Giovane Caravaggio, ecco i cento disegni ritrovati. E le ragioni della fondatezza della scoperta

E’ un’autentica rivoluzione del “sistema Merisi”, una delle maggiori, articolate scoperte nel campo della storia dell’arte e della cultura: cento disegni del giovane di Caravaggio, realizzati in Lombardia, - di cui ottantatre saranno ripresi più volte nelle opere dalla maturità - dieci ritratti inediti realizzati ad olio, un autografo biglietto di protesta, l’identificazione del volto di Costanza Sforza Colonna, la protettrice del pittore, un possibile autoritratto milanese dell’artista, i diversi esercizi compiuti dal giovane pittore per prepararsi al trasferimento romano.

I disegni di questa pagina – studiati e presentati nel 2012 da Maurizio Bernardelli Curuz e da Adriana Conconi Fedrigolli – non sono bozzetti di preparazione delle opere che Caravaggio avrebbe dipinto nella maturità romana ma schizzi o lacerti di prova, stesi anni prima dal giovane pittore durante il percorso formativo svolto nella Bottega di Peterzano, a Milano. Caravaggio aveva un’età compresa tra i quattordici e i diciotto anni. I disegni – alcuni acerbi, altri di rilievo – sono inseriti nell’arco dell’età evolutiva dell’artista e tornano, morfologicamente, nel repertorio iconografico dei quadri che ben conosciamo.
Si ha certezza assoluta che Caravaggio è stato iscritto, a Milano, alla scuola di Peterzano, nel cui fondo i disegni sono stati identificati e attribuiti per la prima volta, in assoluto, da Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli. La presenza di Caravaggio nella Bottega di Peterzano è provata da un inconfutabile documento notarile conservato a Milano, nel quale si registra il contratto tra la madre di Merisi e Peterzano. Il documento era già noto.

Il giovane Caravaggio non fu accolto come un garzone, ma come un allievo. La retta fissata per il periodo quadriennale di scuola fu elevatissima. Equivaleva al valore di una palazzina con negozio, appartamento e solaio, in quegli anni, nel centro del paese d’origine della famiglia.

Una pagina degli e book “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema Merisi Una pagina degli e book “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema Merisi.” A sinistra vediamo la Conversione di Saulo. In alto a destra l’isolamento della figura del soldato. In basso il disegno trovato nella bottega di Peterzano e attribuito al giovane Caravaggio. Michelangelo Merisi avrebbe sviluppato a Milano una ricerca che lo portò a realizzare teste di carattere che poi avrebbe utilizzato nel periodo romano.

Non si tratta pertanto di disegni preparatori ai dipinti, ma di disegni accademici del giovane apprendista, la cui morfologia sarà trasferita nelle opere della maturità, come normalmente avviene per tutti gli artisti. I disegni del periodo di formazione restano infatti “nella mano e nell’occhio” e divengono poi pittura. Specie se vengono ingranditi e trasposti in cartoni

 

Il volto del disegno trovato a Milano avvicinato a quello del vecchio soldato della Conversione di Saulo, mostra una stupefacente somiglianza
Il volto del disegno trovato a Milano avvicinato a quello del vecchio soldato della Conversione di Saulo, mostra una stupefacente somiglianza. morfologica e stilistica. Ciò che risulta di estremo interesse è il fatto che ci troviamo davanti a due “fotogrammi” consecutivi dello stesso volto. Altri cento disegni trovano riscontro, secondo la tesi di Curuz e Conconi, in 84 opere della maturità. Immagine tratta dall’e-book. Riproduzione libera delle immagini di  tutta questa pagina, con citazione della fonte, concessa a tutti dagli autori e dall’editore, in quanto il lavoro comparativo è opera d’ingegno terza appartenente agli stessi, per la costruzione della quale hanno corrisposto diritti fotografici ai proprietari delle singole opere

[E’] un’autentica rivoluzione del “sistema Merisi”, una delle maggiori, articolate scoperte nel campo della storia dell’arte e della cultura: cento disegni del giovane di Caravaggio, realizzati in Lombardia, – di cui ottantatré saranno ripresi più volte nelle opere dalla maturità – dieci ritratti inediti realizzati ad olio in un dipinto sacro, un autografo biglietto di protesta, l’identificazione del volto di Costanza Sforza Colonna, la protettrice del pittore, un probabile autoritratto milanese dell’artista, i diversi esercizi compiuti dal giovane pittore per prepararsi al trasferimento romano. I disegni risalgono a un periodo della vita del pittore compreso tra i 14 e i 18 anni.  Merisi era molto giovane, ma nel Corpus dei disegni del Fondo Peterzano, nel quale appaiono centinaia di disegni del maestro, è possibile notare quei caratteri strutturali nella costruzione delle figure, che non abbandonerà più. Molti disegni sono piccole prove, inserite come esercizio, tra altre linee grafiche. Ma l’ingrandimento consente di vedere assolutamente le identiche forme che egli svilupperà nel futuro. Tutto ciò si basa sul principio dell’invarianza del canone personale di costruzione dei volti. Tendenzialmente, per quanto l’esercizio ne renda poi la realizzazione più sciolta, esistono rapporti antropometrici che non variano, in ogni pittore, dalle prime prove dell’infanzia alla piena maturità. E basti, in tal senso, per configurare due canoni personali molto particolari, ricordare i volti dei personaggi di Rembrandt, corti e compressi, o dalla parte dimensionale opposta,  quelli di El Greco. Il metodo della densità numerica dei costrutti è fonte primario della filologia per identificare un deposito linguistico d’origine e permanenza di un dato autore.

