Una fascia per il seno e il subligaculum, gli slip dell’epoca. Così, con un certo effetto straniante appaiono le ragazze dell’antichità, che indossavano, per le attività all’aperto, costumi succinti. Giovani, perlopiù, che giocavano a quello che può apparire come un antenato del volley, della pallamano o una sorta di soft-rugby, con palla ovale, da impugnare. Immagini che suscitano stupore – come quelle di piazza Armerina -perchè il due pezzi – che appare anche in alcuni mosaici greco-romani, risalenti al 1400 a.C.), furono ampiamente adottati dalle nostre antenate e scomparvero con l’antica potestà di Roma.
Lunga oscurità, quindi ecco il grande ritorno novecentesco. Fu un francese, il sarto Louis Réard, a ridisegnarlo, nel 1946, a guerra finita, con tanta voglia di ripartire e di cancellare la guerra. Ma qualcosa di atomico e di esplosivo restò nel nome: Bikini. Bikini è un atollo sul quale si svolgevano esperimenti nucleari. Nessun modella, però, accettò di posare inizialmente con il vecchio-nuovo costume; il sarto fu così costretto ad ingaggiare una spogliarellista.
Il grande sospetto Il due fu sdoganato, a suon di film e canzoni. Nel 1958 da Brigitte Bardot nel film “E Dio creò la donna”, nel 1960 dalla canzone di Brian Hyland “Itsy Bitsy Teenie Weenie Yellow Polka Dot Bikini”. Ma le donne poterono indossarlo con una certa libertà solo a partire dal 1963, quando la moda fu infine accettata anche grazie alla diffusione e al successo di il film Beach Party. Immaginiamo allora i brividi per questo film Luce, poco più sotto