Ringrazio sentitamente
il collega Roberto Manescalchi
per la segnalazione del lavoro
di Nadia Scardeoni
e per il proficuo confronto
dedicato a questo tema
di Maurizio Bernardelli Curuz
La presenza vibrante di un angelo che si rivela, grazie ai principi del restauro virtuale messo a punto da Nadia Scardeoni, al di là della finestra diafana della Vocazione di San Matteo del Caravaggio apre una straordinaria prospettiva per nuovi approfondimenti critici relativi al maestro lombardo. Ma vediamo, in sintesi, il prezioso lavoro svolto dalla ricercatrice del Cnr, per poi comprendere la portata della sua proposta nell’ambito dello sviluppo degli studi relativi al pittore. Scardeoni, i cui lavori hanno ottenuto numerosi riconoscimenti anche nell’ambito del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Cultural Heritage Department – Institute for Technologies Applied to Cultural Heritage (ITABC), Technologies Applied to Cultural Heritage, ha notato, inizialmente, osservando il quadro, i volumi di una figura antropomorfa, velata dal colore lattiginoso della finestra dipinta dall’artista. Ha quindi sottoposto il rettangolo della finestra stessa a una non distorsiva verifica di rilievo, accrescendo, il contrasto del dipinto e lavorando sul reperto con altre verifiche.
Il risultato è stato questo:
Scardeoni ha poi proceduto a una sottolineatura della silhouette dell’angelo della finestra. attraverso una minuscola linea bianca di contorno. (qui sotto)
L’autrice ha inoltre ricordato la collocazione del dipinto nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, all’interno del ciclo tripartito del Caravaggio: La Vocazione di san Matteo, appunto (1599-1600, alla nostra sinistra, guardando la cappella), San Matteo e l’Angelo (1602, al centro) e Il Martirio di san Matteo (1600-1601, alla nostra destra).
Nadia Scardeoni ha evidenziato anche una concatenazione di notevole valenza linguistica. L’angelo di “filigrana” è inserito nel punto sovrastante la figura di Cristo e lo sguardo della creatura celeste è interrelato alla mano del Signore, come la studiosa mostra nella tavola successiva.
Cristo e l’Angelo come chiamata
Cristo chiama a sé il futuro discepolo e in questa “vocazione” – intesa nel senso letterale di chiamata – si svela il progetto divino nei confronti del peccatore, che sarà redento e diventerà uno dei quattro evangelisti. Il primo, in ordine di tempo. Annota infatti Ireneo: “«Così Matteo scrisse nella lingua degli Ebrei il primo vangelo, al tempo in cui Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondarono la Chiesa. Dopo la partenza di questi ultimi, Marco, discepolo e interprete di Pietro, mise per scritto quello che Pietro predicava. Dal canto suo Luca, il compagno di Paolo, consegnava in un libro il vangelo che il suo maestro predicava. Poi Giovanni, il discepolo del Signore, quello che si era addormentato sul suo petto, pubblicò anche lui un vangelo quando si trovava a Efeso in Asia»
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Lasciamo i fondamentali rilievi della ricercatrice per sviluppare, in modo autonomo, una verifica che porta allo stesso risultato ottenuto da Nadia Scardeoni, il quale non solo è solo compatibile con le esigenze narrative del maestro, ma è connaturato profondamente al percorso formativo compiuto dall’artista a Milano, in un tessuto artistico ancora permeato dal leonardismo, ma aperto, in modo progressivo, alla pittura veneta, soprattutto d’area bresciana e bergamasca e al rinnovamento del secondo Manierismo. Un ambiente, in cui i Barnabiti, protetti da San Carlo Borromeo e, successivamente da Costanza Sforza Colonna, nume titolare del Caravaggio, svolgono profonde ricerche nell’ambito del sostrato teologico dei dipinti, caratterizzati, in superficie, dalla rappresentazione della realtà, ma densi di un significato interrelato tra persone e cose.
Questa osservazione incrociata permette di escludere che l’angelo rilevato da Nadia Scardeoni sia il semplice riaffiorare di un’immagine cancellata dal maestro, nel corso di un ripensamento. Caravaggio è un pittore saldissimo e non avrebbe mai lasciato trasparire contenuti non voluti e la qualità tecnica della sua pittura non conosce, generalmente, cedimenti, anche nel tempo.
