Il toro – Numerosi gruppi etnici e tribù elessero il toro ad animale totemico. Ciò significa che, sotto il profilo dell’ascendenza ereditaria, il toro era considerato l’antenato mitico di quel popolo, temuto e venerato come un Dio etnico e tribale. Non esistono, al di là dell’Africa, in cui sono presenti grandi predatori temibili, come i leoni o i cosiddetti grandi felini, animali più compatti, dotati di forza immane, ribelli e vendicativi dei maschi dei bovidi. Il toro è anche la rappresentazione della violenza della sessualità originaria – che tutto calpesta, pur di giungere alla congiunzione carnale . e di ogni forma di violenza senza ragione. Le corride e le tauromachie nascevano proprio dalla lotta ritualizzata dell’uomo contro l’animale che esprime, in Europa, la massima forza bruta e l’istinto sfrenato. E’ anche chiaro che la lotta con il toro potesse rappresentare, per i giovani, il culmine di un percorso di iniziazione, preceduto da un periodo di istruzione, che consentiva il dominio della mandria e di situazioni estreme.
Il minotauro – Come ben sappiamo numerosi, nella letteratura religiosa antica, sono i casi in cui gli Dei si uniscono con le femmine umane, dando luogo alla nascita di un semidio, un ibrido mortale come l’uomo, ma dotato della forza del dio. Era uso che i re o i capi tribù per creare una distanza terrifica tra sé e il popolo affermassero di essere creature in parte divine. E’ plausibile pertanto, che essi si presentassero, nel corso di sedute plenarie o durante trattative con il nemico o durante le guerre, indossando la maschera dell’animale-dio temibile dal quale ritenevano di discendere.Il Minotauro (in greco antico: Μινώταυρος, Minótauros) è una figura della mitologia greca di ascendenza cretese. Il termine Minotauro significa “Re toro” ed è probabile che l’appellattivo fosse utilizzato per designare genericamente la carica dei sovrani cretesi.Secondo il mito però il minotauro era figlio del Toro di Creta e di Pasifae, regina di quella terra, un mostro feroce, con il corpo d’ uomo e la testa di toro, che richiedeva sacrifici umani, imposti ad Atene, nel periodo in cui dipendeva politicamente dai cretesi. Probabilmente Creta, per piegare gli ateniesi ed umiliarli e distruggerli di dolore, imponeva realmente grandi sacrifici e umiliazioni.
Tutto nacque dal fatto che Minosse, re di Creta, non era benvoluto dagli abitanti dell’isola, in quanto non figlio del re etnico vero, Asterione, bensì di Zeus, una divinità evidentemente straniera per i cretesi delle origini. Minosse, per ottenere il consenso dei cretesi, chiese allora a Poseidone, il dio del mare, una sorta di miracolo: l’invio di un toro splendido e possente. Un toro bianco, rarissimo, come segno di benevolenza degli Dei nei suoi confronti. Aveva concordato con Poseidone che l’animale stesso sarebbe stato sacrificato. Invece il re lo tenne per sé, per fare ingravidare le mucche delle sue mandrie. E, al suo posto, sacrificò un altro toro. Ma non dividere con il popolo il cibo rituale stabilito dagli Dei era un peccato gravissimo. Il cielo pertanto trasformò il dono in una maledizione. Pasifae, moglie di Minosse, si innamorò del toro candido. Era preda di un desiderio carnale animalesco; voleva sentire dentro dì sè il pene del toro lacerarle le carni. Così chiese a un artista-architetto, Dedalo, di realizzare una giovenca di legno con una fessura sotto la coda. Pasifae si poneva all’interno dell’animale così che la propria vulva coincidesse con la vagina della falsa giovenca. Il torò fecondò, contro ogni legge biologica, la donna. E portò in eredità al proprio figlio la testa, mentre le membra erano quelle di Pasifae, anche se coperte da pelliccia bovina. Aveva anche gli zoccoli e la coda. –
Il mostro era terribile, irriducibile. E l’unico modo per evitare che aggredisse il re e i familiari era quello di metterlo nel punto estremo di un labirinto, che venne costruito dallo stesso Dedalo. Quando arrivò il giorno in cui Atene dovette mandare sette ragazzi e sette ragazze per il terribile sacrificio umano, al gruppo si unì Teseo, giovane eroe. che voleva sconfiggere il Minotauro. Quando i giovani approdarono a Creta, passarono in rassegna davanti a Minosse e alla sua famiglia. Tra costoro c’era anche Arianna, la principessa, che si innamorò di Teseo. Il Minotauro era un’insidia per tutti e l’amore rafforzò in Arianna il desiderio di aiutare Teseo nell’uccisione della bestia. Per evitare che egli si perdesse nel labirinto diede un capo di un grosso gomitolo al giovane greco, così che potesse, una volta ucciso l’animale, non perdersi per sempre in quell’intrico. Teseo uccise il minotauro e, riavvolgendo il filo, uscì dal dedalo. Salpò con Arianna alla volta di Atene. Più avanti, però, abbandonò la fanciulla dormiente sull’isola deserta di Nasso. Il motivo di tale atto è controverso. Si dice che l’eroe si fosse invaghito di un’altra o che si sentisse in imbarazzo a ritornare in patria con la figlia del nemico, oppure che venne intimorito da Dioniso che, in sogno, gli intimò di lasciarla là, per poi raggiungerla ancora dormiente e farla sua sposa.
