Un tempio dalle mura possenti è stato individuato con droni e georad e scavato, in queste settimane. Nei giorni scorsi la conferma, dal cantiere di scavo, all’interno dell’antica città di Vulci, nel Comune di Montalto di Castro, in provincia di Viterbo.
Gli scavi sono diretti da Mariachiara Franceschini dell’Università di Friburgo e da Paul Pasieka dell’Università di Mainz. L’edificio di culto, secondo le prime indagini, risale al VI secolo a.C..
Fondata su un ameno e sicuro pianoro di circa 120 ettari, nei pressi del fiume Fiora, la città sorse a poco più di dieci chilometri dalla costa del mar Tirreno e divenne delle più grandi città-stato dell’Etruria, con un forte sviluppo marinaro e commerciale.
La consistente materia prima offerta dalle Colline Metallifere e la strada naturale scavata dal fiume nonchè la vicinanza al mare ne fecero un punto di sondo di produzione e commercio, anche con realtà non territorialmente vicine, come la Sardegna. La scoperta più importante che testimonia il contatto tra Etruschi e Sardi in questo periodo, è rappresentata dalla Tomba dei Bronzi Sardi avvenuta nel 1958 nella necropoli di Cavalupo, datata tra il 850–800 a.C., e attribuita a una donna di alto rango di origine sarda. a.C. Il suo contributo al commercio con i mercanti greci nell’importazione di ceramiche corinzie, ioniche e attiche fu molto importante; anche per queste ragioni si trovò più volte a guidare la Lega delle città etrusche contro Roma.
Nel 280 a.C. la città, e la sua alleata Volsinii, furono sconfitte dal’esercito romano guidato dal console Tiberio Coruncanio. Come conseguenza di questa sconfitta, la città perse gran parte dei suoi territori che furono assegnati a Cosa e Forum Aurelii, l’odierna Montalto di Castro.
Da questo momento inizia il declino della città etrusca, che comunque nel I secolo a.C. ottiene lo status di municipio romano, e nel IV secolo è citata come sede vescovile; sarà definitivamente abbandonata, a favore di Montalto di Castro, nell’VIII secolo.
Il tempio nuovo ritrovato misura 43 metri per lato e sorge nei pressi del già conosciuto Tempio grande – 42,6 X 28 metri – forse dedicato a Minerva. I due edifici presentano numerose consonanze sotto il profilo strutturale.
“Nell’ambito del progetto Vulci Cityscape abbiamo individuato grazie a prospezioni geofisiche svolte nel 2020 in estensione a Nord del decumano, tra le altre cose, un secondo tempio monumentale finora sconosciuto accanto al tempio grande”, ha scritto la Franceschini nella sua relazione. “Il nuovo tempio ha pressappoco le medesime dimensioni e un analogo orientamento del tempio grande”.
“Lo scavo del nuovo tempio – prosegue la professoressa Franceschini “sta mettendo in luce non solo la struttura del tempio stesso, ma anche le sue diverse fasi di vita, dalla fondazione, datata in base ai materiali rinvenuti negli strati che riempiono le fondamenta – allo stato attuale delle ricerche – in epoca arcaica, verso la fine del VI/inizi del V secolo a. C., alle diverse fasi di uso, abbondono e spoliazione fino in epoca romana. Particolarmente significativo è che si tratta di un secondo tempio monumentale affiancato a quello già noto e probabilmente contemporaneo. La stratigrafia è conservata intatta, il che ci permette di ancorare le fasi di vita della struttura a una sequenza cronologica e alla storia della città di Vulci, nonché di comprendere la relazione dell’area sacra con il dinamico evolversi del tessuto urbano”.
Non ci resta che attendere la fine del meticoloso lavoro degli archeologi del parco di Vulci. “L’area si rivela promettente”, ha concluso la Franceschini “per comprendere il complesso palinsesto urbanistico vulcente e ancorare al territorio le fasi di trasformazione, adattamento e resilienza in tempi di sfide e crisi cui è sottoposta la città etrusca e romana nella sua lunga storia”.
Nell’ambito dell’area sacra sono stati portati alla luce numerosi reperti, molti dei quali di importazione – soprattutto dall’Attica – buccheri del luogo, ceramica etrusco-geometrica ed etrusco-corinzia, ma anche produzioni locali da ricondursi all’età villanoviana e all’orientalizzante, a “conferma – conclude l’archeologa – della vivacità dei rapporti di scambio tra Vulci e il Mediterraneo e della ben nota produzione locale nei secoli”.