Trovata in un castelliere del Carso antica pietra incisa. Cosa rappresenta? La scoperta “stellare” di un archeologo e di un astronomo

L'attenzione degli studiosi è stata attirata da due notevoli pietre circolari collocate all'ingresso del Castelliere di Rupinpiccolo. Mentre una di esse si ritiene possa rappresentare il Sole, l'altra potrebbe essere la più antica mappa celeste mai rinvenuta. Questa straordinaria scoperta è stata resa possibile grazie all'osservazione attenta di un astronomo dell'Inaf - Istituto nazionale di astrofisica - di Trieste, Paolo Molaro, e di un archeologo dell'Università Ca' Foscari di Venezia e dell'Ictp, Federico Bernardini
Da sinistra, l’archeologo Federico Bernardini e l’astronomo Paolo Molaro al Castelliere di Rupinpiccolo, con quella che potrebbe essere la più antica mappa celeste mai scoperta. @ Credito forografico, Inaf

Due pietre circolari, trovate nei pressi dell’ingresso di un castelliere. Tutto parte da lì. Una pietra rappresenta il sole, l’altra è ricca di segni precisi, inferti con uno strumento metallico. Le scalfitture si rivelano intenzionali. Rappresentano qualcosa. Ma cosa? Siamo nel cuore del Carso triestino, a Rupinpiccolo, a 12 chilometri da Trieste. Minuscola frazione del Comune di Sgonico è a 297 metri sul livello del mare ed ha 117 abitanti. Il castelliere sta un po’ più in alto.

Tra i tanti castellieri dell’area carsica, quello di Rupinpiccolo è uno dei meglio conservati, grazie anche ai lavori di consolidamento eseguiti qualche decennio fa dalla Soprintendenza Archeologica. I castellieri, come ben sappiamo, sono insediamenti fortificati risalenti all’Età del Bronzo e del Ferro, caratterizzati da una posizione elevata e facilmente difendibile. Questo termine è comunemente utilizzato per identificare le costruzioni di questo genere presenti nelle regioni del Veneto, Carso, Friuli e Istria, mentre nelle Marche queste strutture arcaiche sono conosciute con il nome di gradìne.

Il castelliere di Rupinpiccolo sorge subito fuori dal paese, su di un’altura calcarea, la cui sommità è recintata da un vallo dallo spessore di 3-4 metri, ma che in alcuni punti tocca anche i 7 metri. L’altezza si è conservata per un massimo di 3 metri, ma in origine doveva raggiungere i 7-8 metri. L’elemento più notevole è costituito dal varco d’accesso posto sul tratto inferiore della muratura: era delimitato da due muri che si prolungavano verso l’esterno costituendo una sorta di corridoio (o dromos); sul lato a valle era difeso da un contrafforte e su quello a monte era controllato da una torre. Fu realizzato tra il 1800 e il 1650 a.C. e frequentato fino al 400 a.C.

Ripresa aerea del Castelliere di Rupinpiccolo @ Archivio Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia

Qui – secondo gli studiosi che hanno pubblicato un saggio sulla rivista tedesca di astronomia Astronomische Nachrichten, che è stato esaminato, nelle ore scorse, da Marco Malaspina, direttore di Media Inaf – i nostri antenati avrebbero perfettamente rappresentato una mappa celeste. Era il cielo osservabile dal castelliere. La pietra sarebbe così, secondo gli autori dello studio, la più antica mappa celeste conosciuta. Ciò che è interessante è che, in più di 2500 anni, il “cielo sopra Rupinpiccolo” è cambiato, ma tavole astronomiche e computer rivelano che ciò che brillava, nella notte, corrisponde con i segni lasciati dai colpi di scalpello dell’antico “scultore di stelle”.

L’attenzione degli studiosi è stata attirata da due notevoli pietre circolari collocate all’ingresso del Castelliere di Rupinpiccolo. Mentre una di esse si ritiene possa rappresentare il Sole, l’altra potrebbe essere la più antica mappa celeste mai rinvenuta. Questa scoperta è stata resa possibile grazie all’osservazione attenta di un astronomo dell’Inaf – Istituto nazionale di astrofisica – di Trieste, Paolo Molaro, e di un archeologo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Ictp, Federico Bernardini.

Molaro e Bernardini hanno identificato sulla superficie della pietra 29 incisioni che corrispondono con notevole precisione alle costellazioni dello Scorpione, di Orione, delle Pleiadi e di Cassiopea. La disposizione di questi segni, eseguiti con un martello e un rudimentale scalpello di metallo, suggerisce un’intenzionalità nell’opera e una cura notevole nell’esecuzione.

Modello digitale di elevazione della faccia principale della pietra analizzata nello studio @. Crediti: Bernardini et al., Documenta Praehistorica. La foto è stata pubblicata da Media Inaf

«Circa due anni fa sono stato contattato dall’archeologo Federico Bernardini, che non conoscevo, dicendomi che aveva bisogno di un astronomo» – racconta l’astronomo Molaro a Malaspina, nel corso di un’intervista condotta per Media Inaf -. Gli sembrava di aver identificato la costellazione dello Scorpione in una pietra del Carso. La mia prima reazione è stata di incredulità, dato che la parte meridionale dello Scorpione è appena sopra l’orizzonte alle nostre latitudini. Ma poi, scoprendo che la precessione degli equinozi lo alzava di circa 10-12 gradi e l’impressionante coincidenza con la costellazione, ho cominciato ad approfondire la questione… Così ho identificato Orione, le Pleiadi e, nel retro, Cassiopea. Tutti i punti presenti tranne uno».

“Insomma, tutti gli indizi sembrano concordi: quei segni non sono opera della natura e non sono lì per caso. – scrive Malaspina – Li ha incisi qualcuno. E li ha incisi almeno 2400 anni fa. Quando ancora il Castelliere di Rupinpiccolo assolveva al suo compito di fortificazione. E quando ancora le stelle dello Scorpione rilucevano al di sopra dell’orizzonte, come ricostruito da Molaro. Una stella in particolare: Sargas. Chiamata anche Theta Scorpii, oggi Sargas non è più visibile dal Castelliere, essendo appunto troppo in basso rispetto all’orizzonte, ma lo era nel 1800 a.C., come ha calcolato lo stesso Molaro simulando con il programma Stellarium il cielo notturno dell’epoca sopra Rupinpiccolo. E lo era anche nel 400 a.C.”.

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Maurizio Bernardelli Curuz
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