L’intervento si configura, pertanto, come una scelta figurativa ben precisa di “realtà velata”, d’annuncio e di alito divino appena all’esterno di un ambiente claustrofobico. Uno strumento linguistico che consente all’artista di porre sulla finestra il sigillo dell’Angelo di San Matteo, riconoscibile in una taverna all’apparenza anonima e senza storia. Il simbolo di Matteo è un angelo, come un’aquila indica Giovanni, un toro indica Luca, un leone indica Marco. L’angelo ha una funzione segnalatrice che viene velata dal panno o dal vetro, ma insiste dietro ad essi come un’ombra compressa e attiva, sia sotto il profilo visivo che semantico. Accanto a questo piano simbolico l’Angelo ha la funzione visiva di spezzare il muro incombente della stanza del peccato e di aprire, letteralmente, una prospettiva, insinuando, nella stanza l’idea di una fuga, di aria pura, del superamento di una situazione negativa, attraverso il rivelarsi di una presenza viva, ma non invasiva, sul muro.
L’angelo inoltre segnala che è in corso un evento eccezionale. La figura angelica appare esclusivamente, nei Vangeli, in momenti di svolta drammatica, di chiamata ed è saldamente connesso, proprio nel Vangelo di Matteo, con i mesi che precedono la Natività, con l’infanzia di Gesù (accettazione della paternità da parte di Giuseppe, fuga dalla persecuzione di Erode, ritorno dall’Egitto) e con la Resurrezione. Il Vangelo di Matteo è il Vangelo dell’angelo, che costituisce peraltro l’attributo simbolico del santo.
L’Angelo alla finestra, pur se velato, doveva avere anche la funzione di creare un legame tra il quadro della Vocazione e il secondo dipinto, San Matteo e l’Angelo, prima stesura, che fu collocato provvisoriamente nella cappella, poi venduto e infine distrutto durante la seconda guerra mondiale, a Berlino. Evidenti le consonanze iconografiche e tematiche. (qui sotto)
Ciò, aggiungeremo, nella Vocazione di San Matteo equivale infatti a un annuncio e si lega pertanto a più episodi evangelici, che abbiamo in precedenza menzionato, ma che ora leggiamo compiutamente.
1 L’accettazione della paternità da parte Giuseppe: Natività
(Matteo 1:18-21) “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”).
2 – L’annuncio a Giuseppe dell’inizio della persecuzione: fuga in Egitto
(Matteo 2:13) “Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo”.
L’angelo annuncia e guida Giuseppe: ritorno in Israele
(Matteo 2:19-23) – “Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21 Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22 Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23 e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno»”.
4 La Resurrezione, l’angelo sposta la pietra del Sepolcro e dà l’annuncio alle donne
(Matteo 28:1-7) 1 Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. 2 Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. 3 Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. 4 Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. 5 L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. 6 Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. 7 Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».
Finestra e presenze
La finestra svolge un ruolo fondamentale nei temi cristologici della pittura cinquecentesca, con particolarmente riferimento a quella bresciana e bergamasca. Essa è spesso legata ad elementi metafisici del paesaggio, sulla linea indicata da Leonardo nel Cenacolo, con i varchi nell’edificio, aperti sull’Assoluto. Peraltro i riquadri dei polittici cinquecenteschi spesso richiamano la facciata di un palazzo con ampie aperture alle quali si affacciano, frontalmente o di profilo – angeli e sacre figure.
In molti ritratti d’area veneta e lombarda le finestre inquadrano un paesaggio, reale o simbolico che sia, che ha un ruolo all’apparenza secondario, ma che in realtà fornisce il gradiente emotivo della composizione, orientando chi guarda che, pur non avvedendosi coscientemente, nella maggior parte dei casi, di questo stimolo subliminale, pur lo percepisce e lo elabora, trasferendo alla mente la temperatura emotiva del dipinto. Il paesaggio reale ha il fine di identificare la città o il paese in cui risiede l’effigiato o dove comunque egli colloca il punto principale d’interesse o di legame. Paesaggi simbolici con tempeste o placide vedute sono utilizzati per dare una temperatura emozionale al quadro stesso: tempeste e territori spazzati dal vento, nei quali spesso si rivelano alberi secchi, flagellano, dall’esterno, rendono riconoscibili i ritratti di persone defunte. Paesaggi incantevoli in giornate placide hanno invece il compito di portare – attraverso la finestra, nella stanza – una temperatura tiepida che connota la situazione dell’effigiato.
