Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna – presenta A Wound in a Dance with Love, ampia retrospettiva di Sean Scully (Dublino, 1945), artista tra i massimi esponenti della pittura contemporanea, che sarà visibile nella Sala delle Ciminiere dal 22 giugno al 9 ottobre 2022. Opening martedì 21 giugno alle h 18.30, alla presenza dell’artista.
Durante la serata, che coincide con la Festa della musica, nel foyer del museo si terrà un concerto del maestro chitarrista Lorenzo Biguzzi, promosso in collaborazione con la Fondazione Accademia Internazionale di Imola “Incontri con il Maestro” e ideato per l’occasione.
Un talk pubblico con Sean Scully si terrà mercoledì 22 giugno alle h 18.00 nella sala conferenze del museo.
L’esposizione, a cura di Lorenzo Balbi con main partner la Kerlin Gallery di Dublino, è basata sulla mostra Sean Scully: Passenger – A Retrospective, curata da Dávid Fehér e organizzata dal Museum of Fine Arts – Hungarian National Gallery di Budapest (14 ottobre 2020 – 30 maggio 2021), successivamente ospitata al Benaki Museum di Atene, e arriva a Bologna in una versione rinnovata e pensata per il MAMbo. L’artista è nuovamente protagonista di una personale a Bologna dopo 26 anni: nel 1996 fu proprio la Galleria d’Arte Moderna, da cui discende il MAMbo, a dedicargli una mostra nella sede di Villa delle Rose.
Nell’arte di Scully confluiscono in eguale misura tanto un’estesa conoscenza delle opere di maestri antichi e contemporanei quanto una singolare sensibilità nel trarre suggestioni visive ed emozionali da dati di realtà. La mostra bolognese, con 68 lavori esposti (dipinti a olio, acrilici, acquerelli, disegni e una scultura monumentale), intende evidenziare la dialettica costante fra queste due componenti fondamentali del lavoro dell’artista, ripercorrendo una vicenda creativa lunga oltre cinquant’anni.
Dalle prime sperimentazioni figurative degli anni ’60 e le opere minimaliste degli anni ’70 fino al lavoro attuale, A Wound in a Dance with Love documenta i più importanti sviluppi di una pratica sempre coerente con i propri presupposti eppure capace di variare significativamente nel corso del tempo, in relazione a esperienze emotive ed evoluzioni esistenziali come ad affetti e lutti.
Nella sala di apertura si fronteggiano due monumentali dipinti su alluminio, What Makes Us Too (2017) e Uninsideout (2018 – 2020), nei quali si riuniscono, in uno studiatissimo contrasto, diversi elementi ricorrenti nelle opere di Scully: la tripartizione, l’inserimento di “insets”, l’impiego di strisce contrapposto a schemi ortogonali ed elementi monocromi, l’alternanza tra aree colorate ed altre in bianco e nero.
Nella navata centrale della Sala delle Ciminiere il percorso espositivo inizia con Fort # 1 del 1978, rigorosa sintesi di suggestioni paesaggistiche e il precedente Backcloth del 1970, anno in cui Scully ha già pienamente maturato la determinazione ad abbracciare l’astrattismo. Con Backcloth l’artista sonda fino al suo limite estremo la possibilità di utilizzare la griglia come unico modulo compositivo, con una serie fitta di sovrapposizioni, tentando un avvicinamento al dripping di Jackson Pollock attraverso un uso parossistico dei tipici schemi di Piet Mondrian.
In Crossover Painting # 1 del 1974, visibile nella stessa sala, la trama compositiva si fa più distesa, mentre più ricercata appare la tessitura cromatica, nel preciso contrappunto tra colori decisi e delicate sfumature.
