
La coscienza, la percezione di sé. L’osservazione di un mondo parallelo e simultaneo in cui si muovevano gli spiriti; un punto in cui la realtà, come il sé, appariva da un nuovo punto di vista, in grado di segnalare anomalie, vie di fuga, punti di incontro con gli spettri e le divinità. Alle radici dello specchio. Uno strumento che ha mutato la civiltà nel profondo, introducendo la differenza – e non è poco, rilevarla – tra soggettivo ed oggettivo. Uno studio nuovissimo ha applicato un approccio tecnico-funzionale per indagare la produzione e l’uso degli specchi di ossidiana rinvenuti a Tepecik Çiftlik, un importante sito archeologico in Anatolia. I risultati della ricerca, condotta e firmata da Alice Vinet, confluiscono in un saggio intitolato “Specchi di ossidiana neolitici dell’Asia sud-occidentale: una riflessione sulla loro diffusione e fabbricazione” che sarà pubblicato sul Journal of Archaeological Science: Reports, Volume 62, aprile 2025.
L’ossidiana è stata utilizzata nella regione anatolica fin dall’VIII millennio per creare sia utensili funzionali che manufatti non utilitaristici, come specchi e ornamenti. Gli specchi, caratterizzati dalla loro elegante forma circolare e dalle superfici riflettenti ipnotizzanti, sono tesori eccezionalmente rari: solo 56 esemplari noti, rinvenuti in sei siti archeologici dell’Anatolia centrale e uno nel Levante. La loro presenza suggerisce un valore simbolico e rituale più che pratico, con una forte associazione a contesti funerari e cerimoniali.
Il ruolo degli specchi nella società neolitica
Gli specchi di ossidiana non erano quindi semplici oggetti di vanità, ma strumenti potenti di rappresentazione del sé e del soprannaturale. A Çatalhöyük, alcuni specchi sono stati trovati accanto a pigmenti vivaci, suggerendo un possibile utilizzo nei rituali funerari, forse per decorare i corpi dei defunti o per favorire il passaggio nell’aldilà. La loro rarità e la complessità della lavorazione indicano che fossero riservati a classi d’élite o a sacerdoti. Proviamo a pensare se il mondo fosse rimasto privo di immagini oggettive e fosse stato soltanto la somma di percezioni individuali. Ma lo specchio, oltre a ritagliare il sé come punto esterno – come mi vedono gli altri – era certamente un contenitore di spiriti, di barlumi, di elementi predittivi. Probabilmente ebbe una funzione simile a quella che avrebbe avuto la sfera magica: assumere elementi soggettivi ed oggettivi, invitare a focalizzare il problema e proiettarne possibili soluzioni. E’ evidente che questi oggetti di ossidiana fossero molto utili agli sciamani, il cui principale compito era collegato alla chiaroveggenza che, di fatto, altro non era che una lucida percezione della realtà, al di là di ogni struttura di deformazione soggettiva o di pregiudizio.
Tepecik Çiftlik: un centro di produzione specialistico
Situato nella pianura di Melendiz, in Cappadocia, il sito di Tepecik Çiftlik fu abitato tra il 7000 e il 6000 a.C. e si distinse per la sua vicinanza a fonti naturali di ossidiana, come i depositi di Nenezidağ e Göllüdağ. Qui, gli archeologi hanno trovato non solo specchi finiti, ma anche preforme in diverse fasi di lavorazione, confermando la produzione locale. Questo differenzia Tepecik Çiftlik da altri siti, dove gli specchi venivano importati e non prodotti.
Il processo di fabbricazione

La creazione di uno specchio di ossidiana era un processo lungo e articolato, articolato in almeno otto fasi:
- Selezione di un pezzo di ossidiana con superficie relativamente piatta.
- Modellazione della forma subcircolare tramite rimozione di spigoli e creste.
- Lucidatura iniziale con pietre abrasive a grana grossa.
- Raffinamento progressivo con abrasivi più fini (sabbia, cenere, acqua, grasso e pelle).
- Lucidatura finale con tessuti morbidi e grasso per ottenere un riflesso nitido.
- Analisi microscopiche hanno rivelato tracce di strumenti di precisione per una lavorazione sofisticata.
- Uso di tecniche sperimentali per replicare le superfici riflettenti e verificarne la funzionalità.
- Studi comparativi con altri manufatti in ossidiana per determinare eventuali varianti nella produzione.
Reti commerciali e diffusione
I modelli di distribuzione degli specchi suggeriscono una rete commerciale ben sviluppata nel Neolitico. Tepecik Çiftlik riforniva siti come Çatalhöyük e Akarçay Tepe, dove gli specchi venivano trovati senza tracce di produzione locale. Caso diverso per Domuztepe e Tel Kabri: situati a grande distanza dalle fonti di ossidiana, suggeriscono una diffusione degli specchi come beni di lusso, trasportati attraverso scambi commerciali su lunghe distanze.
Le analisi tecnologiche e funzionali condotte sugli specchi di Tepecik Çiftlik includono studi microscopici stereoscopici e metallografici con ingrandimenti fino a 500x. Le tracce d’usura e le modifiche post-deposizionali (PDSM) hanno rivelato segni di micro pitting e striature che suggeriscono un uso cerimoniale più che quotidiano. Gli strumenti analizzati presentano danni compatibili con tecniche di lucidatura avanzate e processi di conservazione peculiari, che indicano una manipolazione accurata e un intento deliberato nella loro produzione e utilizzo.
L’assenza di specchi incompleti in alcuni siti suggerisce una produzione centralizzata a Tepecik Çiftlik, mentre l’analisi composizionale ha permesso di tracciare la provenienza dell’ossidiana, dimostrando connessioni tra diverse aree del Vicino Oriente antico. L’interazione tra cultura materiale e identità sociale è confermata dalla limitata diffusione di questi manufatti, indicando il loro ruolo privilegiato nelle dinamiche di potere e nei rituali delle comunità neolitiche.
Lo studio è scaricabile qui.