La finestra appare spesso nelle composizioni sacre cinquecentesche sempre con una funzione rivelatrice, legata a un annuncio. Da un lato, essa è spesso dipinta in associazione alla figura dell’Arcangelo Gabriele che irrompe nella stanza di Maria o nelle Natività o specie nell’Adorazione dei pastori, come quella memorabile di Savoldo, qui sotto, legata sempre a un annuncio e a una rivelazione.
Luca (2:8-20): “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva:”Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”.
Grazie a un’amplissima cultura visiva di matrice manierista, introiettata durante il lavoro nella scuola di Peterzano, a Milano, e all’osservazione diretta – e ammirata – dei dipinti veneti, lombardi, cremonesi, bresciani e bergamaschi, legati alla propria terra d’origine, Caravaggio è in grado di tradurre in modo straordinario qualsiasi pianificazione teologica delle opere. Dobbiamo essere consci del fatto che i committenti indicavano sempre gli elementi principali del dipinto, lasciando all’autore le proposte di trasformazione del dettato in immagini, che venivano comunque dibattute, prima della stesura e, in alcuni casi, contestate sotto il piano di resa visiva, dopo il completamento del quadro. Il pittore aveva una funzione simile a quella di un regista teatrale che, senza stravolgere un testo, lo mette in scena con aderenza assoluta alla fonte e al contesto culturale in cui il testo stesso era stato elaborato o rivisto. Caravaggio sapeva ottimizzare i vincoli del mandato – ma ciò non lo mise totalmente al riparo al riparo da contestazioni e critiche – con il piano realizzativo, nel quale, con potenza, era in grado di inserire numerosissime varianti espressive attive e interconnesse, grazie alla cristallizzazione e alla rielaborazione dell’iconografia rinascimentale, che caratterizzò la cultura manierista, in cui il maestro lombardo crebbe.
E’ totalmente infondato credere che egli, in virtù del proprio crescente e violento naturalismo, l’artista abbia rifiutato di agire sulla presenza di elementi simbolici, pur se non trasformò mai il proprio corredo simbolico nel “simbolismo” degli autori cinquecenteschi.
Prendendo in esame proprio la Vocazione di Matteo possiamo registrare un’evidente variante rispetto al dettato evangelico, certamente assunta di concerto con i committenti, che porta qui il futuro evangelista in una sorta di bisca, su tavolo che somiglia a quello del gioco delle carte – rappresentato, in un voluto equivoco visivo, durante il conteggio delle vincite – anzichè cogliere il futuro evangelista, come nel Vangelo di Matteo, a un banco per la riscossione delle tasse. L’evocazione di una situazione simile al gioco della carte connota fortemente l’aura di perdizione che grava sull’opera. Del resto, come ben possiamo ricordare, nei I bari – in una situazione simile, virata in un registro comico-grottesco – Caravaggio aveva narrato i pericoli legati al gioco delle carte, all’avidità del denaro e all’imbroglio.
Appare chiaro che nessun committente avrebbe mai voluto che Matteo apparisse, in modo palese, proprio come un esattore delle tasse, poichè le tasse erano e sono uno sfruttamento reso lecito da ogni Stato. L’episodio biblico crea, infatti, la possibilità di qualche contestazione alla liceità dell’imposizione delle tasse, giacchè Cristo sceglie Matteo peccatore e il peccato è quello di gestire un banco di pubblicano. Troppo complesso e stretto, il nodo, perchè la condanna dello sfruttamento da parte dello Stato sia sciolto in un “Date a Cesare quel che è di Cesare….” . Il pittore allora, con l’evidente assenso dei committenti, si scosta dalla fonte evangelica, citando, in ambiguità, banco del pubblicano e tavolo per il gioco delle carte, come lemmi consustanziali del peccato.
