“Il Lucone è così – dicono i giovani archeologi, impegnati nello scavo – Caldo, fatica, acqua e fango e poi improvvisamente puoi impugnare un manico in legno di più di 4000 anni fa! Un manufatto di splendida fattura appartenente a uno strumento di uso ignoto… Allora ti passa tutta la stanchezza…”. Questo oggetto singolare è stato trovato nelle ore scorse, durante gli scavi tra i resti del villaggio palafitticolo dell’Età del Bronzo, situato a Polpenazze – Brescia -, compiuti dal Museo archeologico della Valsabbia di Gavardo.
Lo strato profondo in cui è stato trovato è garanzia assoluta di una datazione molto antica.
Il Lucone D è ricchissimo di reperti. E possibile ricondurre il manico a qualcosa di “complementare” a livello di oggetti trovati qui, durante gli scavi? Nei diversi livelli del sito sono stati trovati numerosi frammenti ceramici, e talvolta vasi interi, di varie tipologie. Questi includono recipienti da tavola come tazze, ciotole e boccali, utilizzati per mangiare e bere, nonché anfore per servire e conservare bevande.
Inoltre, vi sono scodelle e vasi troncoconici per cucinare, e grandi vasi come orci e dolii per conservare vari tipi di derrate alimentari. Sono stati rinvenuti anche strumenti per la filatura e la tessitura, come fusaiole in terracotta e pesi da telaio prevalentemente in argilla cruda, oltre a un’interessante collezione di frammenti di tessuto di lino.
Il legno è stato lavorato per ottenere un’impugnatura perfetta. Un’arma? Forse no. Uno strumento utilizzato per il sollevamento di un telaio per la produzione tessile? Le ipotesi sono aperte. Sia la base che l’elemento superiore, esterno al manico – visti con l’occhio ingannatore, certamente, di oggi – lascerebbero pensare a uno strumento per assemblaggi. Tutto potrebbe convergere sui telai?
Il Lucone di Polpenazze del Garda
Il Lucone di Polpenazze del Garda è uno dei bacini archeologici dell’Età del Bronzo meglio conservati che costellano l’anfiteatro morenico del lago di Garda. Questa vasta conca, ora in gran parte bonificata, era un tempo occupata da un piccolo specchio d’acqua. I reperti archeologici rinvenuti al Lucone sono esposti presso il civico Museo Archeologico della Valle Sabbia a Gavardo. Il Museo, con concessione ministeriale diretta, conduce le campagne di scavo archeologico presso il sito.
Il villaggio del Lucone A
Nel Lucone si trovava un altro villaggio significativo, denominato Lucone A. Questo insediamento fu fondato agli inizi dell’Antica età del Bronzo (XXI-XVII sec. a.C.) e abbandonato verso la fine della Media età del Bronzo (XIV sec. a.C.). I materiali ricchi rinvenuti durante la prima fase di scavi sono oggi visibili presso il Museo Archeologico della Valle Sabbia a Gavardo.
Storia del Lucone D, dov’è avvenuta la scoperta
Fondazione e sviluppo
La nascita di Lucone D risale a un giorno del 2034 a.C., quando un gruppo di uomini decise di abbattere querce centenarie per costruire, dal nulla, il villaggio.
Grazie allo studio delle sequenze degli anelli di accrescimento degli alberi ,tramite la tecnica della dendrocronologia, possiamo conoscere con precisione la data di fondazione che risale, appunto, al 2034 a. C. Dai tronchi delle querce vennero ricavati lunghi pali che furono infissi nei limi lacustri per sorreggere gli impalcati lignei delle case, costruite direttamente sull’acqua.
Il villaggio si sviluppò rapidamente e, tra i pali di sostegno delle case, iniziò a formarsi un deposito di materiali che cadevano o che venivano buttati dagli impalcati. Si crearono così strati ricchi di elementi vegetali e di materiali organici che caratterizzano la parte più bassa della stratigrafia. In questi strati, la forte umidità ha preservato molti materiali deperibili come strumenti agricoli in legno, tessuti in fibra di lino, frutti e semi.
L’incendio e le conseguenze
A un certo punto, il villaggio fu devastato da un incendio di grande intensità. Molte strutture abitative crollarono nell’acqua, che così si sono conservate. L’incendio non solo tostò – preservandoli – vari resti vegetali, tra cui numerose spighe di cereale, ma cosse letteralmente parti delle case, solitamente non conservate perché realizzate in argilla essiccata al sole. Grazie a ciò, sono stati rinvenuti frammenti di intonaco, pavimenti, focolari e i resti di almeno tre strutture a tronco di cono interpretate come silos per sementi. Tra gli elementi di legno semicarbonizzati crollati durante l’incendio vi sono molti elementi strutturali appartenenti all’alzato delle case e al tetto, tra cui il celebre elemento di solaio rinvenuto nel 1986.
La rifondazione del villaggio. E il rito del bambino morto
Dopo l’incendio, il villaggio fu rifondato. Questo periodo è caratterizzato da un episodio commovente: forse come rito di fondazione per augurare maggior fortuna al nuovo insediamento, fu posto sul fondo del lago il cranio di un bambino di tre/quattro anni, trovato coperto da cortecce probabilmente appartenenti ai nuovi pali messi allora in cantiere. Era lui a dover reggere spiritualmente – come un piccolo santo – il peso del futuro dell’intero villaggio? Il piccolo era morto durante l’incendio devastante che aveva azzerato la vita del villaggio stesso?
Le fasi di vita del Lucone D
Dal punto di vista cronologico, l’individuazione di oltre una decina di episodi di abbattimento di alberi successivi al 2034 a.C. ha reso complesso lo studio delle fasi di vita di questo insediamento. Non è ancora stato possibile identificare con precisione la fase costruttiva legata alla ricostruzione post-incendio, ma sappiamo che l’ultimo abbattimento di alberi utilizzati per le strutture databile risale al 1969 a.C.
La prosperità e l’abbandono del villaggio
Il nuovo villaggio di Lucone D ebbe una vita più lunga e prospera del precedente, come dimostrato dal maggior spessore e dalla ricchezza dei depositi formati alla base della palificata. La stratigrafia è caratterizzata da grandi cumuli di scarico costituiti da strati ricchi di frammenti ceramici, reperti di ogni tipo, resti di rifacimenti edilizi e abbondanti rifiuti di origine organica.
Successivamente, tutta l’area fu sigillata da uno strato biancastro di origine carbonatica, segno di un probabile innalzamento del livello dell’acqua del lago. Questo evento portò forse all’abbandono definitivo della zona, che non fu più abitata.