 

La ricerca – che non ha contato su alcun apporto economico di enti pubblici – si è svolta procedendo contemporaneamente su due linee parallele: una costituita dai documenti archivistici o da elementi biografici e l’altra dalla comparazione filologica delle strutture e delle masse chiaroscurali, secondo lo stesso metodo usato da Longhi, sostenuta dall’uso delle nuove tecnologie.

Le fonti – Dalla fitta corrispondenza epistolare tra Costanza e il proprio direttore spirituale, Carlo Bascapé, emerge che i viaggi per il ritorno a Roma della giovane vedova furono due – il secondo definitivo, come quello del suo protetto, nel 1596 -. Il lungo periodo di discussione con il sacerdote – che voleva impedire alla donna che lasciasse Milano – consentì a Caravaggio di preparare, molto probabilmente, un bagaglio formato da cartoni – è la prima volta al mondo che si afferma che Caravaggio abbia utilizzato cartoni: e ciò è confermato dalle radiografie – ripresi da piccoli disegni e suggestioni elaborate in bottega, dove aveva preparato teste di carattere pronte ad essere utilizzate come base, in variante, di numerosi dipinti. La lunga gestazione del trasferimento di Costanza a Roma aveva lasciato a Michelangelo Merisi il tempo di esercitarsi e preparare cartoni di uno stile internazionale, quello del Pulzone, ritrattista molto amato a Roma, che avrebbe caratterizzato l’esordio del pittore.  Ritratti di Pulzone erano in casa di Costanza, come ha dimostrato la citazione degli stessi, individuata da Adriana Conconi Fedrigolli in carte testamentarie. E non gli fu difficile predisporre pertanto, come ansioso esordiente, due linguaggi per la capitale mondiale dell’arte: quello pulzoniano-romano, ottimo per risultare ben accetti dalla società pontificia – e quello lombardo, dominato da una linea che si colloca tra Giorgione e Savoldo, ma che rimane aperto ad espressioni più aspre e violente. I cartoni , ricavati dai disegni, furono utilizzati da Caravaggio, come avviene nell’affresco e come, probabilmente, venivano usati  – tra gli altri – da Leonardo da Vinci anche per la pittura da cavalletto. Appoggiati al supporto e tracciati nelle linee da incisioni o segni puntiformi. Segni reiterati di chiodo appaiono attorno ai volti stessi, in molti dipinti di Michelangelo Merisi.

I materiali lombardi mettono in evidenza, a giudizio di Curuz e Conconi, il duro lavoro compiuto dall’allievo, la sintesi, il bagaglio pronto per l’avventura professionale a Roma, in continuità assoluta con la produzione successiva. Si concluse così, nel 2012, con risultati di rilievo, in grado di colmare una lacuna e di gettare nuova luce anche sul periodo già noto, il progetto di due studiosi italiani, Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, che ha permesso di recuperare e riconsegnare le opere del periodo di formazione del grande maestro lombardo, realizzate tra Milano e Caravaggio, sciogliendo uno dei maggiori enigmi della storia dell’arte. “Tutte le opere appartengono fortunatamente ad enti pubblici e pertanto – dice Bernardelli Curuz – non può essere minimamente allungata l’ombra di un’eventuale speculazione commerciale, dietro il processo attributivo”.  Nebbia, deserto, silenzio: con questi termini la critica più recente dipingeva la giovinezza di Michelangelo Merisi. “Nulla di tutto quello che Merisi poté dipingere in questa primissima fase è stato mai individuato“. scriveva Claudio Strinati, in Caravaggio, la luce nella pittura lombarda. Secondo la storiografia, Caravaggio non avrebbe mai disegnato, operando direttamente con il pennello e con il colore. Curuz e Conconi hanno smentito recisamente questa tesi, dimostrando che nessun allievo avrebbe potuto affrontare la carriera artistica senza aver affrontato un lungo apprendistato basato sul disegno.

Del resto la preparazione ineccepibile del Caravaggio è dimostrata dalla testimonianza di Giulio Mancini, medico del Caravaggio, amico e collezionista, che fu anche il primo biografo del pittore lombardo. Scrive Mancini:«Studiò in fanciullezza per quattro o cinque anni in Milano, con diligenza ancorché di quando in quando facesse qualche stravaganza causata da quel calore e spirito così grande». “Studiò con diligenza – annota Bernardelli Curuz – significa che si applicò ad ogni percorso formativo, alla cui base stava il disegno. Non era possibile fare altro che disegnare, specie nello studio di un pittore che praticava assiduamente il disegno. Caravaggio non fu un assistente di bottega o un garzone, ma un allievo che versava una retta elevatissima. Tutti i manuali dell’epoca prescrivevano il disegno come base fondamentale e irrinunciabile per ogni processo educativo nell’ambito della formazione artistica.  Pensare che Caravaggio non abbia disegnato e abbia fatto il pittore, in quegli anni, dopo essere stato iscritto a una scuola di notevole rilievo, come quella di Peterzano,  è come teorizzare che Einstein si sia occupato improvvisamente di fisica senza aver affrontato mai, nella sua vita, le operazioni aritmetiche basilari. Il blocco nelle ricerche di materiale artistico relativo al giovane Caravaggio, in genere, è stato provocato da un preconcetto storicizzato. Si è infatti postulato che Caravaggio non avesse mai disegnato in vita sua”. Peraltro i recenti studi compiuti da Rosella Vodret – utilizzando radiografie, riflettografie e test di laboratorio – hanno dimostrato che un lavoro preparatorio disegnativo è rilevabile anche nei substrati pittorici di opere pittoriche conclatamente certe. Quindi Caravaggio disegnava.

