Gli scavi romani restituiscono, da tutti i territori dell’ex impero, copiose testimonianze del legame intenso che i nostri antenati avevano – anche sotto il profilo magico – con questa parte del corpo umano. Esso aveva non solo la funzione di produrre prosperità, ma di difendere le proprietà e di propiziare la fortuna, allontanando il malocchio.
Se gli uomini eccedevano con simboli aggressivi, mostrando amuleti in cui quella parte del corpo appariva eretta, desta e ringhiosa, le donne – anche le matrone – usavano ciondoli e portafortuna magari più discreti, in alcuni casi con l’organo collocato in posizione meno aggressiva. Si vis pacem para bellum. Se vuoi la pace prepara la guerra. Ed è per questo che l’oggettino, pur rappresentato in semi-riposo o con peculiarità infantili, era pronto all’azione, intercettando gli esseri maligni e allontanando le occhiate nefaste degli invidiosi.
A una funzione apotropaica era chiamato questo ciondolo o pendente – che sarà esposto dal 2026 a Narbonne – trovato dagli archeologi dell’Inrap nella ex capitale della Gallia Narbonese, in una tomba della necropoli di 5mila metri, scoperta negli scorsi anni durante interventi di archeologia preventiva .D’oro, lavorato con granulazione etrusca – laddove si rappresenta la parte del vello ricciuto – l’oggettino era probabilmente era appeso a una collana o a un braccialetto o a un orecchino. Forse apparteneva a una donna, considerata la raffinatezza della rappresentazione aurea. Forse era stato, originariamente anche un augurio matrimoniale. Come dire: figli maschi. Da lontano – per discrezione pudica – poteva apparire anche come il musetto di un cinghiale.