L’artista novecentesco Massimo Campigli amò gli Etruschi, al punto da ripartire da essi, nell’ambito della rappresentazione. E non era soltanto una folgorazione formale quanto la scoperta di un popolo, che appartiene al nostro Dna e che ci presenta – nell’arte, nei costumi, nella libertà, nella creatività, nel mistero, nell’emancipazione della donna – qualcosa di antitetico rispetto alla pur splendida – ma imperialista – civiltà romana. Gli stessi Dei, per quanto assimilabili, si rilevano, in campo etrusco, capaci di suscitare gioie pagane e di aprire profondi spazi metafisici.
La mostra Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità, allestita a Palazzo Franchetti di Venezia proseguirà fino al 16 gennaio 2022 con un nuovo allestimento e con l’aggiunta di un reperto inedito e prezioso, la mostra Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità è prorogata fino a domenica 16 gennaio 2022. La decisione è stata resa possibile grazie alla generosa collaborazione dei prestatori, tra cui la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, con la quale l’esposizione è realizzata in collaborazione, che in questa occasione ha scelto di presentare per la prima volta al pubblico il Viaggiatore etrusco: un prezioso frammento di lastra in terracotta della fine del VI – inizio V secolo a.C. appena rientrato in Italia.
L’opera va così ad arricchire la già corposa e pregiata selezione di circa cinquanta reperti che si affiancano alle tele prescelte per illustrare tutto l’arco della carriera artistica di Massimo Campigli. Sul frammento (alto circa 28,6 cm) è raffigurato il profilo di un giovane dai lunghi capelli rossi, caratterizzato da un’elaborata acconciatura, con un copricapo a tesa da viaggiatore, e da un bastone sinuoso. La lastra è stata acquistata dalla Fondazione Luigi Rovati presso la casa d’aste Christie’s di New York – con il fine di completare la selezione conosciuta di lastre parietali figurate provenienti da Cerveteri già in possesso dello Stato – e ceduta al Ministero della Cultura.
L’inedito reperto farà il suo debutto ufficiale mercoledì 20 ottobre 2021 quando sarà presentato in un convegno tenuto dalla Soprintendente Arch. Margherita Eichberg, dall’archeologo Daniele Federico Maras in dialogo con il Dott. Lucio Rovati, Presidente della Fondazione Luigi Rovati, dalla Prof.ssa Martina Corgnati, che ha fornito un importante contributo scientifico alla mostra e dalla Dott.ssa Alessia Calarota, Vice Presidente di ACP – Palazzo Franchetti. In occasione della proroga, ACP – Art Capital Partners amplia la sua programmazione culturale all’interno di Palazzo Franchetti, inaugurando come sede delle mostre anche le sale del Secondo Piano Nobile, caratterizzate da una rara boiserie della fine dell’Ottocento, che renderà ancora più suggestivo il percorso espositivo”.
[…] Nei miei quadri entrò una pagana felicità tanto nello spirito dei soggetti che nello spirito del lavoro che si fece più libero e lirico». É con queste parole che lo stesso Massimo Campigli descrive la visita al Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma nel 1928, attribuendole una valenza fondamentale per lo sviluppo della fase più matura della sua produzione artistica. Ed è a partire da queste parole che ha preso forma la mostra presso ACP – Palazzo Franchetti a Venezia, a cura di Franco Calarota con la supervisione generale di Alessia Calarota, che si è proposta come un vero dialogo tra le opere del maestro e gli esempi del passato da cui ha tratto così forte ispirazione. Le circa 35 opere di Campigli selezionate per la mostra si affiancano a una cinquantina di reperti della civiltà etrusca, molti dei quali inediti ed esposti qui per la prima volta, individuati dalla Soprintendente Margherita Eichberg assieme agli studiosi del Comitato Scientifico Leonardo Bochicchio, Simona Carosi, Daniele Federico Maras, Rossella Zaccagnini, affiancati dal direttore di ricerca Arch. Giovanni Cesarini.
Le composizioni volutamente arcaicizzanti di Campigli, ben rappresentate in mostra con dipinti che spaziano dal 1928 al 1966, ritrovano le origini della loro ispirazione più profonda nei reperti etruschi esposti con cui si instaura una naturale condivisione di atmosfere, segni e colori. Come sottolinea Franco Calarota: “A partire dalla famosa visita al Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma nel 1928 si assiste a una sorta di ritorno a una purezza primordiale nell’arte di Campigli, a un sapore antico fatto di colori tenui come dipinti ad affresco così simili a come il tempo ci ha restituito le immagini etrusche, di forme plasmate secondo il disegno di statue votive o di anfore, di figure femminili con busti a clessidra che si astraggono in immagini atemporali”. Due opere in mostra, “Busto con vaso blu” e “Zingari”, sono proprio del 1928 e segnano chiaramente il passaggio verso una nuova figurazione, che si fa sempre più evidente in opere come “Donne con l’ombrellino” del 1940 fino alla “Donna seduta” del 1961. La ricchezza tipologica dei reperti in mostra – dai vasi alle statuine, dai gioielli ai sarcofagi, ecc. – permette di rintracciare un alfabeto e un universo di legami che, a partire da generali evocazioni, si declinano in riferimenti puntuali nelle diverse sezioni della mostra: la prima dedicata alla figura umana, divisa in gli uomini e le donne; la seconda agli animali, composta da uccelli, cavalli, animali selvatici ed infine la terza con forme e geometrie. Molti dei reperti sono assolutamente inediti e provengono da importanti operazioni di recupero di materiale archeologico, anche da rinomati musei internazionali, e ora nella disponibilità della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale.
Come scrive la Soprintendente Margherita Eichberg: “sono stati privilegiati i volti di terracotta, dai quali l’artista trasse ispirazione per l’ideazione di un tipo di ritratto stereotipo e svincolato dalla riproduzione diretta della realtà; i bronzi e i vasi di ceramica decorati con figure umane (maschili e femminili) e animali, soggetti che compaiono – quasi citazioni – nelle opere dell’artista; i vasi di bucchero e di impasto con forme geometriche e curve che hanno ispirato le sagome femminili in alcune sue opere; infine i gioielli, una vera passione di Campigli”. Una nota meritano sicuramente due preziosi sarcofagi in terracotta del Museo Civico di Viterbo: un sarcofago fittile femminile della seconda metà del III sec. a.C. e un sarcofago fittile maschile della fine del III, inizio del II sec. a.C. Attraverso il richiamo di queste formule espressive appartenenti a una gloriosa civiltà passata, l’arte di Campigli rivela una profonda originalità proprio nella coesistenza tra antichi splendori e attualità, immergendo il visitatore in una dimensione dove il tempo sembra fermarsi o scorrere tranquillo in una quiete imperturbabile. Ci mostra un Novecento contemporaneo alle età più antiche del Mediterraneo scrivendo così una pagina molto interessante di quello che l’archeologo Massimo Pallottino ha definito come “romanzo etrusco”, un mito che dal Rinascimento in poi continua ad esercitare una forte fascinazione di generazione in generazione.