 

La scoperta ha provocato uno scontro violentissimo, nell’ambito della storia dell’arte e sui mass-media. Immediatamente, a favore dell’autografia, si è schierato Vittorio Sgarbi, che ha compiuto numerosi interventi a favore della ricerca, con diversi apporti critici, tra i quali un articolo di fondo per El Pais.

Claudio Strinati, pur con prudenza e riconoscendo, sul quotidiano La Repubblica,  il valore dei precedenti studi condotti da Curuz,  ha sostenuto che tra quella pletora di disegni del Fondo Peterzano ci deve essere Caravaggio. Da considerare anche il fatto che mai era stata evidenziata una tale quantità di materiali morfologicamente aderenti ai modi del pittore, in unico luogo, fatto, di per sè, che avrebbe dovuto, pur con un dibattito aperto, portare a un’analisi del Fondo come luogo di produzione dei temi e delle modalità artistiche del Caravaggio maturo, in continuità tra maestro ed allievo.

Le opere sono state identificate da Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli, dopo delicati e complessi studi comparativi, svolti anche con macroproiezioni e l’uso delle nuove tecnologie – nell’ambito del milanese Fondo Peterzano, nel quale sono conservati i disegni del maestro di Merisi; quindi nella chiesa milanese dei Santi Paolo e Barnaba – retta dal direttore spirituale di Costanza Sforza Colonna – all’Accademia Carrara di Bergamo e nel museo d’Algeri, dove sono giunti materiali di provenienza francese. Tutti lavori, pertanto, di pubblica proprietà.

Le modalità dello studio, in sintesi – I ricercatori hanno, in un primo tempo, isolato tutti i disegni di Peterzano del quale già si conosceva lo stile, giungendo a nuove attribuzioni anche per quanto riguarda le opere disegnative del maestro. Poi hanno creato altri due gruppi di disegni in base all’unità stilistico-grafica, mentre in un quarto hanno inserito gli elementi estranei.

Il secondo gruppo di opere mostrava il divenire di un disegnatore sofferto e nervoso; acerbo, quasi sgraziato, agli esordi; ma molto attento al realismo attraverso quello che si rivela, con il passare del tempo, un delicato apparato chiaroscurale, una ricerca della tridimensionalità e uno studio delle espressioni, che appare invece stereotipato in Peterzano. Il raffronto tra i disegni del secondo gruppo e i dipinti di Caravaggio ha mostrato 83 sovrapponibilità assolute delle forme con le opere romane e napoletane del pittore. Un nucleo del big-bang di Caravaggio stesso. “Il suo motore profondo, già messo a punto prima della partenza per Roma” dice Curuz.

Ogni acquisizione, ogni lacerto, disegno o dipinto è stato inserito dai ricercatori nell’ambito di un piano sistematico e scientifico, sulla linea del percorso evolutivo, dalle prime prove nella bottega milanese – dalle quali emerge l’esercizio ossessivo di complessa introiezione del modello delle mani e dei volti – fino all’elaborazione di uno stile internazionale, pulzoniano, che avrebbe consentito al pittore di mitigare il proprio realismo lombardo e di adattare la pittura al gusto della capitale pontificia. I volti degli efebi, presenti nei primi dipinti romani, erano già stati impostati a Milano, come adattamento ai linguaggi romani, desunti da un canone di rappresentazione dei visi infantili o femminili, che il pittore aveva potuto trarre dai ritratti di Pulzone, presenti, appunto, nella collezione milanese della propria protettrice, Costanza Sforza Colonna, una donna già fortemente presente nella vita di Caravaggio, dagli esordi milanesi.

 


L’operazione “Giovane Caravaggio” –  condotta da un équipe guidata da Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli e composta da Francesca Romàn, Enrico Giustacchini e Mariacristina Ferrari – ha un notevole valore culturale ed economico per gli enti pubblici proprietari delle opere. Gli studiosi lombardi, che hanno presentato due quaderni di campo, in formato e-book di oltre 600 pagine, con mille illustrazioni, in buona parte inedite – studio proposto, contemporaneamente, anche nelle traduzioni in inglese, francese e tedesco – ricostruiscono infatti, passo dopo passo, soprattutto attraverso disegni e dipinti, il percorso del giovane maestro nella terra d’origine, evidenziando gli straordinari elementi di continuità con i noti quadri successivi. Tutto era pronto, in nuce, a Milano. Ma la libertà romana, in una città comunque aperta e vivace, e il confronto con i colleghi avrebbe portato alla creazione del “fenomeno Caravaggio”. Michelangelo Merisi sapeva che era indispensabile partire per Roma, per liberare la propria potenza. Milano era una città molto provinciale e soffocante. Il pensiero controriformistico, in Lombardia, era dominato dalla repressione carolina; mentre a Roma si sarebbe aperto nella gioia oratoriana di San Filippo Neri.

I disegni non sono certamente quelli di Peterzano, perché – oltre ad essere incunabolo dei dipinti di Caravaggio – presentano una forte unità stilistica e una netta differenziazione rispetto all’opera grafica del pittore più anziano. Né quelli di epigoni poiché i disegni sono inseriti in ricerche grafiche e meditazioni disegnative profonde, nell’ambito del faldone nel quale sono raccolte anche le opere del maestro di Caravaggio stesso.

