglio da consegnare all’amata durante un ballo ufficiale



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Lotto-RitrattodiLucinaBrembati-Particolare[L]a pittura utilizzò la forma composita del linguaggio del rebus – basti pensare al ritratto di Lucina Brembati realizzato da Lorenzo Lotto, o alla firma con la lettera D e la figura di un osso vergata da Dosso Dossi in calce a un proprio quadro – e, in altri casi, prestò i propri disegni alla letteratura crittografata, in voga nel periodo rinascimentale. In queste pagine presentiamo un esempio particolarmente significativo e curioso dell’incontro tra letteratura e pittura.
Leggiamo la seguente composizione poetica: “Chiusa è la fiamma che tormenta il petto / e per celata star rovina il core / aspettar non posso quel ch’io aspetto / che come torza accesa sto in l’ardore / a la catena, al mio groppo ristretto / aspra è la vita, la Fortuna e Amore / se da mia stella non mi è dato pace / il corpo solverà morte con face”. Questi brevi versi, dedicati da Tibaldo all’incantevole Scaldacuore, sono tratti dal Philogyne di Andrea Baiardo, poema in ottave imperniato sulle vicende amorose di Adriano e Narcisa, composto nel XV secolo alla corte del Duca di Milano.
La prima edizione dell’opera, in due libri, risalente al 1508, è corredata da un rebus – il primo che sia mai stato stampato -, realizzato dal pittore Andrea Viotti e dedicato proprio al suddetto strambotto. L’incisione occupa un’intera pagina ed è divisa in otto grandi righe corrispondenti ai versi dell’ottava.
Curiosissima, risulta comprensibile anche a coloro che non hanno dimestichezza con simili rompicapi: se “chiusa” è suggerito da un graticcio che ostruisce un fiume e l’articolo “la” dall’omonima nota musicale, il verbo “tormenta” è reso mediante le due immagini di un toro e di una foglia di menta, e “petto” da una corazza; alla proposizione “per” corrisponde una pera, a “star” uno staio o “staro”, usato per misurare i cereali, mentre a “rovina” l’immagine di antiche vestigia.

La figura forse più difficile da decriptare, oggi, è la terza della terza riga: si tratta di un travaglio per ferrare i cavalli, in milanese detto “ara”; insieme a un dado con un punto, ossia ad un asso – as -, e alla corazza – petto -, compone il verbo “aspettar”.
“A la” è parafrasato da un’ala, “mio groppo ristretto” da uno stelo di miglio e una fune annodata. Ancora, Viotti traduce “l’ardore” accostando una fetta di lardo alla nota re, tratteggia un tralcio di vite per “vita”, una donna con vela per “Fortuna” e Cupido armato e bendato per “Amore”.
Un astro indica il sostantivo “stella”, e il corrispondente simbolo sacro sta per “pace”. “Solverà” è reso mediante un sole – sol – ed un anello – vera -, un teschio allude al sostantivo “morte” e, infine, un braciere a “face” (fiamma, nel linguaggio arcaico). Questo messaggio cifrato, ossia tradotto in rebus, doveva essere consegnato dal corteggiatore alla propria dama durante una danza, come una sorta di dichiarazione d’amore di carattere umoristico.
L’Opera Jocunda di Gian Giorgio Albione costituisce un altro esempio di poesia crittografata. Stampato ad Asti nel 1521 il volume, che raccoglie l’intera produzione letteraria dello scrittore, comprende due rondeau in francese, trasposti in rebus dallo stesso autore.
Il primo ha per protagonista una donna avvenente, provocante e compiacente, ma infida e venale. Come si evince dalla lettura del testo, Albione non nutre grande ammirazione per l’universo femminile: “Amore è potente, se c’entra il denaro / I miei cinque sensi si agitano per colei / della cui fama Asti si onora / E’ il mio scudo contro la malinconia / il mio conforto, la mia medicina e la mia protezione / Ha corpo e viso di forma immortale / e un cuore leale e lo sguardo che non spegne / la mia più buona speranza, germoglio di nontiscordardimé / Amore è potente / Ho sicuro accesso verso la sua rotonda mammella / che oso toccare e su di lei mi sazio / con uno schietto bacio. Quanto al resto io non dico nulla / Ahi, se mi inganna e gioca alla trottola! / Per conto mio, non so se non la credo tale / Amore è potente”.
Il rondeau è illustrato in ventiquattro strisce, in cui le immagini si alternano ad abbreviazioni e segni paleografici; per interpretarlo è necessario fare riferimento alla versione originale del testo, scritta in francese, appunto. L’incipit recita: “Amour fait moult”, “Amore è potente”: il semiverso, che ricorre ben tre volte, è suggerito dalla figura di Eros che pigia dell’uva nel tino. Una scrofa indica l’espressione “per colei”, in francese “pour celle”; un lupo “lou” ed un angelo “ange”, invece, formano il sostantivo “fama”, “louange”. La prima immagine della settima striscia rappresenta un farmacista che reca in mano il vaso con la medicina; le prime due della nona corrispondono a “figure”: rispettivamente, il frutto del fico si riferisce a “fig” e un volto deformato, in francese “hure”, alla seconda metà del termine.
L’aggettivo “immortale”, “immortelle”, è scisso in tre segmenti: l’abbreviazione della particella “imm”, uno scheletro (anche in questo caso emblema di morte, “mor”) ed una pala, “pelle”. Un occhio sta per “sguardo”, “oeul”, mentre in un ditale, “dé”, va individuata la preposizione “de”. Come Viotti, anche Albione disegna note musicali in vece dell’articolo “la” o della particella “re”.
Il rebus si conclude così com’è iniziato, con Amore potente dentro il tino.
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