Il Museo di Storia Naturale di Tolosa presenta “Mummie, corpi preservati, corpi eterni”, una mostra nell’ambito delle iniziative “Inrap ha 20 anni! “. L’Inrap è uno straordinario istituto statale che si occupa di ricerche archeologiche preventive. In date aree, dove sono previsti interventi edilizi, giungono gli archeologi. Ma le attività non si fermano qui. Indagini, ricerche , studi. Una realtà della quale, in Italia, sentiamo la mancanza. In Italia? Troppa burocrazia. Troppo potere degli uffici.
Il curatore scientifico della mostra, Patrice George (Inrap), ha risposto ad alcune domande del portale dell’Inrap stesso raccontando la pratica della mummificazione che ha interessato tutti i continenti, dalla preistoria ai giorni nostri.
“La mummia – dice George – È un corpo o un organismo che semplicemente non si decompone. Nel caso dell’imbalsamazione in Egitto la parte culturale è ovviamente molto forte, ma contano molto anche le condizioni ambientali. Immaginiamo una mummia, come quelle egizie, concepite a Tolosa. Si sarebbe stata conservata per qualche tempo, ma non avrebbe attraversato i secoli come le mummie egizie. Quelle erano ben preparate, ma beneficiavano anche, il più delle volte, di condizioni ambientali perfette. Le condizioni ambientali contano molto. Pensiamo, in tal senso, ad alcune conservazioni naturali di corpi, qui in Europa. È il caso dell’uomo di Tollund, mummificato naturalmente nelle torbiere, o di Otzi, conservato in un ghiacciaio”.
Quali interventi impediscono la decomposizione? chiede l’intervistatore.
“Esistono molteplici ricette, a seconda dell’epoca, del luogo, così come differiscono la simbologia o gli strumenti. L’ideale, però, è asportare le viscere e gestire il flusso del corpo umano, in particolare sangue, ma anche feci e urina, tanti nidi per batteri e germi. Le cavità liberate vengono trattate. Unguenti e strisce esterne, tessuti o qualsiasi altro dispositivo aiutino a proteggere il corpo a più o meno lungo termine, impedendo ad esempio l’accesso agli insetti. La collocazione della salma in un apposito contenitore e/o in un ambiente favorevole completa la conservazione”.
Lo studioso cita però diversi esempi di mummie egizie che si sono deteriorate, nonostante il corretto apprestamento dei corpi. Quindi nella conservazione tanta parte è svolta anche dal clima o dal microclima. Dalla profondità, dalla stabilità della temperatura, dalla permeabilità della sepoltura stessa. E’ il caso di quanto è emerso, anche in queste settimane, durante una missione in Egitto, a Bouto, dove sono state trovate mummie in condizioni precarie. “Anche in Egitto – prosegue lo studioso dell’Inrap – non sempre le condizioni sono favorevoli alla conservazione delle mummie. Ci riferiamo ad un caso specifico. Una mummia molto rovinate. Il gesso e la resina nel cranio, tuttavia, sono indizi della mummificazione di questo corpo”. I problemi sono sorti, evidentemente, per interferenze esterne.
Il museo di Tolosa presenta, invece, il caso della mummia di una giovane donna – nell’immagine qui sopra -, vissuta in epoca tolemaica o romana, che si è mantenuta perfetta. Perfetta come il volto, in cui sono ben visibili i peculiari lineamenti che ci permettono di riconoscerla nell’unicità della persona. In quel caso si ebbe una netta convergenza tra la perfezione dell’intervento, il luogo di sepoltura e il microclima. Tutti elementi che, uniti, ne hanno consentito la straordinaria conservazione.
Non tutti sanno che anche in Europa qualche corpo veniva mummificato o meglio imbalsamato. Erano soprattutto personaggi ai vertici della società, nobili o componenti delle famiglie regali. Nella lotta alla morte si giungeva anche a pensare ai familiari come ai corpi incorrotti e incorruttibili dei santi.
© Patrice Geoges, Inrap
Esattamente, quando è apparsa l’imbalsamazione in Francia?
“Il caso più antico con evidenza di imbalsamazione interna (con eviscerazione) risale al IX secolo . secolo – dice George dell’inrap – ma menzioni e scoperte archeologiche, alcune delle quali recenti, indicherebbero una pratica di imbalsamazione (esterna? interna?) che risale all’Alto Medioevo. Da tempo abbiamo voluto credere in una tradizione ininterrotta che sarebbe arrivata a noi attraverso i romani e che sarebbe venuta dagli egizi, il che ha portato a credere che l’imbalsamazione medievale fosse in qualche modo la versione degenerata di una pratica antica di grande successo. I gesti, gli strumenti e le intenzioni non erano gli stessi. Nel medioevo, da noi ad esempio, per asportare il cervello, abbiamo fatto una scelta tecnica non delle più semplici segando il cranio tutt’intorno. Non abbiamo mai praticato fori nella parte posteriore del cranio per rimuoverlo. Le enciclopedie chirurgiche, invece, testimoniano l’esistenza del trapano. Non appena il corpo fosse stato esposto, come i personaggi reali, tale approccio avrebbe facilitato l’operatore. Invece bisognava scotennare, asportare la carne e poi segare prima di rimettere tutto a posto, segno inequivocabile della volontà di asportare il cervello nella sua forma intera o quasi. Gli Egiziani scelsero un’altra via: transitavano per il passaggio nasale, usando un uncino”.
La conservazione dei nostri antenati europei è nettamente inferiore, anche quando si usavano bare di piombo per evitare alla tomba di essere permeabile all’umidità e all’ossigeno. In molti casi il decadimento avvenne e non bastarono foglie di alloro, lavacri e le decorazioni vegetali con essenze aromatiche.