L’analisi sulle radiografie delle tele condotte da Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli e di enormi ingrandimenti digitali dei quadri stessi ha permesso ai due studiosi di ipotizzare quali fossero le modalità di lavoro del pittore e da dove discendesse la sua rapidità esecutiva a dir poco prodigiosa, riconosciuta dai colleghi e dai cronisti dell’epoca. Le incisioni lunghe date all’imprimitura e al primo strato di colore uniforme – un bruno rossiccio – circondavano l’ombra dei modelli, soprattutto nei punti di sovrapposizione delle figure. I volti sono spesso contrassegnati da colpi inferti con una punta piuttosto grossa – il fondo del pennello o un chiodo – mentre la silhouette del volto stesso è segnata da puntini dati con un chiodo piccolo. Pertanto si può ipotizzare che Caravaggio utilizzasse le ombre umane per ricavare i corpi – come s’usava nell’antichità e com’era ben noto, ai tempi di Merisi, anche grazie alla testimonianza di Plinio il Vecchio sull’ombra nella pittura– ottenendo così il massimo realismo – e cartoni dei volti.

 

 

La causa civile intentata dal Comune di Milano – ente proprietario delle opere – contro gli autori dello studio non ha portato il giudice ad esprimersi sui disegni, né sui diritti fotografici – che erano stati regolarmente pagati, dagli studiosi al Comune, con il versamento di una cifra di 7mila euro – ma su una dichiarazione di Bernardelli Curuz, riportata tra virgolette sui giornali, come risposta alle vigorose affermazioni della responsabile del Gabinetto dei disegni che non condivideva le tesi degli autori e che alludeva alla possibilità che i materiali fossero stati adattati con photoshop. Nella risposta di Curuz – che rassicurava sul fatto che le opere sono a disposizione di tutti e pertanto raffrontabili –  il giudice civile ha ravvisato gli estremi di un danno di immagine arrecato dal ricercatore alla propria collega direttrice del gabinetto dei disegni e delle stampe e al Comune di Milano. Poichè un pubblico funzionario è emanazione dell’ente municipale,  il giudice ha ritenuto che la dichiarazione avesse colpito, di conseguenza, il Comune di Milano, che peraltro non era mai stato menzionato. Bernardelli Curuz ha pertanto versato  70mila euro al Comune, cifra comprensiva delle spese processuali di parte.

Significativo fu l’appello dell’ex sindaco di Brescia, Cesare Trebeschi che, in modo autonomo, senza conoscere personalmente i due autori, scrisse un fondo per il Corriere della Sera intitolato “Caro Pisapia, la bellezza non vada a processo”. Trebeschi, da uomo di legge, indicava la fonte della libertà di espressione, di parola (articolo 21 della Costituzione) e la libertà dell’insegnamento dell’arte e della scienza (articolo 33 della Costituzione), sottolineando il fatto che la ricerca non può essere appannaggio delle realtà metropolitane.

“In verità – spiega lo studioso – io penso che, da entrambe le parti, non ci fosse volontà di offendere. Direi che è stato il sistema giornalistico a creare quello iato che sarebbe scomparso nel caso le affermazioni della direttrice e la mia risposta non fossero state pubblicate, separate, in due giorni successivi. La decontestualizzazione è un sistema purtroppo utilizzato per fare notizia, ma può creare danni seri alle persone che rilasciano le dichiarazioni e a chi, di quelle dichiarazioni, è oggetto”. La contrapposizione ebbe una grossa eco anche politica perchè qualcuno pensò ad un’azione degli studiosi di area liberale – Sgarbi e Curuz – contro la roccaforte della sinistra italiana, Milano, dove si sperimentava una nuova e difficile unità delle sinistre, anche a fronte delle insorgenti difficoltà di dialogo tra Pd e la sinistra che si riconosceva in Pisapia.  In realtà non ci fu nulla di questo. Sgarbi e Bernardelli Curuz non si vedevano nè si sentivano da anni.

La ricerca fu svolta in modo autonomo da un’équipe formata dal direttore di Brescia Musei, Bernardelli Curuz, a latere della Fondazione bresciana stessa, che era stata informata e aveva approvato l’indirizzo di approfondimento.  Gli autori si autofinanziarono per sostenere ogni spesa. “Si pensava di arrivare a un momento condiviso con Milano, alla ricerca delle radici bresciane e lombarde di Caravaggio, ben presenti, ad esempio, in Moretto – testimonia Bernardelli Curuz – Non fu un’azione oppositiva. Al punto che, dopo l’individuazione dei primi disegni, io chiamai un amico, un consigliere regionale del Pd, che si mise in contatto, dall’interno, con Milano. La mia collega Adriana Conconi Fedrigolli, contemporaneamente si recò a Roma, in Senato, dove ebbe anche un lungo colloquio con Sergio Zavoli per il coordinamento dell’operazione a livello di convergenza politica. Ma dopo il Governo Monti, in Italia, il dialogo tra le parti – in qualsiasi campo o settore – sembrava divenuto impossibile. Peraltro, in tempi passati il mio dialogo con la sinistra – poichè sono anarcoliberale, anche se non ho mai fatto politica attiva – era molto stretto, considerato anche il fatto che mi sono formato in riviste dell’area del Pci olivettiano come Alfabeta e La Gola, con Umberto Eco e Paolo Volponi. Tempo prima avevo anche coordinato, con esito positivo, la candidatura di Brescia a città dell’Unesco, una candidatura che presentava fitti nodi politici internazionali. A dimostrazione del fatto che non sottovalutai alcuna forma di convergenza e di trattativa.”

