53mila monete romane, sepolte in 19 anfore. Uno studio cerca di scioglierne il mistero

Le ipotesi? E' chiaro che l'occultamento del denaro avvenne segretamente e che il proprietario non ebbe il tempo per rilevarlo ai familiari o i membri della famiglia morino anch'essi in breve tempo. Uno dei motivi per spiegare la grande quantità di contanti potrebbe essere collegato all'elevata inflazione del periodo. I pezzi furono emessi in seguito alla riforma dell'imperatore Diocleziano - 294 - per arginare l'inflazione. "Questi e altri fattori spiegano le elevate cifre di questi pezzi - dicono gli studiosi - perché solo in alto numero potevano consentire di effettuare pagamenti di un certo livello".

53.000 monete romane trovate in 19 anfore, sotto il terreno, durante uno scavo edilizio per la realizzazione di alcune canalizzazioni in un parco pubblico di Tomares, un comune spagnolo di 23mila abitanti, situato nella comunità autonoma dell’Andalusia, nei pressi della città di Siviglia, che si trova subito sull’altra sponda del Guadalquivir.
E’ il più grande tesoro romano di Spagna, portato alla luce casualmente nel 2016 e oggetto, negli ultimi anni, di uno studio accurato, che è confluito in un saggio pubblicato ora dall’Università di Siviglia. Gli scavi successivi permisero di capire che il tesoro era stato nascosto sotto un portico di un possente edificio rurale – forse un magazzino – probabilmente facente parte di una proprietà più articolata e ampia, rispetto alla quale va rilevata – per ora – la mancanza di una villa padronale vicina, che forse potrà essere messa in luce in futuro.

“Raramente abbiamo l’opportunità di tuffarci in un tesoro di monete di dimensioni sufficientemente grandi per acquisire una conoscenza approfondita degli aspetti chiave della circolazione monetaria di un territorio in un dato momento. – scrivono gli archeologi e numismatici Francisca Chaves Tristan, Enrique Garcia Vargas, Miguel Angel Apaldiza Galisteo, Ruth Pliego Vázquez, Blanca Gómez Tubio e Simona Scrivano dell’Università di Sevilla, autori del saggio “Moneta e metallo nell’antichità tardiva: il Tesoro di Tomares o dello Zaudin sei anni dopo”.

“Per quanto riguarda la Baetica occidentale e il periodo della Tetrarchia – proseguono gli studiosi – l’occasione si è presentata nell’aprile 2016 quando i macchinari che effettuavano i lavori nel parco pubblico di El Zaudín (Tomares, Siviglia) hanno accidentalmente portato alla luce il cosiddetto ‘Tomares Hoard’. Dopo un periodo difficile in cui la chiusura del Museo Archeologico per lavori si è combinata con la pandemia (e post-pandemia), alla fine della scorsa estate sono ripresi i lavori completi del sito. Siamo ora, quindi, in condizione di fare un’approssimazione del tesoro sulla base dei primi risultati numismatici e metallografici. Il più grande tesoro romano di Spagna rivela i suoi segreti: le 53.000 monete di Tomares furono coniate dalla riforma che, per arginare l’inflazione, portò avanti Diocleziano nel 294 e che invocò l’Impero a momenti di profonda incertezza e “politica e di insicurezza per conflitti bellici tra governanti”.

Gli studiosi, dopo aver analizzato 5.899 pezzi, hanno concluso concluso che le monete furono coniate in un periodo di tempo limitato, compreso tra il 294 e il 311. Fu evidentemente nel 311 o negli anni immediatamente successivi il periodo nel quale il grande tesoro fu nascosto sotto il portico del magazzino, che era stato costruito qualche secolo prima nel I secolo d.c.

Le ipotesi? E’ chiaro che l’occultamento del denaro avvenne segretamente e che il proprietario non ebbe il tempo per rilevarlo ai familiari o i membri della famiglia morino anch’essi in breve tempo. Uno dei motivi per spiegare la grande quantità di contanti potrebbe essere collegato all’elevata inflazione del periodo. I pezzi furono emessi in seguito alla riforma dell’imperatore Diocleziano – 294 – per arginare l’inflazione. “Questi e altri fattori spiegano le elevate cifre di questi pezzi – dicono gli studiosi – perché solo in alto numero potevano consentire di effettuare pagamenti di un certo livello”.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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