La Sala delle Ciminiere, grazie ai suoi volumi imponenti, fornisce la collocazione ideale per la scultura Opulent Ascension (2019), allestita in precedenza nella chiesa di San Giorgio Maggiore, in occasione della 58° Biennale Arte di Venezia, monumentale esempio delle più recenti trasposizioni su scala tridimensionale delle intuizioni dell’artista. È lui stesso a dichiarare: “ho realizzato Opulent Ascension in Feltro. Feltro: un materiale che per esistere viene PRESSATO, e non tessuto a partire da una linea. MERET Oppenheim ha preso una tazza e un piattino e li ha foderati di pelliccia animale, rendendoli così inutilizzabili. Erano dunque diventati Arte? Una tazza e un piattino foderati di pelliccia devono essere un’opera d’Arte, perché sono strani, e perché io ci rifletto, da decenni. Può la pelle di qualcosa, di qualsiasi essere, di qualsiasi oggetto, essere così preponderante da definire ciò che esso è? Tanto che tutto quanto sta all’interno diventa subordinato a ciò che sta fuori. Amo questa domanda. Perché non potrò mai darle risposta” (Sean Scully, New York, 9 marzo 2020).
Ai lati di Opulent Ascension sono visibili diverse opere di chiara ispirazione paesaggistica della serie Landline, tra le quali spiccano quelle, vivaci e allegre, dedicate al secondo figlio Oisín: Oisín Green (2016) e Oisín Sea Green (2016), oltre al trittico Arles Nacht Vincent (2015), omaggio a Vincent van Gogh, e, sul fondo, Black Square (2020), ispirato a Kazimir Malevič.
Nell’ala laterale è collocato The Bather (1983), ispirato a un dipinto di Henri Matisse, evocato solo intuitivamente con una tavolozza gioiosa e una vibrante resa della luce. Con questo dipinto Scully avvia la conciliazione tra le ricerche dello stesso Matisse, di Piet Mondrian e di Mark Rothko, tra le fonti dichiarate di ispirazione della sua pittura.
Mariana (1991) presenta i tipici “inset” costituiti da tele dipinte con motivi in contrasto e fisicamente incassate in alloggiamenti ricavati nel corpo del dipinto, mentre Long Light (1998), già appartenente alla collezione permanente MAMbo, è una prova delle riflessioni sulla luce che preludono ai successivi lavori del ciclo Wall of Light, ispirati dall’osservazione attenta delle mutazioni luminose su superfici murarie viste e fotografate dapprima in Messico e poi in varie parti del mondo: a darne testimonianza due particolarmente intense, come Wall of Light White Tundra (2009), prestito della Galleria d’Arte Moderna di Torino, e Wall Light Zacatecas (2010). Questa sezione della mostra include altre opere più recenti, ciascuna caratterizzata da una particolare impronta distintiva.
Compare qui anche un’altra opera ispirata dalla pittura di Vincent van Gogh, Vincent (2002), mentre Empty Heart (1987) rievoca uno dei periodi più drammatici nella vita dell’artista, colpito dalla morte del primo figlio diciannovenne Paul.
Un ultimo spazio è infine riservato alla più recente e significativa svolta dell’opera di Scully, il ritorno alla pittura figurativa che l’artista aveva brevemente frequentato ai suoi esordi.
I dipinti della serie Madonna, eseguiti tra il 2018 e il 2019, raffigurano la moglie e il figlio dell’artista intenti a giocare con la sabbia, riportando in luce un tema da sempre caro a Scully come quello della madre con il bambino. Un motivo in realtà sempre soggiacente agli stessi “inset” così ricorrenti nel suo lavoro e che appaiono nuovamente, allineandosi a una permanente pratica autoriflessiva, nel quadro che chiude l’esposizione: Figure Abstract and Vice Versa (2019), un dittico in cui la figura di Oisín, intento a giocare sulla destra, trova un contrappeso nel pannello diviso in bande orizzontali sulla sinistra, mentre un simmetrico gioco di incastri di un pezzo di ciascuna tela nell’altra offre la chiave di interpretazione di una pittura che si attiene alla realtà, concentrandosi sull’esplorazione dei propri mezzi costitutivi.
A completare la mostra una selezione di opere su carta che accompagnano ogni fase evolutiva dell’intera carriera di Scully e un programma di film: Sean Scully: Set in Stone, 2008, diretto da Michael Doyle; Sean Scully: Why This, Not That?, 2009, diretto da Michael Doyle; Sean Scully: Art Comes From Need, 2010, diretto da Hans Andreas Guttner; Sean Scully: There are no certainties in my paintings, 2011, diretto da Laurence Topham and Michael Tait; The drawing out of the Eleuthera paintings, parts I and II, 2017 and 2018, diretto da Sean Scully; A tour of Sean Scully’s studio by Oisín Scully, 2020.