La presentazione del lavoro avvenne in un clima di tensione. “Quando un giornalista – dice ancora Bernardelli Curuz – impedì alla mia collega di parlare serenamente, dopo mugugni e interruzioni e plateali dimostrazioni di dissenso che durava da più di un’ora, mi alzai dalla sedia e, ponendo le braccia e le mani dietro alla schiena – per sottolineare che non avevo nessuna intenzione di aggredire fisicamente il disturbatore – urlai al giornalista di uscire. Non ci fu alcuna rissa.”

Il colloquio tra Curuz – a quei tempi direttore dei musei bresciani per la Giunta di centro-destra di Adriano Paroli – e il Comune milanese – retto dalla giunta di centro-sinistra Pisapia, all’interno della quale il referente per la cultura era Stefano Boeri – fu, a giudizio del critico bresciano – impraticabile.  Non può essere escluso il fatto che la questione storico -artistica sia stata particolarmente complicata dalla complessità del dialogo politico e da equivoci legati alla politica stessa.
Risulta interessante comunque leggere alcune righe del catalogo della mostra “Simone Peterzano (ca 1535-1599) e i disegni del Castello Sforzesco” (Silvana Editoriale, dicembre 2012) allestita dal Comune di Milano stesso – che nettamente si oppose all’avallo della scoperta, nonostante il processo di valorizzazione dei disegni di sua proprietà – dopo l’uscita dello studio di Curuz e Conconi, per mostrare una selezione di disegni peterzaniani e rispondere in modo indiretto allo “scandalo” – così fu definito – dei disegni di Caravaggio. La mostra era tesa a ricusare, indirettamente, la tesi che Milano abbia in dote cento disegni di Caravaggio. Nonostante il profondo dissenso espresso in tutto il volume rispetto alle tesi di Curuz e Conconi –  i quali affermano che “Caravaggio ha disegnato. Che i suoi disegni giovanili disegni sono nel Fondo Peterzano. E che sono questi“, Jonathan Bober – National Gallery of art, Washington – scrive “che alcuni disegni del giovane Caravaggio possano fare parte di quel Fondo è una deduzione perfettamente valida” (pagina 70, catalogo Silvana editoriale), mentre Giulio Bora, precisa che ”in assenza totale, finora, di dipinti realizzati da Caravaggio a Milano, per lo studio del disegno la ricerca sarà da avviare nello stesso contesto della bottega peterzaniana, e in particolare in quel numero di disegni conservato nel “Fondo Peterzano del Castello “ (p.60).  Si tenga conto, risponde Curuz, “che, in precedenza, si diceva che Caravaggio non avesse mai disegnato; ora si dice che Caravaggio ha disegnato; e ora si dice che i suoi disegni sono nel Fondo Peterzano. Mi sembra che sia una deduzione molto logica. I disegni del fondo Peterzano sono, complessivamente, poco più di 1700 e noi ne abbiamo contrassegnati un centinaio come opere di Caravaggio. Quindi non solo la nostra ricerca è fondata, ma anche il numero dei disegni del Fondo – piuttosto limitato – non lascia molti margini d’errore, anche se ci si dovesse appellare alla mera probabilità statistica. Ma il margine d’errore è ridotto praticamente a zero poichè l’indagine è stata condotta con criterio scientifico, attraverso marcatori strutturali e stilistici”.

In quel caso i curatori della mostra organizzata dal Comune esposero, con l’attribuzione a Peterzano o alla scuola di Peterzano, un numero limitato di disegni, entro i quali figurava una decina di opere attribuita da Curuz e Conconi a Caravaggio, ma non definite come tali dai curatori. Sgarbi invece sottolineò pubblicamente, all’uscita dalla mostra, di averne riconosciuti almeno una decina, in quel gruppo.

Così dichiarò, 5 anni dopo il fatto, la curatrice della mostra Dentro Caravaggio, il 29 settembre 2017, a Francesca Bonazzoli del Corriere della Sera:
«La ricerca a Roma è andata molto avanti», spiega la Vodret alla cui autorevolezza di studiosa si deve l’eccezionalità dei prestiti. «Ma quella milanese deve ancora cominciare. C’è tanto da scoprire. Anche nel fondo di disegni del suo maestro Peterzano conservato al Castello. È ovvio che Caravaggio va cercato anche lì».
 “Apprezzo le dichiarazioni coraggiosamente diplomatiche della professoressa Vodret che, per la mostra Dentro Caravaggio, ha lavorato per conto del Comune di Milano.  – risponde Curuz – La direzione ora è certa e condivisa”.

Sgarbi, riconoscendo la continuità tra il proprio lavoro su Caravaggio e la ricerca condotta da Bernardelli Curuz – il quale, a sua volta, si riconosce debitore, rispetto a Sgarbi, del metodo di verifica costante dei presupposti cristallizzati in preconcetti – inserì i risultati dello studio dei due ricercatori bresciani nel capitolo dedicato a Peterzano, nell’ambito del volume “Dal cielo alla Terra. Da Michelangelo a Caravaggio” edito da Bompiani nel 2015.

