Nel Seicento, il papavero da oppio veniva somministrato dai medici dell’epoca ai pazienti dell’Ospedale Cà Granda per le sue proprietà sedative, oltre che per il trattamento dell’algesia e in qualità di antitussivo: lo ha scoperto un team di scienziati dell’Università Statale di Milano che ha recentemente pubblicato l’articolo su Scientific Reports. L’annuncio viene dall’organo informativo e di comunicazione dell’Università stessa.
Il Papaver somniferum, comunemente noto come papavero da oppio, è una pianta appartenente alla famiglia delle Papaveraceae. Il nome scientifico ne sottolinea le proprietà psicolettiche dovute all’azione di vari alcaloidi, principalmente la morfina, presenti nell’oppio grezzo, una sostanza lattiginosa secreta dalla tipica capsula seminifera che caratterizza il genere Papaver.
Gli studi si sono concentrati in particolare sui resti ossei custoditi nel Sepolcreto della Cà Granda, rinvenuti durante alcuni scavi e analizzati con tecniche innovative di archeotossicologia, disciplina focalizzata sul rilevamento di evidenze chimico-analitiche nei resti ossei con l’obiettivo di far luce sulle pratiche terapeutiche di una determinata epoca.
“La ricerca – spiega la Statale – è stata coordinata da Gaia Giordano, dottoranda in Medicina Traslazionale (supervisore il professor Francesco Sardanelli) presso il laboratorio di analisi chimico-tossicologiche forensi del dipartimento di Scienze Biomediche della Salute della Statale di Milano e da Mirko Mattia, curatore e conservatore della CAL (Collezione Antropologica del LABANOF) e del MUSA (Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, Forensi e Mediche per i Diritti Umani), sotto la guida di Cristina Cattaneo, direttrice del LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), del MUSA e della CAL e Domenico Di Candia, tossicologo forense presso il laboratorio di analisi chimico-tossicologiche forensi.
Il gruppo di studio ha analizzato nove encefali ben conservati assieme ai loro crani di origine. I risultati delle analisi tossicologiche, eseguite mediante cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa triplo-quadrupolo, hanno rilevato la presenza di molecole presenti nel papavero da oppio (Papaver somniferum), ovvero morfina, noscapina, papaverina e codeina, evidenziando la presenza dei principi attivi dell’oppio in sei dei nove soggetti sottoposti ad analisi.
“L’Ospedale Maggiore di Milano del 1600, noto come La Ca’ Granda dei milanesi, è stato uno degli ospedali più importanti e innovativi di tutto il Rinascimento e dell’Età Moderna sia sul fronte italiano sia europeo”, spiega Gaia Giordano. “Forniva infatti assistenza gratuita alla popolazione povera di Milano, aveva medici e chirurghi specializzati, strette norme igienico-sanitarie e un’ampia farmacopea ospedaliera: è proprio per questo che per noi è stato importante essere parte di un progetto di ricerca multidisciplinare per lo studio degli individui riportati alla luce grazie agli scavi”.
“I risultati ottenuti in questo lavoro costituiscono il primo rapporto sul rilevamento di oppio in reperti ossei archeologici. Questi dati hanno contribuito a fare maggiore chiarezza sulle terapie farmacologiche somministrate ai pazienti della Ca’ Granda e hanno arricchito la conoscenza della comunità scientifica riguardo alle pratiche mediche e farmacologiche della Milano del 1600”, concludono Mirko Mattia e Lucie Biehler-Gomez, paleopatologa del LABANOF e co-autrice della pubblicazione.
Il link allo studio pubblicato su Scientific Reports.