Villa romana scoperta a Bacoli. Forse di Plinio il Vecchio. Da qui partì per l’impresa disperata dopo l’eruzione del Vesuvio?

Forse da quel punto egli vide l'eruzione. "Mia madre gli fa notare che si sta formando una nube insolita, sia per grandezza. - scrive Plinio il Giovane - Lui, dopo aver preso il sole e fatto un bagno freddo, aveva pranzato, restando sdraiato, e studiava. (...) Come ad un uomo molto erudito, a lui sembrò una cosa importante e da conoscere più da vicino. Ordina che sia preparata una Liburnica; a me offre la possibilità di andare insieme. Io risposi che preferivo studiare; e per caso egli stesso aveva assegnato qualcosa da scrivere."


Resti di una villa romana – che potrebbe aver ospitato Plinio il Vecchio – sono emersi a Bacoli, in provincia di Napoli, durante i lavori comunali di recupero e valorizzazione dell’area occupata in precedenza dall’ex Lido Piranha, “un ecomostro abusivo finalmente abbattuto in anni recenti. – spiega la Soprintendenza di Napoli, che definisce la scoperta “eccezionale” – Durante le operazioni di sistemazione del piano di campagna, destinato ad ospitare il nuovo vialetto di accesso, le panchine e l’area giochi per bambini, sono emersi i resti di quella che si è rivelata subito essere una monumentale villa romana, databile intorno al I secolo d.C. La struttura si estende senza soluzione di continuità fino alla spiaggia e ai fondali antistanti, presso Punta Sarparella, il promontorio da cui si ipotizza che Plinio il Vecchio, Praefectus classis Misenensis, avrebbe visto l’eruzione del Vesuvio, e poi sarebbe salpato alla volta di Stabiae, per soccorrere gli abitanti delle diverse città costiere, minacciate dall’eruzione vesuviana”.

Fu forse qui che, dopo aver preso il sole e ad aver fatto un bagno freddo, dopo aver mangiato qualcosa e mentre leggeva, Plinio fu accostato dalla sorella che gli mostrò una strana, spaventosa nube dall’altra parte del golfo…

Ma torniamo ai resti dell’edificio. Poi racconteremo la vicenda di Plinio, fino alla morte. I ruderi dell’edificio sono emersi a seguito del dissequestro e della bonifica dell’intera area – nella quale erano stati gettati rifiuti speciali liquidi – e al conseguente avvio dei lavori per la realizzazione di una villa comunale, intervento finalizzato a restituire alla pubblica fruizione uno degli accessi più spettacolari alla spiaggia di Miseno, per lunghi anni resa inaccessibile da rifiuti e sterpaglie. Un progetto al quale ha partecipato attivamente la Soprintendenza ABAP per l’Area Metropolitana di Napoli, intenzionata a supportare attivamente l’Amministrazione Comunale in questo progetto di riqualificazione.

“Proprio durante le operazioni di sistemazione del piano di campagna, destinato ad ospitare il nuovo vialetto di accesso, le panchine e l’area giochi per bambini, grazie all’assistenza archeologica in corso d’opera prescritta dall’Ufficio Tutela – spiega la Soprintendenza napoletana – sono emersi i resti di quella che si è rivelata subito essere una monumentale villa romana, realizzata in opera reticolata di cubilia di tufo, assai ben costruita, che si estende senza soluzione di continuità fino alla spiaggia e ai fondali antistanti. Sono stati individuati una decina di ambienti di grandi dimensioni con diverse fasi edilizie, piani di calpestio e tracce di rivestimento murario”.

“Tali evidenze sono probabilmente pertinenti a quello che resta di una delle terrazze della residenza del Prefetto della Flotta romana del Tirreno, la Classis Misenensis. – prosegue la Soprintendenza – Che delle strutture si conservassero in quella zona era già risaputo, così come lacerti di murature in opera reticolata sono già visibili lungo la spiaggia della Sarparella, ma grazie ai lavori di bonifica prima – iniziati nel 2021 – e a quelli di riqualificazione in via di completamento, è stato possibile avviare una pulizia sistematica delle creste murarie ed individuare l’articolazione degli ambienti”.

E prefetto della Flotta romana, a Miseno, fu proprio Gaio Plinio Secondo, noto con il nome di Plinio il Vecchio, un naturalista, un filosofo, un comandante militare e governatore provinciale romano.

Il suo unico lavoro giunto fino a noi integralmente è la Naturalis historia, un’ampia enciclopedia, con voci relative ad astronomia, geografia, antropologia, zoologia, botanica, materiali, medicina, metallurgia, mineralogia e arte. Quest’opera enciclopedica rappresenta il risultato di una massiccia ricerca preparatoria basata su oltre 2000 volumi scritti da più di 500 autori. Nel corso dei secoli successivi, soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento, la Naturalis historia è stata ampiamente letta e studiata, costituendo oggi un documento essenziale delle conoscenze scientifiche dell’antichità.