“Dopo le polemiche del 2012, il progetto di Vittorio Sgarbi, che aveva sentito Mina Gregori – testimonia Bernardelli Curuz – era quello di uscire con un libro dedicato ai disegni di Caravaggio, un lavoro a quattro mani – Gregori, Sgarbi, Adriana Conconi Fedrigolli ed io -. Per questo io e la collega ci recammo nella casa della Gregori dove ci fermammo per un colloquio sui disegni, incontro che durò circa 4 ore, in un clima splendido di collaborazione e di convergenza. Ma poco dopo la Gregori inviò alla mia collega un biglietto nel quale sosteneva che lei continuava ad affidarsi alle testimonianze in base alle quali Caravaggio non aveva mai disegnato. Al di là di tutto, resta in me il ricordo di una persona di straordinaria acutezza”.

NEL VIDEO LE DICHIARAZIONI DI SGARBI, A SOSTEGNO DELLA SCOPERTA COMPIUTA DA MAURIZIO BERNARDELLI CURUZ E ADRIANA CONCONI FEDRIGOLLI

 


Il ritrovamento dei disegni, oltre a presentare le evidenze dell’iter artistico del giovane maestro, cogliendo il punto del big bang di un’espressione pittorica che avrebbe sconvolto il mondo artistico, può essere una preziosa risorsa poiché è stata individuata la matrice disegnativa originale e la tecnica-base, che consentirà di a risalire ad altre opere perdute o di attribuzione controversa. La matrice strutturale del pittore si presenta, infatti ben delineata, per stile e tipologia figurativa, prima della partenza di Caravaggio per Roma. Il bagaglio iconografico, che egli porta con sé durante il trasferimento, è insomma ricchissimo e, soprattutto, si presta, con un minimo sforzo tecnico, a numerose varianti.

I due studiosi hanno anche rilevato, a luce radente, sui dipinti, segni consecutivi di punte di chiodo, soprattutto attorno alle teste. I punti sono piuttosto grossi in alcune aree – quelle di orientamento della testa – fronte, naso, mento orecchi, occhi – mentre sono minuti e lineari nelle altre zone del ricalco.La tecnica pittorica attraverso cartoni rafforza la tesi della paternità dei disegni milanesi.

 

“ Il disegno fu molto importante, per Caravaggio, ma fu poi superato nell’aspetto applicativo della pittura poichè buona parte dei suoi dipinti nascono dall’adattamento geniale di cartoni. Il ritrovamento è stato permesso dall’elaborazione di un preciso piano di ricerca, con marcatori stilistici di tipo strutturale che rimangono invariati nel tempo  e con proiezioni macro – commentano Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli – Del resto era totalmente illogico pensare che Caravaggio, in dieci anni di attività formativa, non avesse lasciato nulla, in termini artistici, in Lombardia. E soprattutto che non avesse disegnato. Caravaggio ha disegnato. E ha disegnato, pur con rapidità, sotto i dipinti stessi. Com’era possibile ritenere che, nella scuola di un disegnatore eccelso e puntiglioso come Peterzano – il maestro di Merisi – l’allievo non avesse disegnato? Il disegno è sempre stato una delle attività primarie nell’ambito del percorso formativo nelle scuole e nelle accademie tradizionali. L’equivoco è forse nato dal fatto che si è pensato che Caravaggio non disegnasse né avesse mai disegnato perché nei suoi dipinti non erano state viste – ma ora, con strumentazioni più avanzate, stanno apparendo – , al di là di incisioni sommarie, sottostanti attività grafiche preparatorie, nonostante indagini diagnostiche più recenti abbiano messo in luce lievi tracce di underdrawing. In un trattato didattico degli anni in cui Merisi frequenta la scuola di Peterzano, Bernardino Campi scriveva che i disegni ‘scolastici’ dovevano essere memorizzati profondamente dagli allievi affinché potessero essere poi accostati e rielaborati in composizioni complesse. Di fatto Caravaggio si attenne alla pedagogia dell’epoca. Memorizzò, adattò i disegni, forse li portò con sé, anche fisicamente, in dimensioni maggiori (1:1?) rispetto ai minuscoli bozzetti realizzati a Milano”.
Volti e mani, pose struggenti ed espressioni rapite, contorte, sofferenti al limite del grottesco, a colmare il vuoto figurativo della formazione lombarda del grande genio ribelle. C’è già tutto Caravaggio su quei fogli del Fondo. Un Caravaggio che è molto diverso dal proprio maestro, anche se attinge a pose e a impaginazioni del proprio insegnante; e riconoscibilissimo, grazie ad elementi di forza espressiva, alle architetture inconfondibili dei volti, ma pure ad errori che egli compie in bottega, che non corregge e che reitera nelle composizioni mature. Ci sono già tutti i protagonisti delle sue opere romane e napoletane in quei ritratti un po’ acerbi e sommari, dietro cui pulsa la rabbia di un anticonformista.
I suoi cosiddetti ritratti dal vero non saranno altro che una rielaborazione naturalistica di un prototipo disegnativo ben delineato, di un canone rappresentativo già formulato, di “teste di carattere” studiate a Milano – durante il periodo di formazione –  per esprimere la massima resa psicologica ed espressiva. Così è sufficiente effettuare – come avviene negli e-book – un raffronto ravvicinato tra i disegni scoperti nel Fondo sforzesco e le tele realizzate dopo la partenza di Merisi da Milano, per riconoscere la stessa dirompente forza creatrice, gli stessi modelli di base, nitidi nella memoria dell’artista. E prende forma il concetto di realismo barocco. In cui il teatro è specchio del vero. E la rappresentazione è il punto di intersezione tra verità e artificio. Un concetto molto diverso da quello di Caravaggio-“fotografo” a cui molti studi si sono riferiti negli ultimi anni.

