di Anna Maria Perini
[U]na vasta scena apocalittica: il drago a sette teste viene trafitto da sottili lance scagliate da schiere di angeli, alla cui guida sta l’Arcangelo Michele. Il loro intervento permette di salvare il Bambino. Il piccolo, appena nato, è sollevato dalla levatrice verso l’Eterno.
La scena dipinta in affresco dal Maestro di Civate – La vittoria degli arcangeli sul drago dell’Apocalisse, Civate (Lecco), chiesa di San Pietro al Monte – è molto animata e vivace, nonostante mantenga una matrice bizantina.
Ma ciò che sorprende è la rappresentazione del bambino, il quale dovrebbe essere tale ma che in realtà appare come un uomo miniaturizzato. Un fenomeno molto diffuso nella pittura medievale, almeno fino al XIII secolo. Esso testimonia la sostanziale ignoranza nei confronti del mondo dell’infanzia: ignoranza intesa non soltanto come “mancanza di conoscenza”, ma come frutto di una precisa omissione, specchio del pensiero di un’epoca nella quale, di fatto, i bambini non esistevano se non come piccoli uomini in potenza; ecco allora i duri lineamenti, la riduzione proporzionale degli arti – che non tiene conto ad esempio di alcune difformità del neonato, come la testa più grossa del corpo, le piccole spalle, i piedi paffuti -, l’assoluta mancanza di grazia, tenerezza e ingenuità.
E’ studiando la composizione della famiglia medievale che è possibile notare la continuità assoluta tra concezione dell’infanzia in pittura e pensiero diffuso nella società. Ciò che caratterizza la famiglia di quell’epoca – sia essa aristocratica o contadina – è la struttura ampia, all’interno della quale sono le ragioni del gruppo a prevalere. Le funzioni politico-militari sono centrali nella struttura lignatica; ragioni soprattutto economiche tengono unita invece la famiglia estesa dei ceti inferiori.
Anche la struttura della casa riflette, ad ogni livello sociale, l’ideale comunitario nel quale non esistono spazi specializzati per i bambini. La vita si svolge in locali comuni, nella più completa promiscuità. A questa realtà fa riferimento la definizione del nucleo familiare medievale come famiglia anaffettiva in cui i rapporti interpersonali non sono di per sé fonte primaria di valori. Diffuse sono le testimonianze relative a un’etica familiare che, di fatto, disconosce i diritti dei bambini, considerandoli piccoli adulti e, come tali, portatori di diritti minori. Un esempio? Madame du Chastel, costretta a scegliere tra la vita dell’unico figlio, preso in ostaggio dal nemico durante la Guerra dei Cento anni, e l’onore del marito e del casato, non esita, pur con profonda pena, a sacrificare il fanciullo in nome dell’onore che “dopo Dio occorre amare al di sopra della sposa, dei figli e d’ogni altra cosa”. In un tempo dominato da estreme crudezze, il bambino è costretto ad adeguarsi precocemente al mondo degli adulti. Da qui discende, in buona parte – al di là della questione della tecnica pittorica, che nello specifico incide solo marginalmente -, la dura iconografia riferita a Gesù Bambino, il quale è inteso soprattutto come Cristo in potenza.
Curioso, nell’ambito della miniaturizzazione dell’immagine dell’adulto ai fini della raffigurazione di Gesù bambino, è l’uso della netta ripresa della fisionomia della madre o di altri sacri personaggi: il pittore, come avviene nell’oratorio dei Santi Salvatore e Ilario a Casorezzo (Milano), riduce la massa facciale di Maria e la pone sul collo del pargolo.
Soltanto a partire dal XIII-XIV secolo, anche in coincidenza con un nuovo modo di rappresentare la realtà, comincerà a manifestarsi a livello sociale un interesse per la prima età che porterà gli artisti ad un racconto più autentico e sentimentale dei caratteri infantili per giungere all’autentica scoperta della reale immagine dei bambini con l’Umanesimo e il Rinascimento.