di Redazione
Stile arte è un quotidiano di arte e antiquariato, fondato nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz
Uno spirito buono, per la casa. L’animula di un bimbo, forse del figlio dei proprietari, forse un nume tout court. Incuriosisce per realismo e intensità il dipinto che ritrae un bambino in mantello cucullatus – con un cappuccio a punta – che siede non lontano dal basamento di una torre – forse un faro? – tra grappoli d’uva dagli acini enormi e melegrane, accanto a un minuscolo cane da compagnia, un volpino piccolo piccolo, ma dall’aspetto poco conciliante.
L’opera murale – così semplice ma caratterizzata dalla volontà di eccedere – è stata trovata nell’Insula – un isolato, sotto il profilo urbanistico – dei Casti amanti, in una domus che era al centro di lavori di restauro o di rifacimenti dell’apparato pittorico poco prima del disastro del Vesuvio: la Casa dei pittori al lavoro, così chiamata dagli archeologi proprio perché, all’interno dell’edificio, erano in corso prima dell’eruzione, interventi di sistemazione decorativa delle pareti, come dimostrano i pigmenti colorati, pronti all’uso e abbandonati dai pittori.
La casa presenta un apparato decorativo standard – soprattutto IV stile pompeiano, con dipinti di architetture leggiadre, immaginarie, eroti e quadri riservati a eloquenti storie della mitologia greco romana. Siamo di fronte a opera di elevata qualità d’interni, ma, in qualche modo standardizzata, per un pubblico che amava la levità degli apparati e delle griglie prospettiche, all’interno delle quali emergevano narrazioni eloquenti.
Ma il volto del piccolo non è per nulla idealizzato, quanto il contesto. Ciò significa che le sue fattezze non sono riportate dal pittore a uno standard generale di raffigurazione – i putti appartengono a un luogo comune pittorico e sono piuttosto simili tra loro, con le bellezze idealizzate – quanto a un’immagine che pare presa dal realtà o dal ricordo.
Lo spiritello ha un volto piuttosto disarmonico, quanto il cagnetto – potenzialmente aggressivo e mordace, forse compagno inseparabile di giochi e protettore di quella piccola anima bella -. Chi era quest’infante, d’età compresa tra i due e i 4 anni eppur sottodimensionato, rispetto all’uva? Gli studiosi che stanno lavorando all’indagine dell’opera giungono a un’ipotesi che potrebbe essere esatta. Il realismo del volto potrebbe riferirsi alla ripresa del viso di un piccolo defunto di casa, divenuto a far parte dei Lari e dei Penati. E’ lui, ad offrire alla propria famiglia, forse in veste dei Telesforo o dei figli di Dioniso, l’Abbondanza, rappresentata dall’uva e dal melograno, frutto di vita e di prosperità, pur nella morte.
Telesforo è un personaggio della mitologia greca. E’ figlio di Asclepio – divinità della Medicina – e dio della convalescenza. Spesso accompagnato da sua sorella, Igea, era rappresentato con il capo coperto da un cappuccio o berretto frigio e un lungo mantello. Era il dio della giovinezza e della guarigione. Il culto di Telesforo si era probabilmente sviluppato intorno all’anno 100 nell’area di Pergamo – nelle zone greco- romane dell’attuale Turchia- dove gli è dedicato un tempio nell’Asklepieion di Pergamo, come parte del grande culto di Asclepio presente nella zona. La sua popolarità è aumentata nel secondo secolo, specialmente dopo Epidauro. Le sue rappresentazioni si trovano principalmente in Anatolia e nelle regioni nei pressi del Danubio. Quindi il piccolo Telesforo o la piccola Igea? Un bambino o una bambina che ebbero questi nomi e che vissero in questa casa, morendo e divenendo poi protettori, in linea con il nome che portavano?
Ma tanti altri sono gli spiritelli bambini e tanti i possibili figli di Dioniso. Un’altra ipotesi – la nostra, che si affianca a quelle degli archeologi – è che il piccolo “defunto” sia stato visto dal pittore nelle vesti di Toante, figlio di Bacco e Arianna. O, meglio, di Telete, “l’iniziazione”, figlia di Dioniso e di una Ninfa, con evidente richiamo ai misteri dionisiaci. Peraltro Telete sarebbe presente, dipinta, in altra versione, anche nella villa dei Misteri di Pompei. Quindi il bambino con il piccolo cane potrebbe essere Telete una bambina di casa, che portava lo stesso nome di un importante personaggio dionisiaco. A questo punto sarebbe spiegabile l’unione del mito con la realtà, attraverso la funzione di un “nome parlante”.
Telesphoros e gli spiritelli bambini presentano molte somiglianze con una divinità di piccola statura, spesso raffigurata come un fanciullo o un nano con cappuccio sotto il quale si nascondono capelli riccioluti. Le sue raffigurazioni spesso lo mostrano con un volumen, non legato alla scienza medica ma alla lettura del libro del Destino, e con una lanterna per far luce nelle tenebre durante il viaggio in cui accompagna le anime. Telesphoros si sovrappone alla figura del Puer Lanternarius o Servus Lanternarius, uno schiavo-bambino che aveva il compito di illuminare il cammino del padrone di casa ma la cui rappresentazione veniva anche posta a protezione delle sepolture, fungendo da luce nel mondo delle tenebre, come il genio funerario Telesphoros.
Numerose statuette gallo-romane raffigurano i Genii Cucullati, spiritelli incappucciati in sembianze sia di bambini che di vecchi. Questi spiriti sono considerati simboli augurali di fertilità e prosperità, ma anche di protezione dalle malattie e dal malocchio, associati a Telesphoros. E’ assai probabile che i piccoli defunti, associati a un nume o a una divinità minore, divenissero protettori dell’edificio e della famiglia.
Successivamente si può ritenere che il mondo composito dei numi bambini sia confluito nella famiglia medievale dei folletti è molto numerosa e ha nomi diversi in ogni regione d’Italia: in Versilia c’è il Linchetto, in Friuli il Pamarindo, in Val d’Aosta l’Orchon, in Emilia il Mazapèdan, il Ciappin in Lombardia e Piemonte, il Gambastorta a Bergamo, il Quagg a Brescia, il Massarol a Belluno, il Pesarolo a Mantova, fino ai Trolls scandinavi, ai Coboldi germanici, ai Domovoy russi, ecc. Nel sud Italia, il folletto viene chiamato anche Monachicchio, Monacieddu, Scarcagnulu, Scazzamurrieddu. Ciascuno di questi folletti ha caratteristiche peculiari, ma condivide molte somiglianze con i suoi “parenti” di altre regioni e nazioni.
Il saggio dell’ e Journal di Pompei