Di seguito, alcune pagine tratte dai quaderni di campo di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, confluiti negli e-book “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema-Merisi”

SI SPECIFICA CHE I DISEGNI DI QUESTA PAGINA NON SONO BOZZETTI DI PREPARAZIONE DELLE OPERE DIPINTE, MA SCHIZZI O LACERTI DI PROVE COMPIUTI, ANNI PRIMA, DURANTE IL PERCORSO FORMATIVO NELLA BOTTEGA DI PETERZANO, QUANDO IL GIOVANE ALLIEVO AVEVA UN’ETA’ COMPRESA TRA I 14 E I 18 ANNI. ESSI COMPRENDONO ANCHE PROVE MOLTO ACERBE, CHE SAREBBERO COMUNQUE CONFLUITE NEL REPERTORIO VISIVO DEI QUADRI DELLA MATURITA’

 

Una pagina degli e book “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema Merisi. A sinistra vediamo la, Conversione di Saulo. In alto a destra l’isolamento della figura del soldato. In basso il disegno trovato nella bottega di Peterzano e attribuito al giovane Caravaggio. Michelangelo Merisi avrebbe sviluppato a Milano una ricerca che lo portò a realizzare teste di carattere che poi avrebbe utilizzato nel periodo romano. Non si tratta pertanto di disegni preparatori ai dipinti, ma di disegni accademici del giovane apprendista, la cui morfologia sarà trasferita nelle opere della maturità, come normalmente avviene in tutti gli artisti. I disegni del periodo di formazione restano infatti “nella mano e nell’occhio” e divengono poi pittura
Una pagina degli e book “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema Meris”i. A sinistra vediamo la, Conversione di Saulo. In alto a destra l’isolamento della figura del soldato. In basso il disegno trovato nella bottega di Peterzano e attribuito al giovane Caravaggio. Michelangelo Merisi avrebbe sviluppato a Milano una ricerca che lo portò a realizzare teste di carattere che poi avrebbe utilizzato nel periodo romano. Non si tratta pertanto di disegni preparatori ai dipinti, ma di disegni accademici del giovane apprendista, la cui morfologia sarà trasferita nelle opere della maturità, come normalmente avviene in tutti gli artisti. I disegni del periodo di formazione restano infatti “nella mano e nell’occhio” e divengono poi pittura

 

Il volto del disegno trovato a Milano avvicinato a quello del vecchio soldato della Conversione di Saulo, mostra una stupefacente somiglianza
Il volto del disegno trovato a Milano avvicinato a quello del vecchio soldato della Conversione di Saulo, mostra una stupefacente somiglianza. Altri cento disegni trovano riscontro, secondo la tesi di Curuz e Conconi, in 84 opere della maturità

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Un'immagine tratta dai quaderni di campo di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli,confluiti negli e-book "Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema-Merisi". A sinistra il volto della Maddalena, dipinto nel 1606 dal Caravaggio. A destra un disegno steso dal giovane Merisi, negli anni Ottanta del cinquecento, quand'era nella bottega di Peterzano. L'opera è stata individuata dai due studiosi proprio nel Fondo che conserva i disegni di Peterzano - l''insegnante di Merisi - e dei suoi allievi - oggi di proprietà pubblica e conservata nel Castello sforzesco di Milano
Un’immagine tratta dai quaderni di campo di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, confluiti negli e-book “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema-Merisi”. A sinistra il volto della Maddalena, dipinto nel 1606 dal Caravaggio. A destra un disegno steso dal giovane Merisi, negli anni Ottanta del Cinquecento, quand’era a Milano, nella bottega di Peterzano. L’opera a destra è stata individuata,con numerose altre, dai due studiosi proprio nel Fondo che conserva i disegni di Peterzano – l”insegnante di Merisi – e dei suoi allievi, oggi di proprietà pubblica e conservata nel Castello sforzesco di Milano

 

 

 


 

 

A sinistra il volto di vecchia presumibilmente realizzato da Caravaggio a Milano, prima della partenza per Roma, come integrazione di un dipinto di Peterzano, conservato nella chiesa di San Barnaba. Alla nostra destra un particolare di un dipinto concordemente riconosciuto come opera di Michelangelo Merisi
A sinistra il volto di vecchia presumibilmente realizzato da Caravaggio a Milano, prima della partenza per Roma, come integrazione di un dipinto di Peterzano, conservato nella chiesa dei Santi Paolo e Barnaba. Alla nostra destra un particolare di un dipinto concordemente riconosciuto come opera di Michelangelo Merisi

 

 

NEL VIDEO LE DICHIARAZIONI DI SGARBI A FAVORE https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/il-prototipo-della-maddalena-di-caravaggio-tra-i-disegni-scoperti-da-curuz-e-conconi/DELLO STUDIO DI CURUZ E CONCONI