Leggiamo Matteo, 9, per comprendere il distacco del quadro dalla narrazione evangelica e per meglio cogliere l’uso di piani allegorico-simbolici in Caravaggio, che vanno in direzione di un sistema complesso di collegamento di simbolici: “Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 10 Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. 11 Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12 Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13 Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
Risulta evidente il fatto che, osservando ora la Vocazione del Caravaggio, essa ci appare piuttosto discosta dal Vangelo, nonostante il pittore abbia compiuto una sintesi mirabile tra due sequenze narrative – quella della chiamata di Matteo e quella del pranzo di Cristo al tavolo dei peccatori – lavorando su elementi di traslazione iconografica, attraverso immagini aperte, dotate di ambiguità e di polisemia.
Nel quadro di Caravaggio vediamo: Gesù e Pietro sospinti dalla luce nella stanza scura. Le presenze alla finestra. Gli abiti romano-ebraici di Cristo e di Pietro. Gli abiti della fine del Cinquecento – contemporanei all’autore – indossati dagli astanti. L’uomo che usa gli occhiali per guardare il denaro sul tavolo. Le giubbe colorate e i cappelli riccamente piumati dei giovani peccatori che traggono dal vizio la possibilità di vivere, per un soffio, nel lusso che, basato sul gioco d’azzardo, non si rivelerà duraturo. Sì, le piume vibratili dei cappelli, continuamente mosse dall’aria, ma destinate a cadere o ad essere strappate durante una rissa segnalano superbia e leggerezza – che non è levità – e al tempo stesso, compensano la pesantezza marmorea di ogni personaggio. Anche attorno alla spada portata dal giovane, Caravaggio tesse i proprio rinvii. Il biscazziere-damerino segnala un nobile – Fabrizio Sforza, figlio di Costanza Colonna, compagno di di risse e di taverne a Milano e a Roma, gemello-diverso che accompagnerà Caravaggio a Malta? -o, più semplicemente, un abusivo, tanto simile a Merisi che, per questo porto d’armi, proibito a un borghese, viene indagato?
Vediamo poi un attempato astante che, come se Cristo avesse detto: “Chi è Matteo, di voi?”, rispondesse con un cenno, spaventato, dicendo. “Ecco, è lui”, sgravandosi dall’accusa implicita nella chiamata autorevole, che giunge dall’uomo che sta sulla porta. L’anziano è spaventato. Pare che tema che Cristo sia il capo degli sbirri, entrato nella taverna per eseguire un ordine di arresto. Matteo è a capotavola – secondo la lettura di questa parte del quadro, avallata da una fonte teologicamente autorevole come quella di Papa Francesco – impegnato nel conteggio della vincita o della raccolta di denaro. La posizione lievemente isolata del giovane che conteggia le monete, rispetto al gruppo, consente al pittore di ricordare il banco del pubblicano, l’esattore delle tasse. Eppure, nel passato a noi prossimo, si riteneva che San Matteo fosse proprio l’uomo che punta il dito. Sembra, infatti, che egli dica, se pensiamo a una mano vicina al petto: “Cerchi me, signore?”. In quella mano sembra realizzarsi ancheuno spostamento dall’io al lui, nell’evocazione di u movimento”. E’ anche un “sono forse io, Signore?”. “No cerchi lui”. Il coinvolgimento di due figure nelle possibile individuazione di un solo Matteo è un ottimo equivoco visivo utilizzato dal pittore per preparare l’occhio dello spettatore alla figura anziana di Matteo, nel secondo e nel terzo dipinto della Cappella Contarelli, rendendo meno eccessivo il salto temporale, dalla Vocazione alla stesura del Vangelo e al Martirio. Nel frattempo Matteo diventa vecchio e questa trasformazione dalla giovinezza-avida alla maturità-santa inizia già sulla tela della Vocazione. E’ un gioco di traslitterazione che Caravaggio effettua in numerosi quadri. L’ambiguità dell’identificazione della figura – che ha chiamato in campo persino il Pontefice – è certamente una scelta, nell’ambito della messa in scena realizzata dal pittore, poichè il tentativo di riconoscimento dei misteriosi personaggi costringe l’osservatore a interrogarsi e a interloquire con il dipinto e con le proprie conoscenze evangeliche. L’opera cattura perchè è violenta e ambigua; i diversi segnalatori di identità non sono evidenti. Ciò si traduce nella necessità di “entrare” nel quadro, per comprenderlo.