La notorietà di Plinio è legata anche alla sua morte, documentata dal nipote-figlio adottivo, Plinio il Giovane. Plinio il Vecchio era al comando della flotta romana a Capo Miseno – appunto – durante una delle più grandi catastrofi storiche, l’eruzione del Vesuvio del 79. Il comandante salpò con una nave per osservare il fenomeno e, al tempo stesso, per soccorrere la sua amica Rectina e gli abitanti di Stabia. Ma giunto dall’altra parte del golfo, dopo essersi recato nella villa di amici, non poté più tornare indietro per uscire dal raggio del vulcano. E aspettò la morte, che giunse, probabilmente, per soffocamento, a causa dei fumi del vulcano e degli incendi, in un soggetto forse asmatico. Qualcuno si salvo. E raccontò al nipote e alla sorella le ultime ore di questo grande uomo.

Ed ecco cosa accadde, esattamente. “Il nono giorno prima delle Calende di Settembre, circa all’ora settima, mia madre gli fa notare che si sta formando una nube insolita, sia per grandezza che per consistenza. – scrive Plinio il Giovane – Lui, dopo aver preso il sole e fatto un bagno freddo, aveva pranzato, restando sdraiato, e studiava. (…) Come ad un uomo molto erudito, a lui sembrò un fenomeno importante e da conoscere più da vicino. Ordina che sia preparata una Liburnica; a me offre la possibilità di andare con lui. Io risposi che preferivo studiare; e per caso egli stesso mi aveva assegnato, in precedenza, qualcosa da scrivere. Usciva di casa quando ricevette un messaggio di Rectina, moglie di Tasco, atterrita dall’imminente pericolo. Lei lo pregava di essere sottratta a un rischio così grave. Egli mutò così idea. Se un primo tempo voleva partire per accrescere la sua conoscenza, (e probabilmente per starsene al largo, osservando quello strano fenomeno naturale in un punto senza rischi ndr) affrontò invece la traversata con animo molto coraggioso (dirigendosi verso quella terra coperta di nubi, con l’idea di trarre in salvo la donna, ndr). Fa così mettere in mare delle quadriremi, si imbarca lui stesso intenzionato a portare aiuto non solo a Rettina, ma a molti. Si affretta in direzione di quel punto dal quale tutti gli altri fuggono. (…) Già sulle navi cadeva cenere, più calda e più fitta quanto più si avvicinavano alla costa; già cadevano anche pomici e pietre nere e bruciacchiate e spezzate dal fuoco; già si manifestava una secca improvvisa e i litorali – pieni di detriti ndr – erano un ostacolo a causa del crollo del monte”.

Dopo un attimo di titubanza – Plinio avrebbe potuto decidere di ripiegare, tornando verso la sua villa – ordinò di procedere. Nei pressi dell’approdo trovò un amico, Pomponiano, che aveva caricato i bagagli sulle navi, deciso alla fuga, se il vento contrario si fosse calmato. Poco si poteva fare. Il vento era intenso e avverso, quanto la violenza del vulcano. Plinio, per rassicurare l’amico, gli chiese di entrare nella villa per fare un bagno e cenare, in attesa che gli eventi mutassero.

“Una volta lavato si sdraia, cena ed è lieto. Una persona serena – scrive Plinio il Giovane – . Frattanto dal monte Vesuvio e in più luoghi ardevano splendenti vastissime fiamme e alti incendi, il cui bagliore e splendore era reso evidente dalle tenebre della notte”.

Plinio cercò di minimizzare, perché gli amici non fossero atterriti. E disse loro che quelle fiamme potevano essersi sviluppate come semplici incendi di casolari, abbandonati dalla gente in fuga. Del resto non si poteva fare altro. Aspettare.

“Poi si diede al riposo e riposò con un sonno veramente molto profondo. – racconta Plinio il Giovane – Infatti il respiro, che egli aveva piuttosto pesante e sonoro a causa della corpulenza del fisico, veniva sentito da coloro che si avvicinavano alla porta. Ma il cortile dal quale si accedeva al soggiorno, coperto di cenere e di pomici mescolate, si era innalzato già al punto che, se lui fosse stato più a lungo nella stanza da letto, non avrebbe più potuto uscirne. (…)”

Mentre gli altri cercano di fuggire – ma è impossibile – lui esce dalla stanza, poi si sdraia su un lenzuolo gettato a terra, chiede acqua fredda e ne beve due bicchieri. Arrivano altre fiammate. Gli altri si spostano, cercano di fuggire. Lo chiamano. Sorreggendosi su due schiavi Plinio si alza e subito cade, forse per le esalazioni del vulcano e forse a causa dell’aggravarsi di un’infiammazione cromica delle vie respiratorie.
Al ritorno del giorno il suo corpo viene ritrovato intatto, illeso e coperto come era stato vestito; la posizione del corpo è più simile a quella di uno che riposa piuttosto che a quella di un morto.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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