E Caravaggio a Milano non ha solo disegnato. Ed era molto probabile che fosse così. Nella chiesa dei Santi Paolo e Barnaba un sospetto gruppo di ritratti ne Il Miracolo dei santi Paolo e Barnaba a Listri, dipinto da Simone Peterzano, e già considerato da Roberto Longhi fortemente precaravaggesco, ha portato Bernardelli Curuz e Conconi Fedrigolli ad ipotizzare un intervento pittorico del giovane artista. Troppo intense erano le figure dei ritratti, che apparivano aggiunti, da un’altra mano, affastellate per riempire i vuoti tra figura e figura, contro il fondale, dotati di una diversa messa a fuoco, rispetto ai volti degli altri personaggi presenti nel dipinto. I due studiosi, a fronte di queste incongruenze e di una forte verità caravaggesca di un’ampia area dell’opera, hanno allora elaborato un piano di verifica. Secondo le fonti d’archivio, la tela è stata eseguita nel 1573, quando il pittore aveva due anni. Ciò per decenni ha portato gli studiosi a bloccarsi di fronte all’evidenza della data di realizzazione dell’opera, ben documentata negli Acta dei barnabiti. Ma quei ritratti, così diversi, forti e morfologicamente convergenti con opere della maturità non potevano essere stati aggiunti successivamente? Ed ecco lo sfondamento della porta della data, a fronte della quale, tutti in precedenza si erano fermati. Il dipinto venne rimaneggiato e completato attorno al 1590 poiché qui appaiono, come temporalmente intrusi, i ritratti del quarantenne Carlo Bascapè, superiore generale dei Barnabiti e direttore spirituale di Costanza Sforza Colonna, che nel 1573, all’epoca della stesura del dipinto di Peterzano era un giovane allievo dell’Università di Pavia, e il volto invecchiato di Alessandro Sauli, ultracinquantenne di Alessandro Sauli, che negli anni della prima stesura del dipinto aveva lasciato, con non poche frizioni, la congregazione per divenire vescovo in Corsica e che a quell’epoca, non aveva ancora compiuto quarant’anni. Queste evidenti incongruenze temporali, legate a unità stilistiche di diversa natura rispetto al resto del dipinto, hanno portato gli studiosi ad indagare gli esiti dell’integrazione, evidentemente compiuta da Caravaggio, poiché questa chiostra di ritratti non solo si presenta vivida di realtà: i due critici hanno trovato infatti corrispondenze assolute tra i ritratti realizzati a Milano, all’interno del quadrone di San Barnaba, e le opere conosciute della maturità. Ben nove volti tornano, come teste di carattere, pressoché sovrapponibili al dipinto incunabolo, nelle opere del periodo romano e post-romana. Dai ritratti emerge anche il volto di una donna bionda, collocato nel punto in cui sono dipinti i donatori. È, con amplissimi margini di probabilità, la marchesa Costanza Sforza Colonna, protettrice di Caravaggio e benefattrice dell’Ordine dei Barnabiti, il cui viso torna, sia in dipinti di Pulzone – ritrattista della famiglia Colonna – che in opere di Merisi, quali la Madonna del Rosario e in un’opera abbozzata da Caravaggio a Napoli e non portata a termine, a causa dell’ultimo viaggio in direzione della capitale.

Nel corso della ricerca, gli studiosi hanno trovato anche due dipinti che potrebbero costituire il più stretto anello di congiunzione stilistica con il Caravaggio romano del primissimo periodo. Il ritratto di una giovane donna, realizzato con il canone pulzoniano, e fino ad ora attribuito al Salmeggia – l’opera è stata da poco donata al museo dell’Accademia Carrara di Bergamo – e un dipinto, che stilisticamente ha i modi caravaggeschi, pur nella citazione di una pittura che si colloca tra Savoldo e Giorgione, oggi conservato al Museo di Algeri. Prove stilistiche generali, secondo gli studiosi lombardi, in previsione della partenza romana.

Lo studio ha permesso anche l’individuazione e l’accostamento di quattro ritratti a matita che Peterzano, dedica a un proprio allievo, dall’adolescenza alla maturità. Il volto, confrontato con gli autoritratti che Caravaggio realizzerà dal periodo romano, indica un’assoluta sovrapponibilità delle linee fisiognomiche. Ciò consente, non soltanto di rilevare i mutamenti del volto di Michelangelo Merisi, durante la crescita, ma, porterà, in un nuovo studio, a identificare la presenza del volto di Caravaggio, in una delle opere tarde del proprio maestro.

Di rilievo risulta anche l’individuazione, tra i disegni del giovane pittore, di un volto di donna, inscritto nel corpo di una mucca adagiata sul terreno; accanto ad esso il ritratto di un bambino. La donna era forse la madre di Caravaggio? Le fattezze del bimbo, tornano nella Madonna dei Palafrenieri, come il volto della donna. Linee fisiognomiche che appaiono anche nella Madonna della Morte della Vergine e de Le sette opere di Misericordia.

DAI DISEGNI DEL FONDO DI PETERZANO
AI RISULTATI DI NUOVE INDAGINI

https://stilearte.it/var/www/vhosts/stilearte.ithttpdocs/caravaggio-figure-nascoste-e-composite-nella-vocazione-di-matteo-inedito-bernardelli-curuz/

Contatti.    bernardellicuruz @ gmail.com

Puoi scaricare e leggere i quaderni di campo della ricerca “Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate. La scoperta che rivoluziona il sistema Merisi” di Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, cliccando sui tasti qui sotto

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Stile Arte è una pubblicazione che si occupa di arte e di archeologia, con cronache approfondite o studi autonomi. E' stata fondata nel 1995 da Maurizio Bernardelli Curuz, prima come pubblicazione cartacea, poi, dal 2012, come portale on line. E' registrata al Tribunale di Brescia, secondo la legge italiana sulla stampa