Il tradizionale banco delle tasse dei pubblicani, per questa struttura semantica aperta, si estende al tavolo, pronto a diventare la tavola alla quale Gesù siederà per condividere il cibo con i peccatori. E sul tavolo cosa appare? Tutto andrebbe riletto perchè nulla in Caravaggio è una semplice “fotografia della realtà”, ma facciata all’apparenza naturale di un meccanismo narrativo ben più complesso e denso di rinvii. Ogni volto dei presenti potrebbe anche rinviare a un piano ulteriore connaturato alla riconoscibilità dei personaggi da parte da una cerchia ristretta del pubblico dell’epoca, a volti reali di persone legate al pittore o ai committenti alle quali egli ammicca spesso. E pure questa è una funzione semantica. L’elenco di meccanismi allegorici e di traslazione o trasferimento della realtà ci consente di capire quanti siano – e di quale efficacia – gli strumenti utilizzati dall’artista in un quadro, all’apparenza, molto “fotografico” e semplice. Non dimentichiamo il fatto che con una perfetta definizione, Caravaggio è stato posto come fondatore del realismo barocco. Un sostantivo e un aggettivo che parrebbero antinomici ma che, in realtà, delineano l’apparente semplicità e verità della superficie, che invece diviene fuga e moltitudine di impulsi coordinati, sotto la pelle della pittura.
Ora lo studio di ciò che si rivela, dietro alla finestra, consente di intuire altre “ruote del meccanismo” meno evidenti, ma non per questo, probabilmente, meno importanti come elementi di ingranaggio composito che, ruotando i significati, produce movimento e senso.
Altre “ombre di luce” probabilmente premono agli altri riquadri della finestra. Ma per poterli osservare nel dettaglio sarebbero necessarie nuove fotografie ad altissima definizione, alcune ravvicinate, altre scattate lungo l’asse centrale della cappella poste al centro della cappella, che probabilmente fu la direttrice sulla quale Caravaggio pensò la massima resa visiva. Il potenziamento del contrasto dell’immagine consente già di cogliere ulteriori “filigrane” come ombre di passanti celesti. Somigliano a bagliori, a fronde che oscillano grattando il panno o il vetro. Qualcosa che sta, contemporaneamente, al di là e Aldilà e che, originariamente doveva essere acceso, all’improvviso, nella semioscurità della cappella Contarelli in san Luigi dei Francesi, dal gonfiarsi della fiamma delle candele e dal continuo spostamento di luce ed ombra, dal respiro oscillante delle facelle che costituivano la fonte luminosa variabile, della quale, Caravaggio, tenne certamente conto quando affrontò il dipinto. E certe deformazioni, certi colori violenti, la leggerezza delle piume, anch’esse svelate in torsione dalle fiammelle delle candele, apparivano in una discontinuità delle evidenze, portando l’occhio ad indagare. Il bianco-ostia della finestra doveva accendersi all’improvviso. L’angelo pertanto si rilevava, al momento di massima dilatazione della pupilla dello spettatore nel candore della finestra, in un’illuminazione che mutava anche solo in seguito all’entrata di un nuovo fedele nella cappella, a causa di un minimo spostamento d’aria.
Tutto è Annuncio
La Vocazione è chiamata
I precedenti
Il precedente della finestra
e dell’angelo: Lorenzo Lotto
e l’Annunciazione di Recanati
Caravaggio cita
ampiamente anche le finestre
e i varchi di Raffaello
portandoli a una dimensione lombarda
L’angelo-ostia e ostensorio
Caravaggio ricorda Raffaello
La finestra
nella Decollazione
del Battista
a Malta
Figure fantasmatiche in Peterzano e Caravaggio
La presenza di figure eteree e fantasmatiche – impastate esclusivamente di luce e di ostia – nei dipinti di Peterzano e dell’allievo Caravaggio è dotata di persistenza. Esse avevano, già a Milano, la funzione di innalzare, nelle chine dense della tenebra, un guizzo bianco, un interrogativo, un fumo misterioso, senso di risposta solo parzialmente evasa, come possiamo vedere qui sotto.