Arianna, rimasta sola, iniziò a piangere, finché apparve al suo cospetto il dio Dioniso che, per confortarla, le donò una meravigliosa corona d’oro, opera di Efesto, che venne poi, alla sua morte, mutata dal dio in una costellazione splendente: la costellazione della Corona.
Il significato politico del Minotauro
Già il mito greco dischiude l’avanzata di un preciso senso politico simbolico rispetto alla figura del Minotauro. E’ un personaggio violento, chiuso in un palazzo, proprio come un dittatore. Pretende sacrifici umani. Non segue la ragione ma un brutale istinto di dominio. Atene, sensibile ai tempi della repubblica e gravemente danneggiata dal tiranno, invia pertanto un eroe ad uccidere il dittatore. Per questo il mito, attualizzato, pone in essere il conflitto tra potere assoluto e volontà del popolo.
Il significato storico del simbolico mito
La vicenda simbolica lascia intendere il dominio pesante imposto da Creta su Atene. I cretesi onoravano il toro come padre mitico ed evidentemente chi sedeva su quel trono indossava la maschera dell’animale. Dopo aver subito vessazioni di ogni tipo, pagamento di tasse e invio di giovani per sacrifici umani, Atene decise di eliminare il sanguinario re di Creta, contando anche sul fatto che non era amato dagli abitanti. L’intervento avvenne attraverso un regicidio inteso come attentato con l’appoggio di alcuni membri della famiglia reale (Arianna). Si può ipotizzare che Teseo sia stato costretto a non sposare Arianna perchè appartenente a un’etnia e a una famiglia considerata impura perchè si univa carnalmente agli animali. La pratica dell’unione sessuale tra uomini e animali era diffusa anche in Italia, in aree depresse, fino al Novecento.
Nella Divina Commedia
il minotauro
è violenza cieca
«e ‘n su la punta de la rotta lacca
l’infamïa di Creti era distesa
che fu concetta ne la falsa vacca»
(Dante Alighieri, Inferno, Canto XII, vv. 11-13)
Il Minotauro appare nella Divina Commedia, precisamente nel dodicesimo canto dell’Inferno. È il guardiano del Cerchio dei violenti ed è qui che Dante e Virgilio lo incontrano. Nonostante tenti inizialmente di sbarrare loro la strada, Virgilio riesce ad allontanarlo, e allora il Minotauro comincia a divincolarsi qua e là come un toro.
Allegoricamente, il Minotauro è posto a guardia del girone dei violenti, perché nel mito greco esso simboleggia proprio la parte istintiva e bestiale della mente umana, quella che ci accomuna agli animali (la «matta bestialità») e ci rende inconsapevoli. I violenti sono proprio quei peccatori che hanno peccato cedendo all’istinto e non hanno seguito la ragione. Per la teologia cristiana rappresenta un grave peccato, perché mentre agli animali non si può dare alcuna colpa, perché fanno ciò che è necessario per sopravvivere e nulla più, l’uomo dovrebbe usare la ragione per non compiere atti di pura crudeltà. La scena di Virgilio che vince il Minotauro rappresenta allegoricamente il trionfo della ragione sull’istinto.
Nella psicologia e nella psicanalisi
Il conflitto tra la forza bruta e la ragione armata mette in scena la lotta, che avviene nella mente, tra la parte pulsionale e istintiva della psiche (Es freudiano, il minotauro) e l’apollineo desiderio di giustizia (Teseo, che coincide con la volontà del super io)- Il Super io vuole che le pulsioni siano vinte, senza raggiungere altro fine che il controllo assoluto sugli istinti. L’abbandono di Arianna è un sacrificio richiesto alla purezza della coscienza.
Picasso si sente il toro e Teseo
Picasso crebbe con la corrida nel sangue. Adorava questo cruento spettacolo e ogni forma di tauromachia. Ne traeva forza e vigore. Nel toro vedeva la violenza bruta e la bellezza sublime delle forme. Singolarmente il toro stesso, che ha una costruzione ossea e muscolare come se fosse “assemblata” a blocchi geometrici, si prestava a una lettura cubista e primitiva dell’animale. Le stesse tavole disegnative delle enciclopedie che illustrano le parti del bovino dovettero ispirare il maestro, nelle suddivisioni schematiche tra parti.
E’ evidente che il vitalismo di Picasso lo porta ad identificarsi con l’uomo-toro e, al tempo stesso, con l’uomo che uccide il toro
Come un toro o un minotauro egli ha una potenza assoluta, sotto il profilo umano e sessuale. Nessuna donna può resistergli, nessun avversario può porlo in imbarazzo poichè egli sbaraglia ogni difficoltà. Toro e minotauro sono pertanto i simboli di un autoritratto psichico, che trae spunto dall’animale totemico del popolo spagnolo. Egli però, in altre opere si sente Teseo, che tiene a bada la violenza. Un gioco complesso di contrappesi.