Carlo Crivelli, ma pure Mantegna come i pittori della scuola ferrarese, utilizzarono molto spesso festoni di frutti, infilzati e legati per decorazione, con il fine di elebrare l’apoteosi della Madonna in trono con bambino. Maria era fecondità, gioia, ricchezza; a Maria ci si rivolgeva per avere anche la grazia di ottenere il pane quotidiano, attraverso un’intercessione a Dio Padre. Gli splendidi troni di questa pittura, con tripudi vegetali, costituiscono, peraltro, uno dei precedenti alla natura morta che, in molti casi, sarebbe stata collezionata volentieri, come genere pittorico, anche dagli altri prelati, tra i quali il cardinale Borromeo, con fini di edificazione religiosa e per amore della pittura. Se infatti l’arte emendata del Concilio di Trento imponeva al pittore una scarsa immaginazione e l’adesione perfetta delle sue ricostruzioni artistiche al dettato del Vangelo e della Bibbia, ciò significava, rinunciare al Modello delle Maestà, in trono, con frutti. La Controriforma prescriveva di narrare pittoricamente ciò che il Vangelo diceva, senza aggiunte o varianti. E da qui si diparte quel realismo che ha portato al geniale monumento alla verità, che sta in Caravaggio. La riforma iconografica, che aveva il fine di riprodurre soltanto ciò che appartiene al narrato evangelico, senza alcuna aggiunta, – e ciò per ribadire il nucleo della verità inconfutabile della presenza di Cristo nel mondo, eliminando elementi di immaginazione e di folklore che potevano essere contestati dai luterani, con una riduzione che riguardava anche l’apparato simbolico – portò a uno spostamento dei frutti votivi, dai quadri evangelici a un genere autonomo.. I frutti divenivano simboli offertoriali, rinvi sofisticati a paragoni bliblici; e i pianificatori di soggetti riuscivano a ripulire – un vero peccato – dai repertori, i troni delle Maestà mariane, togliendo con essi le decorazioni vegetali che con Mantegna, ma soprattutto con Carlo Crivelli raggiungno l’apice dell’abbondanza, in un prodigio di quantità, di varietà e di gioia cromatica.
I frutti appartengono alla tradizione popolare dell’omaggio e dell’abbondanza – ma ogni frutto, per gli eruditi, costituiva un’immgine agente, in grado di rinviare a uno a a più passi biblici – e appaiono accanto ai troni di Maria, ai bordo delle spalliere o sospesi – come nella Madonna della Vittorie di Mantegna – a quelle strutture mobili o padiglioni, che, ordinariamente, venivano utilizzati per le grandi feste di corte, all’aperto. Ogni frutto, nei dipinti di Mantegna o di Crivelli, ma anche di numerosi artisti che operavano nel periodo compreso tra il Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento aveva una funzione di richiamare l’attenzione e di stupire lo spettatore meno avveduto – che metteva in relazione, immediatamente la figura di Maria con la prosperità enerosa – e, al tempo stesso parlava un linguaggio simbolico più raffinato per fedeli più preparati culturalmente. Mele, pere, ciliege
Ad ogni frutto, al di là del fatto che risultasse espressione della generosità di Maria, era collegato un significato teologico. La mela e il fico – legati al Peccato originale – venivano vinti da Maria e dal bambino e non rappresentavano più i frutti proibiti, perchè Maria e Gesù erano giunti per ristabilire la pace tra Dio e l’umanità, dopo il Peccato originale.
Mele, pere, ciliegie, pugne-susine, pesche e cetrioli.
Ciò che risultava imbarazzante – e che poi fu eliminato o numericamente ridotto – fu il cetriolo o cocomero, la cui forma, evidentemente fallica, veniva legata alla verginità di Maria e alla mancanza del Peccato originale, commesso dagli antenati non solo attraverso la consumazione del fico-mela dall’albero del Bene e del Male, ma attraverso il concepimento impuro del rapporto sessuale.
La rappresentazione del cetriolo diveniva rappresentazione della purezza di Maria, vissuta tra i rischi del mondo, concepita in purezza e madre-vergine. La pianta del cetriolo e il suo frutto sono caratterizzati da una sorprendente rapidità di crescita e di riproduzione. E’ un trascinato dal turbine invasivo della crescita e della necessità di moltiplicare, correndo sul terreno, la generazione.Il passo bibliocoche autorizzava i pianificatori dei dipinti e gli artisti ad inserire il cetriolo nei quadri mariani è del profeta Isaia, che afferma:” E’ rimasta sola la figlia di Sion, come una capanna in una vigna,come un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata”.
Il cocomero è anche un prodotto terreno, legato ai sensi. Secondo Rabano Mauro gli ebrei preferirono mangiare cetrioli piuttosto che accettare la manna che veniva inviata dal cielo.
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Il collegamento del cocomero con il peccato originale appare evidente nella Madonna della Vittoria di Mantegna.
Cetrioli, dalle dimensioni di angurie, fuoriescono dal festone alla nostra destra. Il nucleo semantico dell’opera è la vittoria compiuta da Maria e da Gesù, sul peccato originale, che appare descritto, con un rilievo, alla base del trono. Il Gonzaga vince sui nemici appellandosi a Colei che ha vinto il Demonio e che ha portato l’umanità al di làdel limite del peccato originale.
Secondo alcuni, come avviene nella scheda del dipinto qui sopra, conservato all’accademia Carrara, il cetriolo avrebbe potuto anche rappresentare la Resurrezione. Nel testo di Giona, nella parte in cui descrive l’approdo a terra, dopo i tre giorni e le tre notti trascorsi nel ventre della balena, Dio fa crescere un cespiglio di ricino, che poi fa seccare. E’ presumibile, secondo alcune fonti, che il frutto biblico del ricino, pianta dell’Africa settentrionale, sia stato sostituito con un cetriolo. In questo caso, la presenza del cetriolo, rievocherebbe Giona, che precede Cristo nella morte – apparente, nel ventre della balena – e nella Resurrezione. La presenza di più significati conferiva al simbolo un valore superiore, poichè era in grado di aprire più porte semantiche. Una funzione ben diversa dai nostri simboli-segnali ai quali chiediamo sempre un significato univoco, semplice, immediato, senza possibilità di fraintendimenti. Ed è per questa differenza che, di fronte a un dipinto antico, siamo chiamati a forzare il nostro razionalismo di fondo e proviamo un certo disagio per la polisemia ddel segno stesso.
Un cetriolo per la Madonna. Ma perchè quella presenza impudica nei quadri sacri?
Carlo Crivelli, ma pure Mantegna e i pittori della scuola ferrarese, utilizzarono molto spesso festoni di frutti, infilzati e legati per decorazione, con il fine di elebrare l'apoteosi di vita delle scene della Madonna in trono con bambino. Maria era fecondità, gioia, ricchezza; a Maria ci si rivolgeva per avere anche la grazia di ottenere il pane quotidiano, attraverso un'intercessione a Dio padre. Gli spnedidi troni di questa pittura, con tripudi vegetali, dell'Italia settentrionale, costituiscono, peraltro, un precedente alla natura morta che, in molti casi, sarebbe stata collezionata volentieri, come genere pittorico, anche dagli altri prelati, tra i quali il cardinale Borromeo, con fini religiosi e per amore della pittura