L’Angelo della Vocazione
L’Angelo dell’Annunciazione
Santa Maria Annunciata
Alcuni precedenti visivi
Le future ipotesi di lavoro
Le fonti di personaggi
di forma parzialmente definita
in Caravaggio e Peterzano
Siamo di fronte, ora, alla necessità di raccogliere, con una foto ad altissima definizione, ciò che, in modo più labile filtra dagli altri tre rettangoli della finestra, che possiamo già osservare nella prima ricognizione dedicata esclusivamente all’angelo (qui sotto).
Le ipotesi di ricerca per il futuro sono:
- I quattro riquadri della finestra potrebbero contenere il cosiddetto tetramorfo, cioè le rappresentazioni, attraverso le figure attributo, dei quattro evangelisti. O gli evangelisti con attributi tradizionali (angelo, leone, bue, aquila) – Da verificare
2) I quattro riquadri della potrebbero contenere i quattro episodi maggiori del Vangelo di Matteo in cui appare l’Angelo? L’angelo, come regge san Francesco in estasi, nell’omonimo dipinto di Caravaggio, potrebbe sostenere il corpo di San Giuseppe, durante il sonno illuminato dalla Rivelazione. Altri episodi. L’annuncio della strage ordinata da Erode. Il ritorno dall’Egitto. La Resurrezione? Da verificare
3) I quattro riquadri potrebbero contenere figure in rabisch, cioè arabeschi, secondo il lavoro sulle macchie che acquistano significato e forma con strutture aperte, secondo le ricerche svolte da Leonardo e ben conosciute a Milano e portate avanti, ad esempio, nelle sintesi di Arcimboldo? Un patrimonio giunto nella bottega di Peterzano e Caravaggio come dimostrano alcuni disegni attribuiti del Fondo Peterzano, attribuiti da me e dalla collega Adriana Conconi Fedrigolli, a Caravaggio
Le figure che mutano forma
Il Fondo Peterzano
La ricerca relativa a figure aperte, leggibili e mutanti, in più versi, così da suscitare nuove figure, è ben presente nel Fondo Peterzano, come possiamo vedere qui sotto. Nel disegno, una donna con velo. Ribaltando la stessa figura appare un animale, che può essere un ungulato una mucca o una capra, a seconda del punto in cui il nostro occhio di posa. Il volto della donna diventa meno percepibile, in questo verso perchè inscritto nel ventre dell’animale
Un’immagine in negativo
del rettangolo della finestra
Considerato il presumibile gioco ottico di derivazione leonardesca, in linea con possibili evocazioni in positivo e in negativo, abbiamo portato l’immagine della finestra della Vocazione, nella fotografia, in negativo. Senza interventi grafici. Semplicemente attraverso la trasformazione dell’immagine in negativo e con il potenziamento del contrasto. Questo è il risultato.
Michel Angelo è anche il nome
di Merisi detto il Caravaggio
Nell’ambito di una struttura potenzialmente polisemica non possiamo dimenticare il fatto che il nome del Caravaggio è Michelangelo Merisi. Il futuro pittore nacque infatti il 29 settembre 1571, giorno dedicato alle celebrazioni dell’arcangelo della giustizia. Nei giorni successivi alla festa di Michel Angelo, il 7 ottobre 1571, il comandante generale delle forze alleate europee, Marcantonio Colonna, padre di Costanza, futura protettrice del Caravaggio, aveva sgominato turchi e arabi nella battaglia navale di Lepanto, considerata decisiva per il blocco dell’avanzata dei “nemici del Cristianesimo” verso l’Europa. Interessante è il fatto che la figura può intercettare anche la linea obliqua della finestra, trasformandosi da Angelo dell’Annunciazione in Michel Angelo, che secondo l’iconografia – qui vediamo l’angelo del Caravaggio, portato alla luce da Nadia Scardeoni, e lo stesso soggetto in dipinto di Guido Reni, dedicato all’arcangelo – vibra una spada o una lancia contro Satana.